Translate

mercoledì 28 giugno 2017

Srebrenica, l’ipocrisia olandese e quella certa incresciosa repulsione dei media italiani per la parola “genocidio”

La Corte d’Appello de L’Aja, in Olanda, ha riconosciuto parzialmente responsabile il governo olandese della morte di circa trecento uomini bosniaci-erzegovesi in riferimento al genocidio di Srebrenica (11-19 luglio 1995). Il giudice ha riconosciuto i caschi blu olandesi presenti a Potočari colpevoli di aver espulso dal loro compound le trecento vittime (insieme a più di altre cinquemila), consegnandole nelle mani dei paramilitari serbi e greci e della soldataglia serbo-bosniaca agli ordini di Ratko Mladić. Al contempo, tuttavia, e incomprensibilmente, lo stesso giudice ha rilevato che se le vittime non fossero state espulse avrebbero avuto una chance di sopravvivenza non superiore al 30 per cento. Percentuale calcolata chissà in che modo da questo giudice-ragioniere…
Il 16 luglio 2014 una sentenza emessa in primo grado da un Tribunale civile olandese de L’Aja aveva riconosciuto, nell’ambito della stessa causa, lo Stato olandese responsabile a tutti gli effetti per la morte a Srebrenica di quegli stessi trecento cittadini bosniaci appartenenti al gruppo nazionale musulmano. In sostanza, le vittime di Srebrenica si trovano a doversi confrontare con l’ennesima sentenza pilatesca dopo ventidue anni spesi nel tentativo di avere giustizia.
I famigliari delle vittime potrebbero decidere di presentare istanza presso la Corte suprema olandese. Ma intanto, nel raccontare brevemente la vicenda, le testate online italiane una volta di più omettono sistematicamente l’uso della parola “genocidio”, nonostante diverse sentenze internazionali abbiano stabilito che è proprio genocidio quanto avvenuto a Srebrenica.
Sebrenica, anche Olanda colpevole (ma solo in parte) per la strage, titola il Corriere della Sera.
Srebrenica, Corte d’Appello conferma: Olanda responsabile, ma risarcimento "parziale" alle famiglie, dice Repubblica.

Srebrenica, “anche l’Olanda responsabile della strage”. La condanna dell’Aja, pubblica Il Fatto Quotidiano, che non fa nulla per differenziarsi dal coro di voci stonate.

Srebrenica, Corte d’Appello conferma: Olanda parzialmente responsabile del massacro, scrive il Messaggero.

Massacro di Srebrenica, LʼAja: Olanda "parzialmente responsabile" della strage, sentenzia Tgcom24.

Corte dell'Aja: Anche Olanda tra responsabili massacro Srebrenica, per LaPresse.


Nessuno che abbia le palle per usare, propriamente, la parola “genocidio”. Volontà negazionista che accomuna il grosso delle testate, ignoranza diffusa, tentativo di depotenziare la tragedia di Srebrenica in chiave anti-musulmana? Chissà quali sono le ragioni. Fatto sta che, come sempre, i media italiani raccontano, nella migliore delle ipotesi, solo una parte, e potenzialmente la minore, di come stanno le cose.

sabato 24 giugno 2017

Višegrad, 25 giugno 1992, la deportazione in Macedonia

Višegrad, cittadina della Bosnia orientale, entra dalla primavera del 1992 nel vivo del conflitto che costerà alla ex repubblica jugoslava circa 120.000 morti, due milioni di sfollati interni e un milione e mezzo di profughi. Il gruppo paramilitare delle Aquile bianche guidato dai cugini Milan e Sredoje Lukić – tiene in ostaggio la città seminando terrore e attuando una radicale pulizia etnica ai danni della popolazione civile musulmano-bosniaca, che costituisce circa il 64 per cento dei residenti.
Il 25 giugno segna il rastrellamento di centinaia di musulmani che verranno deportati, dopo un viaggio terribile, nella terra di nessuno al confine con la Macedonia.
Ripercorriamo quel terribile giorno grazie all’attento lavoro di ricostruzione del giornalista Luca Leone nel libro Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio.
“Il 25 giugno 1992 centinaia di cittadini musulmani-bosniaci di Višegrad vengono rastrellati e radunati; sono costretti a firmare una di­chiarazione nella quale attestano d’essere stati trattati bene dai paramili­tari serbo-bosniaci. Vengono quindi fatti salire su autobus con destina­zione Macedonia e così deportati in massa. Alcuni sono fatti scendere dopo pochi chilometri e uccisi davanti a tutti, per divertimento oppure a titolo dimostrativo. Magari sotto l’effetto di droghe o per delirio di onnipotenza. I superstiti, arrivati alla frontiera macedone, vengono ab­bandonati – umiliati e maltrattati – in una terra di nessuno senza né cibo né acqua. Intanto continuano i massacri lungo tutta la Drina, sommesso e inerme testimone dell’abominio umano.”

Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio, reportage scritto sul campo dal giornalista Luca Leone racconta le vicende, raccoglie le testimonianze di tutte le parti e fa il punto sull’episodio che ha rappresentato la prova generale di ciò che sarebbe accaduto tra il 1992 e il 1995 a Srebrenica, Prijedor, Foča e in altri luoghi passati alla storia per la crudeltà degli eventi verificatisi.
“Venticinque anni di silenzi complici, di rimozione, di inganni e tradimenti. Di quel negazionismo spicciolo che si nutre di ‘letteratura’ cospirazionista e che, per mera affiliazione ideologica, ci spiega ogni tanto con un post tradotto o scritto pure male, che è tutto falso”. (Riccardo Noury)

martedì 20 giugno 2017

20 giugno, Giornata mondiale del rifugiato

Si celebra il 20 giugno la Giornata mondiale del Rifugiato, promossa dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di milioni di rifugiati e richiedenti asilo costretti a fuggire da guerre e violenze e a lasciare i propri affetti, la propria casa e tutto ciò che un tempo era parte della loro vita. Le Nazioni Unite sottolineano come sia necessario non dimenticare mai che dietro ognuno di loro c’è una storia che merita di essere ascoltata e hanno lanciato sul web la campagna #WithRefugees, che vuole rendere visibile la solidarietà e l’empatia verso i rifugiati, amplificando la voce di chi accoglie e rafforzando l’incontro tra comunità locali e rifugiati e richiedenti asilo per promuovere la conoscenza reciproca. #WithRefugees è anche una petizione, con la quale l’UNHCR chiede ai governi di garantire che ogni bambino rifugiato abbia un’istruzione, che ogni famiglia rifugiata abbia un posto sicuro in cui vivere, che ogni rifugiato possa lavorare o acquisire nuove competenze per dare il suo contributo alla comunità. Secondo il saggio di Lucia De Marchi “A piccoli passi. Minori stranieri non accompagnati e cittadinanza attiva” l’Unicef, nel rapporto dedicato alla Condizione dell’In­fanzia nel Mondo pubblicato nel 2016, stima che ci siano 31 milioni di bambini che vivono in un Paese diverso da quello d’origine e, di questi, quasi undici milio­ni sono rifugiati o richiedenti asilo, provenienti per la maggior parte dalla Siria e dall’Afghanistan. Secondo le stime dell’Unhcr, dal 2000 al 2015 il numero dei minori rifugiati è più che raddoppiato e nello stesso arco di tempo il totale dei minori migranti è cresciuto del 21%.
La necessità di interventi concreti e urgenti è sottolineata anche dal “Rapporto 2016-2017. La situazione dei diritti umani nel mondo” redatto da Amnesty International che evidenzia, sul tema dei rifugiati, la discrepanza tra ciò che sarebbe necessario fare e le azioni concre­te, così come tra la retorica e la realtà, è stata totale e talvolta sconcertante. Questo è stato quanto mai evidente con il fallimento degli stati che hanno partecipato al summit delle Nazioni Unite - che si è tenuto nel settembre dello scorso anno - su rifugiati e migranti per trovare un accordo per una risposta adeguata alla crisi globale dei rifugiati, che durante l’anno ha assunto dimen­sioni ancora maggiori e carattere di urgenza.
Mentre i leader mondiali non sono riusciti a dimostrarsi all’altezza della sfida, 75.000 rifugiati rimanevano intrappolati nel deserto, in una terra di nessuno tra la Siria e la Giordania.
Le persone originarie dell’Africa Subsahariana costituivano la maggioranza delle centinaia di migliaia di rifugiati e migranti che si erano messi in viaggio verso la Libia, per sfuggire a situazioni di guerra, persecuzione o povertà estrema, spesso nella spe­ranza di transitare attraverso il paese, per poi stabilirsi in Europa. La ricerca condotta da Amnesty International ha rivelato che, lungo le rotte dei trafficanti verso e attraverso la Libia, si sono verificati abusi terrificanti, come violenza sessuale, uccisioni, tortura e persecuzione religiosa.


Dati e testimonianze sono raccolti anche nel libro di Chiara Michelon “La fuga”, dove, con piglio narrativo e discorsivo, l’autrice racconta le vicende di rifugiati oggi in Italia, provenienti da Afghanistan, Iran, Pakistan e Sudan. Le loro storie sono unite dal momento tragico della “rottura”, in ogni Paese avvenuta per cause differenti (attentati, dittature, torture, motivi religiosi o politici, mancanza di libertà), che ha costretto le vittime a fuggire e a intraprendere un viaggio verso un luogo più sicuro. Ogni vicenda è accuratamente inserita nel contesto storico e politico del Paese d’origine e offre un quadro scrupoloso delle principali vicende e cause storiche che hanno portato alla situazione attuale e al dilagare del terrorismo e del fanatismo religioso.

lunedì 19 giugno 2017

Višegrad, 18 giugno 1992: la Drina cambia colore

Višegrad, Bosnia orientale, primavera del 1992. Finita dal 19 maggio sotto il controllo del gruppo paramilitare delle Aquile bianche, guidato dai cugini Milan e Sredoje Lukić, da circa un mese la città è oggetto di un lavoro radicale di pulizia etnica da parte degli estremisti serbo-bosniaci ai danni della popolazione civile musulmano-bosniaca, che costituisce circa il 64 per cento dei residenti.

Il 18 giugno, nel succedersi degli eventi, si segnala come un giorno dall’atrocità efferata con l’uccisione – con modi barbari – di 22 persone tra cui anche bambini.
Ripercorriamo quel terribile giorno grazie all’attento lavoro di ricostruzione del giornalista Luca Leone nel libro Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio.

“Il 18 giugno 1992, a Višegrad i paramilitari dei cugini Lukić uccido­no ventidue persone. Alcuni corpi vengono dilaniati con i coltelli, altri legati alle automobili e trascinati per le vie; bambini vengono gettati dal ponte vecchio, il Mehemed Paše Sokolovića most, e uccisi a colpi d’arma da fuoco prima che tocchino l’acqua, come in un tiro al bersaglio dell’or­rore. Un ispettore della polizia di Višegrad riceve una comunicazione dal direttore della diga sulla Drina di Bajina Bašta, in Serbia: “Chiedo a tutti i responsabili di rallentare il flusso dei corpi che galleggiano lungo il fiume perché inceppano le turbine della diga…”, dice l’uomo. Gli occhi azzurri della Drina per mesi si sono trasformati in un lago rosso sangue, forse la più grande fossa comune della guerra del 1992-1995”.

Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio, reportage scritto sul campo dal giornalista Luca Leone racconta le vicende, raccoglie le testimonianze di tutte le parti e fa il punto sull’episodio che ha rappresentato la prova generale di ciò che sarebbe accaduto tra il 1992 e il 1995 a Srebrenica, Prijedor, Foča e in altri luoghi passati alla storia per la crudeltà degli eventi verificatisi.


“Venticinque anni di silenzi complici, di rimozione, di inganni e tradimenti. Di quel negazionismo spicciolo che si nutre di ‘letteratura’ cospirazionista e che, per mera affiliazione ideologica, ci spiega ogni tanto con un post tradotto o scritto pure male, che è tutto falso”. (Riccardo Noury)