Srebrenica,
19 anni dopo – pensieri per l’anniversario: Paolo
Bergamaschi
Sento ancora i giorni di Srebrenica sulla
mia pelle. Per me è impossibile dimenticare quei tragici momenti. Pochi giorni
prima ci aveva lasciato Alexander Langer che in parlamento aveva inutilmente
cercato di smuovere l'Unione europea dall'inerzia esasperante nei confronti del
dramma bosniaco. Quando cadde Srebrenica, però, nessuno si rese immediatamente
conto del destino dei suoi abitanti. Le immagini di Mladić con la resa del contingente olandese della
Nazioni Unite che sulla carta avrebbe dovuto proteggere l'enclave avevano
causato sconcerto, rabbia e vergogna ma non facevano presagire quello che è poi
diventato il più grande crimine contro l'umanità sul suolo europeo dopo la
seconda guerra mondiale. Solo qualche mese dopo cominciarono ad emergere le
prime testimonianze sull'eliminazione premeditata della popolazione maschile
della città. Ricordo come fosse oggi, durante una cena di lavoro a Sarajevo,
l'ambasciatore svizzero che riportava il racconto di un testimone sulle squadre
della morte serbo-bosniache che aspettavano con le armi spianate nei boschi
sulle alture circostanti i gruppi di profughi sulla strada per Tuzla per
compiere il massacro pianificato da tempo con la connivenza imbelle di tutta la
comunità internazionale. Sono poi tornato a Srebrenica in occasione del
decennale di quello che il diritto internazionale ha qualificato come
genocidio. Eravamo decine di migliaia nel cimitero di Potočari a commemorare gli scomparsi e a presenziare
alla cerimonia funebre delle salme che continuavano ad essere recuperate ed
identificate dalle fosse comuni. Troppo tardi. Che almeno quei morti possano
prevenire altri crimini contro l'umanità.
Paolo
Bergamaschi,
consigliere presso
la commissione Esteri del Parlamento europeo,
musicista,
scrittore