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martedì 4 dicembre 2018

Più libri piùliberi -1: Il coraggio di Franca Viola in “Belice”, incontro a Roma 9 dicembre


“Dopo la liberazione, Bernardo Viola chiede alla figlia Franca – che nel 2015 ha raccontato questo dialogo a Concita De Gregorio in un’intervista pub­blicata su la Repubblica –: «Cosa vuoi fare, Franca?». «Non voglio spo­sarlo», risponde lei. «Va bene: tu metti una mano, io ne metto cento. Basta che tu sia felice, non mi interessa altro», risponde il padre.
Franca torna a casa. Con il sostegno dei genitori rifiuta di sposare Filippo Melodia e così il ragazzo deve affrontare il processo. Diventa la prima donna in Italia a rifiutare il matrimonio riparatore.
La storia di Franca a un certo punto incrocia quella di Ludovico Cor­rao, che accetta di difenderla al processo contro Melodia, in cui la fa­miglia Viola ha deciso di costituirsi parte civile nonostante le pressioni in senso contrario. Corrao difende Franca gratuitamente, accettando di mettersi apertamente contro la famiglia Melodia, un fatto per nulla scontato. È anche grazie a lui se la vicenda della ragazza di Alcamo di­venta un caso nazionale e innesca il dibattito per la modifica della legge sul matrimonio riparatore e sul delitto d’onore.
La figlia di Corrao, Francesca, che oggi è una docente universitaria, mi spiega perché suo padre decise di compiere questa scelta: «Mio pa­dre era una persona che si è sempre battuta per i diritti civili e un uomo che ha sempre avuto un profondo rispetto per la dignità della vita. A casa come nel lavoro, era molto attento e scrupoloso nel rispettare le persone e le regole comportamentali. Era contrario alla violenza, all’ingiustizia. Considerò il caso di Franca Viola come una battaglia personale, per difendere quella povera ragazza che era stata così in­giustamente trattata da un prepotente. Franca è venuta poi a trovarci diverse volte a casa. Papà ce l’ha presentata proprio come una ragazza che ha avuto il coraggio di difendere i suoi diritti, come una ragazza e una famiglia tutta che si sono levate contro l’ingiustizia del prepotente di turno».
Il processo contro i rapitori di Franca non è semplice. La difesa di Melodia sostiene davanti ai giudici che lui e la ragazza avevano concor­dato la fuga, che lei era consenziente. Il mafioso si spinge anche oltre, dicendo che i primi rapporti tra lui e la ragazza risalivano al 1963, durante il periodo del fidanzamento. La difesa chiede una perizia – poi fortunatamente respinta – per accertare quando sia avvenuta la deflo­razione della ragazza. Franca partecipa a tutte le udienze del processo, trasportata ogni volta su una camionetta della polizia da Alcamo a Tra­pani. In aula si trova di fronte al suo stupratore, che in un’occasione sputa all’avvocato Corrao per intimidirlo. Durante il processo, Melo­dia minaccia anche Franca, dicendole che se avesse sposato Giuseppe Ruisi lui lo avrebbe ammazzato.”

Il brano sopra riportato è tratto da Belice. Il terremoto del 1968, le lotte civili, gli scandali sulla ricostruzione dell’ultima periferia d’Italia di Anna Ditta, un libro che ripercorre le vicende del Belice, estrema periferia d’Italia ma al tempo stesso molto viva e attiva dal punto di vista sociale, devastato da un terribile terremoto nel gennaio del 1968.
L’autrice presenta il libro insieme a Floriana Bulfon domenica 9 dicembre, alle 17,30 in sala Giove, nell’ambito di Più libri più liberi che si tiene presso il Roma Convention Center La Nuvola, viale Asia 40 (zona Eur).

lunedì 3 dicembre 2018

4 dicembre 2012, a L’Aja la sentenza di secondo grado per Sredoje e Milan Lukić


I nomi dei cugini Sredoje e Milan Lukić sono tristemente noti a Višegrad, cittadina della Bosnia orientale bagnata da quella azzurra e fredda Drina cantata da Ivo Andrić, dal momento che i due sono stati protagonisti, nel corso dell’estate del 1992, di una serie di episodi disumani, tra cui l’uccisione a sangue freddo di sette musulmani-bosniaci, i cui cadaveri vengono gettati nella Drina, e della combustione di cinquantacinque persone – tra cui una neonata di tre giorni di vita – in una cantina di Pionirska ulica, nella quale i Lukić lanciano ordigni incendiari alimentando poi le fiamme per ore con la benzina. L’orrore è continuato così per tutta l’estate, finché la pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che costituivano il 63 per cento della popolazione locale – viene portata a termine con operazioni di rastrellamento, deportazioni e omicidi di massa di centinaia di civili all’interno di case private. Circa tremila persone vengono uccise e fatte scomparire.
Il processo contro i cugini Lukić inizia solo il 9 luglio del 2008; un anno dopo – il 20 luglio 2009 - Sredoje e Milan Lukić sono con­dannati dai giudici de L’Aja in primo grado rispettivamente a trent’anni di carcere e all’ergastolo per i crimini commessi tra il 1992 e il 1994. I due, definiti dai giudici “assassini brutali e insensibili”, dovevano rispon­dere di omicidio, persecuzioni e altri crimini contro l’umanità ai danni di musulmani-bosniaci e altri “non-serbi”.
La sentenza definitiva arriva il 4 dicembre 2012. In quest’occasione il Tpi conferma la condanna all’ergastolo per Milan Lukić ma riduce da trenta a ventisette anni quella del cugino Sredoje, con il dissenso dei giudici Pocar e Liu. Il Tpi deve e vuole sbrigarsi, quindi non prende in considerazione tutti gli episodi di violenza attribuiti ai due carnefici. Milan viene così condannato per sei specifici episodi di uccisione, ovvero i fatti di sangue del 7 giugno 1992 (il brutale assassinio dei dipendenti del mobilificio Varda assassinati), rispetto ai quali viene attribuito di­rettamente all’imputato l’omicidio di cinque delle sette vittime; la morte di Hajra Korić e i trattamenti disumani inflitti alle persone recluse nel campo di prigionia di Uzamnica; la strage di Pionirska ulica; l’assassinio diretto delle persone rinchiuse nella casa di Pionirska ulica che tentavano di fuggire e la strage di Bikavac.

Piùlibri piùliberi -2: Il sorriso di Salimu, “L’Afrique c’est chic”, incontro a Roma 9 dicembre


Diario di viaggio di un medico impegnato da anni in missioni umanitarie in Africa, L’Afrique c’est chic di Michelangelo Bartolo è scritto in prima persona da un protagonista ironico, a volte un po’ impacciato ma appassionato nel compiere il proprio lavoro. Malawi, Mozambico, Togo, Tanzania, Centrafrica e altri Paesi sono narrati in presa diretta anche attraverso le contraddizioni di alcune capitali africane che si muovono verso una veloce “occidentalizzazione” e spaccati di vita locale.

Per capire come tutto è cominciato abbiamo estratto una piccola parte del testo che riportiamo qui sotto.

“In macchina verso la città, ripensando all’accaduto e alla comprensibile provocazione del collega, ho un flash.
Perché non inventare qualcosa di automatico che metta in comunicazione una particolare richiesta clinica con un’opportuna risposta?
Il web è già pieno di piattaforme simili, solo che si sono sviluppate su altri campi. Vuoi una donna? La vuoi bionda, bruna, riccia, con occhi verdi, alta, bassa, sedere grosso, piccolo, tette grandi, normali o piccole? Ed ecco che l’elenco di varie Pamela, Samanta, Deborah o Debora si
palesa sul tuo computer con tanto di concorrenza.
E allora perché non inventare qualcosa di simile in ambito medico? Si tratta solo di realizzare qualcosa di decisamente più serio e cercare l’equivalente delle varie Pamela, Debora, Samanta… ma in ambito sanitario, e magari disponibili a prestazioni gratuite.
Il sorriso di Salimu così autentico, esagerato, quasi irritante, mi aveva stregato. Bisogna inventare qualcosa: qualcosa che metta velocemente in comunicazione medici occidentali con colleghi africani.
Arrivato a casa, faccio un’approfondita ricerca sul web e non trovo nulla di nulla, a parte i siti già menzionati. L’idea che mi balena per la testa è di mettermi io a realizzare una piattaforma simile.
In fondo, io sono un medico un po’ sui generis: da ragazzo snobbai il liceo e mi diplomai, suscitando le ire di mio padre, come perito elettronico. Poi, forse per non sentire ulteriori urla in casa, mi iscrissi alla facoltà di Medicina. Per papà fu come il ritorno del figliol prodigo che,
dopo aver vissuto da dissoluto in un Istituto tecnico industriale, ritornava alla casa del padre: la facoltà di Medicina, per l’appunto. Con il senno del poi, non ho ancora capito se l’errore più grande sia stato studiare Elettronica o Medicina.
Appena laureato frequentai come medico “volontario”, come si usava negli Anni ‘90, il reparto di Angiologia dell’ospedale San Giovanni. Lì il mio primario, forse apprezzando di più la mia preparazione tecnica di quella medica, mi affidò la costruzione, pezzo per pezzo, di un laboratorio di microcircolazione per lo studio della fisiopatologia del circolo arterioso e venoso. Il pomeriggio, finite le visite, appendevo al chiodo doppler e fonendoscopio e armato di saldatore, pinze, cacciaviti e altri attrezzi non propriamente da clinico, costruii insieme a Maurizio, il capo-elettricista dell’ospedale, un laboratorio assolutamente all’avanguardia pieno di computer, monitor, videoregistratori, oscilloscopi e altri strani marchingegni. Passai quasi un decennio a studiare la fisiopatologia del microcircolo, parola che in quegli anni cominciava ad andare di moda. Di fatto, le caviglie di pazienti selezionati dal mio primario venivano piazzate sotto un grande microscopio per un paio d’ore e si registrava e misurava il flusso dei globuli rossi nei capillari.
Eravamo gli unici in Italia a fare queste ricerche e quando si è gli unici, in genere, i motivi possono essere solo due: o si è dei gran fichi oppure ciò che si sta facendo non serve a niente. Ad anni di distanza il dubbio rimane.
E ora, proprio a partire dalla storia di Salimu, è forse giunto il momento di mettere nuovamente a frutto questa mia particolare formazione tecnica e medica.”

L’autore presenta il libro insieme a Roberto Gervaso, Max Giusti, Paolo Bianchini e Paola Rota; modera Christiana Ruggeri domenica 9 dicembre, alle 13,30 in sala Luna, nell’ambito di Più libri più liberi che si tiene presso il Roma Convention Center La Nuvola, viale Asia 40 (zona Eur).

sabato 1 dicembre 2018

Piùlibri piùliberi -5: “Senza grazie”, incontro a Roma 9/12


Metropolitana di Londra, una delle più grandi “metropoli italiane”, se è vero che ci vivono un quarto di milione di nostri connazionali. Pino Sassano, in Senza grazie, ci conduce nel viaggio in senso proprio e interiore che i passeggeri affrontano nell’underground della capitale britannica nell’indisponibilità di comunicazione con gli altri e, di conseguenza, senza “grazie” da dover scambiare con chicchessia.
Qui sotto uno dei 27 racconti che compongono il libro, al centro di un innovativo progetto di bookshow.

E a chi glielo racconto il mio problema?
Mi sento tutto il peso del mio ruolo, di chi rema.
Volevo stare a letto, così me lo evitavo di prenderlo di
petto e dirgli che è la legge del mercato.
Eppure m’è costato far carriera.
Non sono forse il capo, bene o male?
Sono io che devo dire chi vale e chi non vale.
Al diavolo il diritto sindacale.
So’ boss del personale e questo è tra i doveri.
La moglie sta morendo all’ospedale?
È un bene, mica un male.
Perciò questa mattina, come aprono la sede…
E se m’insiste e chiede un’altra volta la ragione, ripeto
paro paro la lezione: licenziato!
E quel che è stato, è stato.
Il treno s’è fermato…
Com’è che non mi piace di essere arrivato?
(This train is arrived to end)

L’autore presenta il libro insieme a Leon Pantarei, Maria Frega, Nicola Zamperini e Francesco De Filippo domenica 9 dicembre, alle 10,30 in sala Antares, nell’ambito di Più libri più liberi che si tiene presso il Roma Convention Center La Nuvola, viale Asia 40 (zona Eur).

venerdì 30 novembre 2018

Piùlibri piùliberi -6: “Il principio della Terra” – testimonianza di una catastrofe ambientale – incontro a Roma, l’8 dicembre


L’alto co­mando si aspetta grandi risultati dai nuovi esperimenti, e il programma richiede che gli agenti patogeni rimangano efficaci anche dopo un’esplo­sione. Nell’impossibilità di testare l’impatto di un vero e proprio missile veicolatore, che verrebbe subito individuato dai satelliti, qualcosa di ana­logo, in scala ridotta, si può simulare. Ed è quello che sta per accadere.
“Fa una certa impressione pensare che le colture abbiano girato mezzo Paese in treno e in nave prima di arrivare fin qui”, riflette il biologo.
“I contenitori che le racchiudono sono ad altissima tenuta. Non c’è nessuna probabilità di fuoriuscita. L’aereo è inadeguato come mezzo di trasporto, in caso di incidente il rischio di diffusione sarebbe troppo ele­vato. Il volo va bene per gli scienziati, le attrezzature, gli animali. Non per i microrganismi”.
“Quanti membri dell’équipe conoscono il luogo dove ci troviamo?”.
Il principio della Terra, romanzo-reportage di Elena Maffioletti da cui abbiamo tratto il brano sopra riportato, “avvolge il lettore e lo introduce in un mondo straordinario e conflittuale, ricco di un passato magnifico, di una storia recente dolorosa e crudele, e di un futuro incerto. Con una scrittura tonda e accattivante, elegante e precisa, l’autrice ci ricorda e racconta quello che succede là dove le acque scompaiono e la terra nuda e arida spinge sempre più avanti il suo principio.”. (dalla prefazione di Christiana Ruggeri).

L’autrice presenta il libro insieme a Simona Maggiorelli sabato 8 dicembre, alle 15,30 in sala Giove, nell’ambito di Più libri più liberi che si tiene presso il Roma Convention Center La Nuvola, viale Asia 40 (zona Eur).

giovedì 29 novembre 2018

Piùlibri piùliberi -7: La rivoluzione non è un pranzo di gala: “Iran 1979”, incontro a Roma 8/12


La rivoluzione iraniana del 1979, con il suo prezzo altissimo di sangue e di verità, con le lacerazioni insanabili e con le ferite solo in parte ricomposte, è ormai una parte fondamentale, imprescindibile della storia e dell’identità del Paese. La rivoluzione ha toccato la vita di milioni di iraniani: ha diviso e lacerato famiglie, distrutto vite e carriere, dato speranze illusorie e liberato energie insospettabili, affossato e realizzato sogni, segnando profondamente l’esistenza sia di chi quegli eventi storici li ha vissuti sia di chi è nato dopo e ne ha toccato con mano e ne subisce tuttora le conseguenze. Di tutto questo ci racconta Antonello Sacchetti in Iran 1979. La Rivoluzione, la Repubblica islamica, la guerra con l’Iraq.

Vi invitiamo a seguire l’incontro che abbiamo organizzato per il prossimo sabato 8 dicembre a Roma, nell’ambito di Più libri più liberi (Roma Convention Center La Nuvola, viale Asia 40 (zona Eur), con Antonello Sacchetti, Luca Giansanti e Farian Sabahi (ore 13,00 – sala Vega).

Torniamo a quei giorni di quaranta anni fa grazie al ricordo di una testimone diretta.


Il 5 dicembre 1978 partimmo per Teheran con due sole valigie e la bambina di sette mesi. I miei genitori erano morti di paura ma io non volli sentire ragioni. Arrivammo a Teheran alle undici della sera. Si era appena consumata una carneficina, c’erano i carri armati nelle strade
e fummo costretti a rimanere in aeroporto fino alle sette del mattino.
Fu quello il nostro primo impatto con la rivoluzione. I giorni seguenti imparammo a vivere col coprifuoco: non si poteva uscire dopo le due del pomeriggio. Le persone allora salivano sui tetti delle case e urlavano slogan come: “Morte allo scià, servo degli Usa”. Anche i bambini li gridavano mentre giocavano a campana, fino a notte fonda. Un giorno venimmo a sapere che avevano occupato la sede della tv e poi le caserme. Da qui molti giovani prelevarono le armi e sparavano senza saper sparare, i proiettili rimbalzavano, era molto pericoloso e infatti tanti giovani morirono cosi.
In casa dormivamo in terra, perché usavamo i letti per parare le finestre (le persiane, infatti, in Persia non esistono). Al piano di sotto era entrato un proiettile di rimbalzo e ci eravamo spaventati. Ricordo anche lo smog pazzesco, i riscaldamenti a nafta che producevano un odore pungente nelle case e le nuvole nere sopra Teheran. Ero trattata molto bene in famiglia anche se vivevamo quei momenti con molta fatica per il razionamento del pane e della nafta. Non si trovavano più pannolini, quindi dovevo lavare quelli di stoffa, e mancava l’acqua calda. Persino la carta era difficile da trovare. Di quelle settimane ricordo le grandi manifestazioni, con gli
elicotteri della polizia che sparavano sulla folla. Io indossavo il chador, pur non essendo musulmana, perché era un simbolo di protesta contro lo scià. Tantissime donne lo indossavano, ricordo queste onde umane nelle strade».

mercoledì 28 novembre 2018

Piùlibri piùliberi -8: Stelita, una donna coraggiosa; incontro venerdì 7/12


La vita straordinaria di una donna nata in Cile e vissuta nell’Italia fascista, sfuggita ai massacri della dittatura argentina. Il lascito di memoria di una formidabile novantenne, da Valparaíso all’Italia del regime, attraverso la seconda guerra mondiale e l’Argentina peronista degli anni Cinquanta è al centro di Memorie da due mondi, scritto a quattro mani da Manuela Cedarmas e Daniela David.
Le autrici presentano il libro insieme a Riccardo Noury e Anna Maria Giordano venerdì 7 dicembre, alle 17,30 in sala Antares, nell’ambito di Più libri più liberi che si tiene presso il Roma Convention Center La Nuvola, viale Asia 40 (zona Eur).

Di seguito un breve estratto da Memorie da due mondi, sul ruolo della donna durante il Ventennio.

“Durante il fascismo le donne dovevano accontentarsi di vivere secondo lo slogan coniato da Mussolini “obbedire, badare alla casa, mettere al mondo figli e portare le corna”, in sostanza accettare di essere relegate nell’ombra, in un mondo fatto di e per uomini. La donna era e doveva essere “l’angelo del focolare”, madre e procreatrice di sudditi dell’impero. Un ruolo funzionale agli interessi dello Stato, enfatizzato quasi ossessivamente dal regime, che assegnava alle donne una precisa missione nella società. Ogni forma di emancipazione da quel ruolo era del tutto inconcepibile o semplicemente innaturale. La natalità veniva favorita con premi in denaro e agevolazioni economiche per le famiglie più numerose. Le madri con più di sette figli ricevevano la medaglia d’onore, mentre i giovani maschi con più di 25 anni non sposati, in base all’età, dovevano pagare la “tassa sui celibi”. Alla fine degli anni Trenta, nel periodo “imperiale” del regime, cosi si legge in un manuale di igiene: “Lo scopo della vita di ogni donna e il figlio. […] La sua maternità psichica e fisica non ha che questo unico scopo”.

martedì 27 novembre 2018

#Piùlibri piùliberi: -9 giorni. Giovedì 6 dicembre "Testimoni inconsapevoli"


Davvero Aldo Moro è stato ucciso dalle Brigate Rosse, perché lo Stato ha seguito la linea della fermezza, rifiutando ogni trattativa? Alessandro Forlani in Testimoni inconsapevoli analizza i 55 giorni del sequestro del segretario della Dc attraverso la vulgata e le sue contraddizioni, le tante verità emerse in quaranta anni tra indagini e Commissioni e le testimonianze di quanti erano a conoscenza della trattativa per la liberazione di Moro.

Ne parliamo con l’autore, Filippo Ceccarelli e Pasquale Chessa a Roma il prossimo 6 dicembre, alle 17,30 in sala Giove, nell’ambito di Più libri più liberi che si tiene presso il Roma Convention Center La Nuvola, viale Asia 40 (zona Eur).


Riportiamo qui una breve riflessione dell’autore sulle tante verità legate al caso Moro.
“Veniamo al tema specifico del libro: perché le Br alla fine rifiutano l’accordo che sembra avessero sottoscritto? Il governo ha fatto come con Schleyer? A parte il mistero del mancato blitz, pare di no. Il gover­no ha bloccato sì le iniziative interne, ma ha consentito quelle passanti dall’estero.
È arrivato un ordine da fuori, dicono i nostri testimoni inconsape­voli, ma di chi? C’è un mandante, un livello superiore brigatista? Di sicuro non è pensabile che Paolo VI, Tito e Andreotti si siano fidati di persone che non davano garanzie. Il mediatore non poteva essere solo quel brigatista che Curioni incontrava nei bagni della metropolitana di Napoli. Deve quindi essere successo qualcosa di imprevisto nelle trattative ad alto livello, ma cosa?
Resta una verità storica, che non è poco. C’è una verità morale: il potere preferisce le soluzioni di comodo a quelle di principio. Si può tentare la via di una verità, per così dire, filosofica, simbolica e lette­raria, più che letterale? Ci aiuteranno i sogni con cui ho aperto ogni capitolo di questo libro?”

lunedì 26 novembre 2018

28 ottobre 2016, l’ultimo volo della Chapecoense


Tra pochi giorni ricorrerà il secondo anniversario del disastro aereo che ha spezzato le vite e i sogni dei giocatori e tecnici della Chapecoense, in viaggio verso la Coppa Sudamericana.
Abbiamo chiesto un ricordo a Lucio Rizzica, che su questo tema ha scritto per noi “Proprio come una cometa”.

Sono passati già ventiquattro mesi dal giorno di quella tragedia che spezzò le vite e i sogni di settantuno persone. Ventiquattro mesi di ricordi, di lacrime, di coraggio. Ventiquattro mesi dopo il disastro aereo più assurdo, causato da una inconcepibile leggerezza, dall’incredibile assenza del carburante necessario per completare il volo che stava portando la squadra della Chapecoense fino in Colombia, per disputare a Medellìn la finale della Coppa Sudamericana. Uno schianto ha ucciso in un attimo la piccola grande leggenda che il club di Chapecò era riuscita a costruire, arrivando finalmente a giocare un torneo internazionale, a lottare per un risultato importante, dopo una storia lunga appena 44 anni e vissuta tra promozioni e fallimenti, tra esaltazioni e cadute dalle quali la società era sempre risorta, alzando ogni volta un pò di più l’asticella, approdando finalmente nel calcio che conta, nel massimo campionato brasiliano. Con la insolente sfacciataggine di chi sente che sta contribuendo alla costruzione di una storia ai confini del mito.

“...quel che fa male, quando si pensa alla Chapecoense, è dover realizzare che tutto questo sia finito. Che il contabile divino abbia deciso di tirare una linea sul registro del dare e dell’avere e che alla fine il prezzo per tanta spavalda incoscienza sia stato pagato al destino nella maniera più orribile e sproporzionata, assurda. È vero, la vita continua e la Chapecoense è risorta. Ma ‘quella’ Chape non c’è più e si è portata dietro i propri segreti e il dubbio che mai avrà risposta di cosa avrebbe mai potuto combinare ancora in futuro...”

Quando, dopo un anno e cinque mesi di lavoro coordinato fra le autorità di cinque Paesi (Colombia, Bolivia, Brasile, Usa e Inghilterra), sono arrivate tutte le risposte da parte dell’Aeronautica Civile Colombiana, la rabbia e l’amarezza hanno determinato nella città di Chapecò un palpabile senso di confusione. L’aereo della LaMia – che trasportava la squadra e lo staff tecnico e quello amministrativo della società, giornalisti, ospiti e membri dell’equipaggio – aveva imbarcato a bordo 9.300 kg di combustibile. Ne sarebbero serviti invece 11.603: per 40 minuti il velivolo ha vissuto la sua lenta agonia in stato di emergenza, fino a quando è precipitato cancellando allegria e speranze. Risparmiando sei vite appena, appesantite da quel momento in avanti da quella terribile esperienza che dolorosamente va facendosi giorno dopo giorno memoria. In ogni angolo della città qualcosa ricorda la storia di quella Chapecoense, quel dramma dal quale la Chape è ancora una volta risorta, questa volta con faticosa sofferenza, ricostituendo la società e la squadra, tornando in campo davanti alla torcida dell’Arena Condà che l’ultima volta si era stretta in un immenso abbraccio al grido disperato e strozzato in gola di ‘vamos vamos Chape’ col quale ventimila persone avevano detto addio ai propri beniamini.

La tragedia della Chapecoense, avvenuta il 28 novembre 2016, commosse il mondo intero, spingendo chiunque a contribuire a suo modo all’ennesima rinascita, la più difficile, del club dell’Indio Condà. Una resurrezione fortemente voluta, che ha permesso alla società di presentarsi ancora una volta in campo con una squadra e uno staff totalmente nuovi a quasi due mesi dalla tragedia, il 21 gennaio 2017. Una amichevole con il Palmeiras fu il primo vagito della nuova Chape appena nata da un incubo. Fu un giorno strano, intriso di emozioni e di sofferenza. Venne consegnata ai familiari della vittime del disastro una medaglia commemorativa della vittoria della Coppa Sudamericana, ottenuta per rinuncia dell’Atletico Medellìn in onore della squadra svanita in un boato. Impossibile non piangere, impossibile non provare un brivido quando alla radio i tifosi tornarono a udire la voce del giornalista Rafael Henzel, uno dei sei miracolati scampati al disastro e quando in campo si ripresentò con gli occhi gonfi di pianto Alan Ruschel, un altro superstite di quel volo maledetto.

È stato difficile per la dirigenza della Chapecoense vivere i primi due anni dal disastro aereo cercando di mantenere un giusto equilibrio fra tanti eventi commemorativi in giro per il mondo e il sobrio senso del lutto collettivo. Ma era troppo urgente tornare a giocare, tornare a far gol, tornare a far sognare la torcida. Sarebbe stato quello il modo migliore di onorare chi era scomparso mentre andava alla conquista di gloria e prestigio per tutta una comunità. La Chape in questi primi due anni dalla tragedia ha dapprima ottenuto una salvezza e poi conquistato l’ottavo posto nel campionato successivo. Il miglior risultato di sempre. L’ennesima dimostrazione che, come l’Araba Fenice, il team verde e bianco sa sempre come rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte, forte del potere della resilienza e di una forza d’animo incredibile.

La Chapecoense oggi è una realtà del calcio brasiliano, rinata nel ricordo di quegli atleti scomparsi i cui volti ancora campeggiano sulle pareti degli spogliatoi dell’Arena Condà, uomini che hanno squarciato il cielo immobile del calcio sudamericano descrivendo una parabola indimenticabile destinata a dar vita a una leggenda, una leggenda oramai patrimonio del mondo...

“...la Chape, la nostra Chape… e come in quel cielo buio ha tracciato improvvisa una linea di luce, una traiettoria diversa… È stato qualcosa di totalmente nuovo rispetto a quel cielo così perfetto e immutabile…”

La Chapecoense di quanti hanno gioito e pianto seguendo quella traiettoria così luminosa, così rapida, così lesta a svanire, “Proprio come una cometa”.

#Piùlibri piùliberi: -10 giorni al via. Mercoledì 5/12 presentazione del libro "Donne che creano impresa"

Le storie e l’esempio di quattro imprenditrici del settore beauty, uno dei pochi a sfidare con successo la crisi, sono al centro di DONNE CHE CREANO IMPRESA IL MONDO BEAUTY: SCOPRI COME REALIZZARE LA TUA START-UP della business coach Alessia D’Epiro. Attraverso le loro storie potremo scoprire come è possibile cambiare rotta, affrontare un cambiamento e reinventarsi con consapevolezza nel mondo del lavoro se si conoscono gli strumenti giusti per progettare una start-up.
Ne parliamo con l’autrice Alessia D’Epiro, Tiziana Pompei (vicesegretario generale di Unioncamere) e tre protagoniste del libro, Paola Malaspina, Milena Valentini e Sara Abbate a Roma il prossimo 5 dicembre, il giorno inaugurale della 17° edizione di PIÙ LIBRI PIÙ LIBERI
Vi aspettiamo tra dieci giorni in Sala Giove, presso il Roma Convetion Center La nuvola, viale Asia 40 (zona Eur).

domenica 25 novembre 2018

25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una settimana di approfondimenti

Concludiamo questa settimana di approfondimenti sul tema della violenza contro le donne con un brando tratto da VASANDHI, in cui Rinaldo Boggiani racconta una storia di violenza e rinascita.


“Quando un uomo sospetta d’essere tradito cambia in peggio. I suoi comportamenti, i silenzi, le domande, vanno tutti in quella direzione: cerca di capire, mette insieme tante cose – uno sguardo, un ritardo – le fa combaciare come le tessere di un puzzle e alla fine è certo che i suoi sospetti siano fondati. Da quel momento è più violento e aggressivo: è lui a sentirsi ferito, è lui che fa una vita d’inferno per colpa della donna che diventa causa di quel tormento, della sua infelicità, e per questo lei deve pagare. E lo fa con una nuova violenza, non solo verbale, e con nuove umiliazioni, come se attraverso offese e brutalità l’uomo ristabilisca la sua dignità.
Impossibile continuare, ma non sapevo come fermare quell’uomo. Avevo sempre meno energie ed era sempre più difficile proteggere Rādhā da suo padre. Fino al giorno in cui crollai.”

sabato 24 novembre 2018

25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una settimana di approfondimenti

Un dialogo duro e surreale, tratto da I BASTARDI DI SARAJEVO  di Luca Leone, ci porta nel tunnel dello stupro di guerra.


– … Mi dica…
– … Beh, che vuole che le dica… lo saprà anche lei… di sicuro meglio di me… la guerra non ha risparmiato chi è rimasto…
– Lo immagino…
– Lei non era qui, durante la guerra…? Che so, nel 1992… nel 1993…
– Studiavo negli Stati Uniti. Ma vi seguivo sempre in tv… e qui avevo amici, i miei genitori… almeno all’inizio… sono stato fortunato, che le posso dire…?
– … Fortunato… è vero… ah, Dio solo sa se anche noi avremmo vo­luto andare via…! Ma non avevamo i soldi…
– Capisco…
– … Eravamo prigioniere qui, nel gigantesco zoo che Sarajevo era di­ventata… prigioniere con altre trecentomila persone, tutti in gabbia!
– Capisco…
– No, non credo che lei possa capire… con tutto il rispetto… ma vede, per tornare alla mia Azra…
– Sì…
– … Mia sorella è una delle tante che ha pagato due volte il prezzo salato della guerra, dottore.
– Cioè?
– Negli Stati Uniti non vi spiegavano che qui in Bosnia Erzegovina le donne subivano l’umiliazione dello stupro etnico?
– No… in effetti no… o comunque non l’ho afferrato, non allora, alme­no… mi occupavo d’altro… l’ho scoperto rientrando, tornando a casa…
– Cinquantamila di noi, si dice. Cinquantamila di noi sono state vio­lentate perché di un’altra religione, perché figlie di un altro gruppo nazio­nale, perché figlie di musulmani, come nel nostro caso, improvvisamente diventati nemici di serbi o di cattolici con cui avevamo giocato o studiato e convissuto fino a pochi giorni prima. Perché lei, che è medico… perché lei queste cose non le sa…?
– No no, non ho detto questo… ora le so, oggi le conosco… ma allo­ra… beh, io…

venerdì 23 novembre 2018

Nuovo in libreria: "L'ultimo barile" di Daniele Zanon



(€ 15,00 – pag. 160)

Di Daniele Zanon
Prefazione di Marco Cortesi

I grandi libri hanno spesso anticipato gli eventi, raccontando mondi futuribili che poi si sono materializzati. La lotta al terrorismo, la brutale propaganda mediatica e politica, la rinuncia ai diritti in nome di una non meglio precisata sicurezza sono temi contemporanei che ci accompagneranno nei decenni a venire. E nello sviluppo verosimile e sorprendente di questo grande libro.
Alì, un tempo soldato, un tempo cristiano, si è convertito all’Islam per amore di Aisha. Insieme a lei ha accettato di vivere in un bunker scavato sotto le lapidi di un cimitero abbandonato, alle porte di Roma. Il loro compito è quello di custodire l’ultimo barile di petrolio rimasto.
In un clima di propaganda brutale, in uno scenario futuristico di guerra e di odio, di tecnologie militari avanzate e di povertà assoluta, le frequenze della Radio Nazionale tengono informati i cittadini sulla guerra passata, sugli sviluppi della lotta al terrore, sulle intenzioni dell’esercito e della politica nei confronti della comunità islamica.
Prendetevi una giornata libera e leggete L’ultimo barile tutto d’un fiato. Anche perché, se non sarete organizzati, vi troverete costretti a farlo comunque in quanto non riuscirete a smettere”. (Marco Cortesi)

25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una settimana di approfondimenti

Femminicidio, la cifra estrema della violenza contro le donne. Un breve estratto da I LABIRINTI DEL MALE.


“Spesso l’uccisione di una donna è solo l’estrema conseguenza di violen­ze (fisiche, psicologiche, sessuali, verbali) che ha dovuto subire in vita. E la società, omertosamente, tace. “Delitto d’amore”, “Amante incompre­so”, “Passione impazzita”: scardiniamo dalle nostre menti questi concetti, sono omicidi! Nessuna attenuante, nessuna “comprensione” per questi assassini, se non la cura per chi è affetto da malattie mentali riconosciute e il recupero nel corso del trattamento carcerario, per chi è stato condan­nato a una pena detentiva.”

giovedì 22 novembre 2018

25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una settimana di approfondimenti

Abbiamo attinto al prezioso lavoro dello storico Angelo Lallo, precisamente dal libro dal titolo IL SENTIERO DEI TULIPANI, il brano di oggi sul tema della violenza contro le donne.


“L’indicatore ideologico è proteso verso la creazione di un’identità nazionale legata, individuo per individuo, dal collante psicologico della paura e dell’angoscia (personale e collettiva) per preservare una nazione votata alla sparizione economica, etnica e culturale. Gli strumenti usati sono stati molteplici, principalmente facendo leva sulle corde emotive legate alla paura nei confronti dell’altro, ribadendo che il popolo serbo era psicologicamente e geneticamente superiore alle sottorazze croate e bosniache, considerate alla stregua di animali. È stato immesso nel corpo sociale il virus della tensione psicologica, proponendo eventi negativi del passato (la storia di massacri contro il popolo serbo) come se fossero attuali, utilizzando la narrazione storica coniugata al presente, costruendo artificiosamente l’alibi per distruggere il nemico, non importa se il vicino di casa, l’amico o uno stesso familiare. Eliminare “l’altro” non era che una forma di difesa personale, e quindi lo stupro etnico è diventato una “necessaria” purificazione genetica. In questo solco il genocidio di Srebrenica, tra le altre cose, è stato un rito dimostrativo dell’inutilità del maschio musulmano, un tassello verso la purificazione etnica, atto indispensabile in prospettiva della distruzione di un popolo. L’abilità è stata quella di legare le teorie psicologiche al tessuto nazionale serbo, utilizzando paradigmi sociali, storici,
culturali e spirituali già esistenti per creare una “bolla collettiva di paura” che ha prodotto un fenomeno peculiare di queste terre per il quale potremmo coniare il termine di psiconazionalismo, un concetto che non si trova in un dizionario.”

Da Berbenno a PyeongChang, un cammino d’oro: Arianna Fontana in “Oro Bianco”, che sarà presentato a Sondrio il 22/11


“Un conto è diventare un mito dello sport italiano, un altro è trasformarsi in leggenda della disciplina a tutto tondo, maschi compresi. Impresa per pochi eletti, di sicuro per pochissimi campioni azzurri. Ecco, lei, Arianna Fontana da Polaggia di Berbenno, bassa Valtellina, provin­cia di Sondrio, c’è riuscita giusto in uno sport a trazione valtellinese, con centro federale dislocato però da tempo a Coumayeur, in Val d’Aosta (e cento praticanti sì e no a esagerare). Tanto per non farsi mancare qualche chilometro in più. Perché questa è una storia di chilometri: “Ventimila mal contati”, tra l’anno in cui la piccola Arianna frequenta­va la prima media e i Giochi di Torino 2006, quando a 15 anni e 10 mesi diventò, con il bronzo in staffetta, la più gio­vane medagliata azzurra nella storia degli sport invernali, alle Olimpiadi. C’è un perché, oltre alla sua classe naturale e alla voglia di vincere innate: dobbiamo tutti un grazie a Maria Luisa Vedovatti, cuore di mamma, che ha percorso ogni giorno quei 160 chilometri che separano Berbenno da Bormio, in alta Valtellina, dove si allenava la “saetta bion­da”, accompagnando figlia e sogno, contemporaneamen­te. «C’è meno strada da Berbenno a PyeongChang, in Corea, dove il sogno s’è avverato: 18.000 chilometri in linea d’aria», scrive Elisa Chiari su Famiglia Cristiana.
Quante statistiche ha infranto, Fontana, in Corea: a otto anni dal raccontato trionfo di Razzoli a Vancouver 2010, in slalom, ha riportato per prima l’Italia sul gradino più alto del podio alle Olimpiadi invernali, quattro giorni dopo essere stata portabandiera della spedizione azzurra (seconda atleta della Fisg, è succeduta a Carolina Kostner, Torino 2006) alla Cerimonia inaugurale, esattamente come Deborah Compa­gnoni a Lillehammer ‘94. Sui 500 metri era già stata bronzo in Canada, nel 2010, e argento a Soči, nel 2014. Mancava un solo metallo, il più pregiato, per chiudere il cerchio del­la carriera. Prenderselo significava diventare anche la prima europea della storia a vincere un oro olimpico nello sport di asiatici e nordamericani, e nel format di gara (500 me­tri) dominato dalle cinesi nelle ultime quattro edizioni e in precedenza solo da americane e canadesi, mai da una rap­presentante del Vecchio Continente. Tabù infranto.


Con questo brano, tratto dal libro a quattro mani dei giornalisti Gianmario Bonzi e Dario Ricci dal titolo Oro bianco. Tutti gli olimpionici invernali azzurri, abbiamo voluto ricordare la figura della valtellinese Arianna Fontana e una parte dei suoi successi.

Gli appassionati di neve e ghiaccio non possono perdere la cena con gli autori che si terrà giovedì 22 novembre a PONTE IN VALTELLINA (SO), presso il ristorante Cerere, via Senatore Enrico Guicciardi, 7, ore 20,00. Cena con Gianmario Bonzi e Dario Ricci, autori del libro; evento in collaborazione con il Panathlon Sondrio. Prenotazioni entro il 20/11 telefonando al numero 337/386575 o via mail scrivendo a segreteria@panathlonsondrio.it.

Višegrad, l’odio, la morte, l’oblio, incontro con Luca Leone 22/11 a Cuneo


Architetto, per oltre un quarto di secolo interprete per l’esercito ita­liano e per l’ambasciata italiana in Bosnia Erzegovina, interprete giurato per i tribunali nazionali, perché nonostante “il mio amore incon­dizionato per l’arte, l’architettura, la storia e la bellezza”, dopo essere so­pravvissuta a un assedio, a Sarajevo, lungo quattro anni, ed essere rimasta da subito vedova con due bambini da crescere, l’unica cosa da fare era cer­care il primo lavoro per cui ci si sentisse capaci e darsi da fare per guada­gnarsi di che vivere. Kanita Ita Fočak non è mai venuta a patti col diavolo e ogni pezzetto di pane, per sé e per i suoi cari, se l’è guadagnato duramen­te, sempre a testa alta. Per il suo lavoro – premiato sia in Italia che dall’U­nione europea – Kanita ha girato in lungo e in largo la Bosnia Erzegovina e non poteva di certo mancare tra i suoi tanti incarichi quello di svolgere le mansioni di interprete nel buco nero per eccellenza. Višegrad.
Riportiamo un piccolo estratto della testimonianza di Kanita Ita Fočak in missione a Višegrad, raccolta dal giornalista Luca Leone nel reportage Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio, reportage scritto sul campo che descrive le vicende, raccoglie le testimonianze di tutte le parti e fa il punto sull’episodio che ha rappresentato la prova generale di ciò che sarebbe accaduto tra il 1992 e il 1995 a Srebrenica, Prijedor, Foča e in altri luoghi passati alla storia per la crudeltà degli eventi verificatisi.
“Coi militari italiani sono dovuta andare anche a visitare l’hotel Vilina Vlas… – chiude gli occhi per un istante, prende aria, fa una lunga pausa –. Sono andata, sebbene per me, in quanto donna, sia stato molto diffi­cile. Sono una professionista, ma mi sono resa conto come certi ambienti non possano non condizionarti e lasciarti addosso una brutta sensazione. Ricordo d’aver visto, lì, veramente brutta gente…! Brutta… abbiamo dovuto parlare con loro e io ho fatto il mio lavoro… ma deve essere chia­ro che l’interprete non è avulso dalla realtà, ascolta tutto e capisce tutto quello che chi dialoga si dice. Ho dovuto avere una forza immensa per non reagire, per non lasciarmi andare neppure a un semplice cenno… L’unica cosa bella che ho visto all’epoca è stata una piccola e bella chiesa ortodossa in un bosco. Poi ricordo gli edifici ottomani con i bagni terma­li, risparmiati perché permettono di avere accesso a un’acqua speciale con proprietà radioattive. Il Vilina Vlas – dove sapevo essere state stuprate in massa tante donne bosniache – mi ha ghiacciato il sangue nelle vene, nonostante non vi fossero tracce visibili. Anzi, una cosa che mi ha stupito tanto è stato trovarvi, sano e salvo, il trittico di Ibrhahim Ljubović. Non hanno distrutto il quadro… e la cosa mi ha dato gioia”.
L’autore presenta il libro giovedì 22 novembre, CUNEO, presso il Caffè Fantino (Caffè letterario), corso Nizza 28, ore 17,30. Iniziativa nell’ambito di Scrittori in città.

mercoledì 21 novembre 2018

25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una settimana di approfondimenti

La riflessione di oggi sul tema della violenza contro le donne è affidata alle parole di Emanuela Zuccalà in DONNE CHE VORRESTI CONOSCERE.

Sono tante le organizzazioni internazionali impegnate in Malawi. Io sono venuta qui con ActionAid, che ha il quartier generale a Jo­hannesburg, in Sudafrica, e filiali italiane a Roma e Milano. Dal 1990 raggiunge le comunità più invisibili e, oltre a occuparsi di prevenzio­ne dell’Aids, sicurezza alimentare, acqua potabile e istruzione, spinge sulla cultura dei diritti e sull’empowerment delle donne, per dire a questa gente che la loro sorte non dipende dai capricci della terra e delle piogge. Che possono coniugare i valori delle loro tre tribù Che­wa, Ngoni e Yao con una vita a testa alta. Che la violenza domestica si può combattere, così come l’analfabetismo. E che con piccoli prestiti in denaro potranno fare grandi cose.

Più libri, gli incontri con gli autori

Riveliamo finalmente gli incontri con gli autori inseriti nel programma culturale di Più libri più liberi. Segnate le date che vi interessano e veniteci a trovare!


martedì 20 novembre 2018

25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una settimana di approfondimenti

Secondo appuntamento con i nostri approfondimenti legati al tema della violenza contro le donne. Oggi ne parliamo grazie a MI CHIAMO BEBA, di Palma Lavecchia


Intanto, galleggiavo in una storia assurda e spietata, in cui adesso l’amante ero diventata io, perché lui in­ventava per Sara cene e riunioni serali di lavoro pur di avere un pretesto per attardarsi da me. E in quei fran­genti, mi controllava il telefono, scorreva le e-mail e i messaggi nella mia posta elettronica, quasi sempre mi trascinava in bagno esigendo un rapporto stravagante, qualche volta è arrivato addirittura a insultarmi e mi­nacciarmi con un coltellino puntato alla gola. Spesso, però, capitava anche che mi chiedesse scusa, mi diceva che non avrebbe mai voluto farmi del male, che ero di­ventata un’ossessione da cui non sapeva liberarsi. Erano quelli i momenti in cui oscillavo tra la pietà, la com­passione e la tenerezza. Lo abbracciavo e lo scoprivo piccolo tra le mie braccia e non era raro che finissimo a fare l’amore con una passione struggente e dolorosa. Poi, però, ritornavano le volte in cui mi annullava con insulti e affermazioni insensate, con gli schiaffi in faccia e mi faceva sua con violenza. Era in quelle occasioni che avevo quasi la sensazione che si nutrisse del mio terrore, che così si sentisse forte e potente. E io lo odia­vo; lo odiavo, ma nel contempo iniziavo a credere di non meritare nulla di meglio.”

Giornata mondiale dei Diritti dell’Infanzia


Si festeggia oggi, in tutto il mondo, il ventinovesimo compleanno della Giornata internazionale per i diritti dell’Infanzia e l’Adolescenza. La Giornata ricorda il 20 novembre del 1989, data in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò, a New York, la Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia.
La Convenzione è uno strumento normativo internazionale di promozione e tutela dei diritti dell'infanzia. Dei i 54 articoli da cui è composta ne spiccano alcuni a tematiche molto importanti, come quelle contro l’abuso e lo sfruttamento minorile. La Convenzione specifica quali siano gli obblighi degli Stati e della comunità internazionale nei confronti dell'infanzia e codifica e sviluppa in maniera significativa le norme internazionali applicabili ai bambini, indicando come tali ogni essere umano avente un'età inferiore ai 18 anni. La Convenzione è stata ratificata da tutti i Paesi del mondo, eccetto Somalia e Stati Uniti; l’Italia lo ha fatto nel 1991.
La Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia rappresenta uno strumento giuridico vincolante per gli Stati che la ratificano e un chiaro riferimento a tutti gli sforzi compiuti in cinquant'anni di difesa dei diritti dei bambini.

Festeggiamo insieme questa ricorrenza segnalando due libri su questa tematica, MISTER SEI MILIARDI, di Luca Leone e I DIRITTI DEI BAMBINI di Marco Scarpati.

lunedì 19 novembre 2018

25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una settimana di approfondimenti


Domenica 25 novembre il mondo celebrerà la 19° Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Decine di iniziative avranno luogo in tantissime piazze italiane e in tutto il mondo, per sensibilizzare l’opinione pubblica nei riguardi di un tema quanto mai attuale e su cui è necessario che l’attenzione sia alta per 365 giorni l’anno.
Abbiamo così deciso di dedicare la settimana che inizia oggi e tutti i giorni che portano al 25 novembre proponendo dei brevi estratti da alcuni dei nostri libri che trattano questo argomento.



Il brano di oggi è tratto dal RAPPORTO 2017-2018. LA SITUAZIONE DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO, firmato da Amnesty International.

Oggi, molti dei nostri spazi pubblici più importanti sono online, dove gli strumenti per affrontare le sfide emergenti si sono rivelati a volte del tutto inadeguati rispetto all’obiettivo. La valanga di abusi online, specialmente contro le donne, e l’incitamento all’odio verso le minoranze hanno indotto una risposta debole e inconsistente da parte delle compagnie che gestiscono i social media e azioni insufficienti da parte dei governi.”

mercoledì 14 novembre 2018

Il processo a Joaquín Guzmán, boss del narcotraffico: il Messico nel reportage di Fausta Speranza, incontro a Roma il 17/11


Il boss dei boss del narcotraffico in tribunale: il 13 novembre si è formalmente aperto a New York il processo a Joaquín Guzmán, signore della droga messicano catturato ed estradato negli Stati Uniti dove deve rispondere di 17 gravissimi capi di accusa, tra straordinarie misure di sicurezza. La storia di El Chapo, con le sue rocambolesche evasioni e i suoi misfatti, è contenuta, tra l'altro, nel volume Messico in bilico della giornalista Fausta Speranza, in libreria da alcune settimane. Il testo, arricchito di testimonianze di vittime delle violenze e di cultura, ricostruisce, tra l'altro, la geopolitica dei traffici che dall'America Centrale passando per il Messico arriva negli States ma anche in Europa, in Africa e di recente in Cina. Dal lavoro della giornalista abbiamo tratto questo brano, dedicato a El Chapo.
“L’11 luglio 2015 il signore della droga Joaquín El Chapo Guzmán ha compiuto una spettacolare evasione da un carcere di massima sicurezza messicano. In un filmato tratto dalle registrazioni delle telecamere a cir­cuito chiuso, si sente il forte rumore dei colpi inflitti dai suoi complici mentre scavavano un tunnel sotto la sua cella poco prima dell’evasione. Il documento video, trasmesso da Televisa Tv, fa supporre che le guardie che stavano monitorando le telecamere di sicurezza non si siano accorte del rumore sospetto: il primo controllo alla cella di El Chapo è infatti avvenuto solo 26 minuti dopo l’evasione attraverso un buco nella doccia, l’unico angolo cieco della sua cella. Il governo, subissato di critiche per 67 l’incapacità dimostrata nell’evitare l’evasione, aveva già mostrato alcune parti dello stesso filmato, che inizia due minuti prima della sparizione di Guzmán. Il video comincia con El Chapo sdraiato sul letto della sua cella accanto a una piccola televisione con il volume alzato. Il rumore di quel­lo che sembra un programma televisivo copre parzialmente il suono dei forti colpi, causato presumibilmente dai complici che stanno spaccando il pavimento della doccia. I colpi iniziano circa quattro minuti prima della sparizione del boss. Televisa ha anche mostrato un video girato in contemporanea nel centro di controllo che dovrebbe monitorare i de­tenuti della prigione dell’Altiplano, non lontana da Città del Messico. Nel filmato, alcune guardie osservano gli schermi di sorveglianza, ma apparentemente non si accorgono o decidono di ignorare quello che accade nella cella di Guzmán. Non è chiaro quali immagini vengano proiettate sugli schermi del centro di controllo nel filmato trasmesso. Il governo messicano ha finora arrestato 34 persone legate all’evasione, in­clusi l’allora direttore della prigione e un pilota sospettato di aver portato Guzmán al suo nascondiglio. Il ministero dell’Interno si è rassegnato all’idea che l’evasione sia riuscita grazie alla collusione di guardie e altri funzionari della prigione, ma rimangono dubbi sull’entità e la natura dell’aiuto fornito al boss. «Il video diffuso provoca un forte sdegno nei confronti del governo», ha detto il senatore Alejandro Encinas, membro della commissione bicamerale sulla sicurezza. «Le autorità hanno menti­to e occultato informazioni». Questa è solo la sua seconda evasione. Era già stato catturato nel Messico nord-occidentale nel febbraio del 2014.”

Di questo, delle carovane di migranti che dall'Honduras sono partite verso il Nord America, ma anche del magnifico spessore di un paese che affonda nella storia e sfida la modernità, si parlerà nella presentazione di Messico in bilico con l'autrice e il dirigente Rai Valerio Iafrate il prossimo 17 novembre a Roma, alle 19.30 presso i locali della Parrocchia Santa Maria delle Grazie al Trionfale, in Via Frà Albenzio 1.

lunedì 12 novembre 2018

“A piccoli passi”, il tema dei minori stranieri non accompagnati a Volpago del Montello il 15/11


Sono donne, per lo più tra i 46 e 60 anni, a costituire la componente più numerosa dei 30 partecipanti al corso per tutori volontari che si è appena concluso a Firenze su spinta dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia). Solo a Firenze – informa in una nota l’Agia - vivono 286 minori stranieri soli, quasi il 60 per cento di quelli complessivamente presenti in regione e la maggior parte di loro sono ragazzi, nella fascia 16-17 anni, di origine albanese. La figura del tutore volontario, che si sta sviluppando con corsi di formazione in tante regioni italiane, è una persona che si è resa disponibile a creare una relazione con il ragazzo o la ragazza; non si vuole far nascere un rapporto basato puramente sulla forma, bensì una relazione vera, che dia a questi minori la certezza di un supporto di una persona adulta.

Sul tema dei minori stranieri non accompagnati la ricercatrice Lucia De Marchi ha lavorato a lungo e ha riunito il suo lavoro nel saggio dal titolo A piccoli passi. Minori non accompagnati e cittadinanza attiva. Vi invitiamo a seguire l’incontro con l’autrice che si terrà giovedì 15 novembre a VOLPAGO DEL MONTELLO (TV), presso l’auditorium dell’oratorio parrocchiale, via Venozzi 4, alle 21,30.

mercoledì 31 ottobre 2018

"Memorie da due mondi", nuovo in libreria


Infinito edizioni segnala in libreria

(pag. 224 - € 15,00)
Di Daniela David e Manuela Cedarmas
Prefazione di Estela Carlotto
Introduzione di Riccardo Noury
Postfazione di Maria Cristina Bartolomei


La vita straordinaria di una donna nata in Cile e vissuta nell’Italia fascista, sfuggita, per un funambolico equilibrio della fortuna, ai massacri della dittatura argentina. Narrata come il lascito di memoria di una formidabile novantenne, la biografia ripercorre la nascita di Stelita a Valparaíso, in Cile, l’infanzia nell’Italia del regime tra un collegio di suore e l’altro, l’università a Urbino durante la guerra, il matrimonio in Inghilterra con un soldato polacco, l’approdo nell’Argentina peronista degli anni Cinquanta. Un percorso itinerante che sembra fermarsi nella grande Buenos Aires, ma che sarà squarciato dalla repressione del regime militare. La persecuzione dei sacerdoti terzomondisti e la scomparsa di amici e persone a lei molto vicini la portano a tentare allo stremo una fuga che si rivelerà tanto surreale quanto salvifica, verso, per ironia della sorte, il Cile del dittatore Augusto Pinochet. Lo straniamento vissuto in Cile la condurrà ancora in Italia e poi verso Cuba, Messico, Panama, a vivere insieme a famiglie di esuli argentini, militanti del movimento Montoneros. Mentre in Argentina torna la democrazia, Stelita è di nuovo in Italia, prima di tornare per l’ultima volta dove tutto era cominciato, in Cile. Una storia straordinaria raccontata in punta di penna, omaggio, oltre che alla sua figura anticonvenzionale di donna, ai desaparecidos di tutte le Argentine.
“La storia personale della protagonista di questo libro è un chiaro riflesso del fatto che il lavoro per la Memoria, la Verità e la Giustizia non conosce frontiere”. (Estela de Carlotto)
La vita di Stelita è stata avventurosa, intrigante, ricca di episodi e avvenimenti. Ma con tanta sofferenza e resistenza, per vicende storiche, politiche e personali di cui è stata protagonista”. (Riccardo Noury)
“Di Stelita si apprezzava il calore e la cordialità della comunicazione; il garbo, finezza e gentilezza di un’antica educazione; la vivacità e apertura intellettuali; l’impegno politico e umanitario; la profondità spirituale”. (Maria Cristina Bartolomei)

Con il patrocinio di 24 marzo.it

Il libro:
Titolo: Memorie da due mondi
Autrici: Daniela David, Manuela Cedarmas
€ 15,00 – pag. 224

Le autrici
Daniela Carloni David è nata nel 1968 a Milano, dove vive e lavora, occupandosi di attività nel mondo dell’Information Technology in una grande azienda. Negli ultimi anni si è appassionata alla diffusione di metodi di lavoro “agile”, un approccio innovativo basato sulla collaborazione tra le persone. Per molti anni è stata attivista di Amnesty International, dove ha coltivato il continuo sguardo sull’altro. Più di tutto è una lettrice, con il pallino del potere salvifico della scrittura. Non fatevi ingannare dal doppio cognome, non è nobile.

Manuela Cedarmas (Cividale del Friuli, 1975) ha studiato prima a Milano presso l’Università Bocconi e poi a Londra presso la London School of Economics specializzandosi in studi econometrici e di economia dello sviluppo. Attualmente è dirigente presso una società finanziaria e si occupa in particolare di mercati emergenti e investimenti responsabili. È appassionata di viaggi e culture lontane ma rimane orgogliosa delle proprie origini friulane. È stata volontaria in Amnesty International e ha fatto parte della Commissione Azioni Nazionali e del Dipartimento Diritti Economici e Sociali. Vive a Milano con il marito e i figli.