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giovedì 30 giugno 2016

30 giugno 1991, la guerra in Slovenia

Venticinque anni fa si svolgeva in Slovenia la prima guerra di indipendenza che avrebbe portato in breve alla dissoluzione della Jugoslavia. Abbiamo deciso di ripercorrere quei giorni insieme a Bruno Maran e al suo ottimo libro dal titolo Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti.

30 giugno 1991 – In tv riaffiorano gli schemi della seconda guerra mondiale: i serbi accusano gli sloveni di fascismo, gli sloveni replicano, accusando la Jna d’essere un occupante come lo erano i nazisti. Le forze slovene occupano il tunnel strategico di Karawanken, al confine con l’Austria. L’intera guarnigione della Jna di stanza a Dravograd, nella Slovenia settentrionale, 16 ufficiali e 400 uomini, si arrende, come le guarnigioni di Tolmino e Plezzo. Le armi catturate sono subito redistribuite alle forze slovene. Il ministro della Difesa federale, generale Kadijević, mette il vertice della Narodna armija davanti al bivio: o ritiro dalla Slovenia oppure occupazione dura. Allarme aereo a Lubiana, i MiG sorvolano tutta la Croazia e la Slovenia, ma non accade nulla di rilevante. Il premier Marković va a Lubiana, forse si apre uno spiraglio di pace.

mercoledì 29 giugno 2016

La guerra in Slovenia, il 29 giugno 1991

Venticinque anni fa si svolgeva in Slovenia la prima guerra di indipendenza che avrebbe portato in breve alla dissoluzione della Jugoslavia. Abbiamo deciso di ripercorrere quei giorni insieme a Bruno Maran e al suo ottimo libro dal titolo Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti.
29 giugno 1991 – Significativo attacco delle forze slovene a Vrtojba-Sant’Andrea, importante valico alla periferia di Gorizia, dove il distaccamento della Jna è forte di 138 soldati e nove carri T–55. Trattative preventive per evitare perdite portano alla resa dei federali senza che sia sparato un solo colpo. Oltre ai carri, la To acquisisce forti quantitativi di munizioni e di armamenti. Altri morti a Rabuiese, il valico confinario da Trieste verso l’Istria, dove un blindato della Jna tenta di forzare il blocco attorno al posto di confine, gli sloveni reagiscono e restano uccisi un tenente e due soldati jugoslavi.
In Slavonia, con un tentativo dei četnici di occupare Osijek e Vinkovci, iniziano le ostilità. Respinti i serbi dai difensori croati, le truppe federali aprono il fuoco sulla città dalle caserme di Osijek.
A Belgrado è rinviata la riunione della presidenza collegiale che, secondo gli accordi con la Cee, deve eleggere il croato Mesić, rimasto solo apparentemente un convinto jugoslavista. In serata, all’insaputa del governo federale, arriva l’ultimatum alla Slovenia da parte del generale Negovanović dello Stato maggiore dell’esercito: “Se l’ultimatum verrà ignorato, le forze armate metteranno in stato d’allerta tutte le loro unità”. L’esercito federale intima alla Slovenia di porre fine a ogni azione ostile contro le truppe di Belgrado, altrimenti scatte­rà contro la repubblica ribelle un’azione militare decisiva. L’ultimatum, pronunciato alla tv jugoslava, è l’ultimo avvertimento.
Congedato il comandante dell’aviazione federale Anton Tus, sostituito da un altro croato, Jurjević.
La troika della Cee, i ministri degli Esteri di Lussemburgo, Paesi Bassi e Italia, si reca in Jugoslavia, tentando di convincere i popoli della Federazione a costruire insieme la democrazia nel rispetto dei diritti civili. È la notte dei tentativi di pace, ma nessuno vuole cedere. La necessità di restare uniti è sostenuta specialmente dal ministro italiano De Michelis nel corso dei numerosi viaggi a Lubiana e Zagabria. 

martedì 28 giugno 2016

28 giugno, una data simbolo nella storia della Jugoslavia

Il 28 giugno, giorno in cui si festeggia San Vito o Vivovdan, è una data simbolica nella storia della Jugoslavia e dei Balcani. Ripercorriamo questa giornata negli ultimi settant’anni di storia insieme a Bruno Maran e al suo preziosissimo libro dal titolo Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti che ripercorre gli ultimi decenni della storia jugoslava, anno per anno, giorno per giorno.
Il 28 giugno del 1948 si segnala per la rottura tra Jugoslavia e Urss, decisa e voluta da Stalin. Il Cominform o Bureau d’Information dichiara che il Partito jugoslavo sta perseguendo una politica ostile verso l’Unione Sovietica. Il Cominform denuncia l’atteggiamento anti-sovietico dei capi del Partito comunista jugoslavo come incompatibile col marxismo-leninismo. Il Bureau pensa che nel Partito non esiste democrazia interna né eleggibilità degli organi interni, né autocritica. Il Partito jugoslavo ha preso la strada di scindersi dal Fronte unito socialista contro l’imperialismo, assumendo una posizione nazionalista. I capi jugoslavi respingono i consigli dei partiti comunisti fratelli di discutere la situazione all’interno del Cominform.
Arriviamo agli anni ’80, più precisamente tra il 26 e il 29 giugno del 1982. A Belgrado si tiene il XII Congresso della Lega dei comunisti, detto “dell’unità e della continuità”. Oltre alle retoriche lodi a Tito e a Kardelj, si odono parole dure e conflittuali tra le correnti. A quella centralista, rappresentata da Serbia e Montenegro; a quella autonomista dei difensori della Costituzione si aggiungono quella dei conservatori e dei liberali. Il rapporto di forze quasi bilanciato permette un compromesso in direzione del “centralismo democratico”.
Le divergenze rimangono aperte. Il Congresso riporta il dato degli iscritti che, sull’onda emotiva della morte di Tito, ora sono 2.111.731, il 9% della popolazione e il 25% dei lavoratori. Segue un Comitato centrale in cui Ante Marković, il politico serbo più rappresentativo – che, secondo le regole della rotazione, avrebbe dovuto essere eletto membro della presidenza del partito – non ottiene i due terzi dei voti come previsto. È uno smacco senza precedenti che, oltre a provocare violente reazioni da parte ser­ba, segna un altro passo verso il definitivo tramonto dell’era Tito. Interviene Petar Stambolić, uomo di punta della Serbia, in qualità di presidente federale, definendo la sconfitta di Marković “un gioco sporco”. Invece si tratta di un voto ad personam contro Marković per le sue concezioni politiche. Il Comitato centrale, eleggendo Marković in una seconda riparatoria votazione, infligge un colpo morale al proprio prestigio.
Il 28 giugno del 1989 rappresenta un punto di non ritorno nella storia contemporanea. Ripercorriamo quel giorno con le parole di Bruno Maran.
Sulla piccola collina di Gazimestan, in Kosovo, dove è eretto un monumento a ricordo della battaglia del 1389, la disfatta serba del Campo dei Merli, Kosovo Polje, davanti a un milione di serbi Milošević esalta i temi del nazionalismo serbo nel 600° anniversario della battaglia, divenuta il mito fondante del nuovo Stato serbo. Sei secoli dopo il popolo serbo continua a celebrare questo anniversario, commemorando l’antica sconfitta, che segnò la fine di un’epoca d’indipen­denza e l’inizio di un lungo e sofferto asservimento al nemico musulmano.
Milošević parla di “Velika Srbija” (Grande Serbia), di unità di tutti i serbi e di confini: “Dove vive un serbo, ivi è Serbia. In Serbia non hanno mai vissuto solamente i serbi. Oggi, più che nel passato, pure componenti di altri popoli e nazionalità ci vivono. Questo non è uno svantaggio per la Serbia. Io sono assolu­tamente convinto che questo è un vantaggio. La Jugoslavia è una comunità multinazionale e può sopravvivere solo alle condizioni dell’eguaglianza piena per tutte le nazioni che ci vivono. La crisi che ha colpito la Jugoslavia ha portato con sé divisioni.
Tra queste divisioni, quelle nazionalistiche hanno dimostrato d’essere le più drammatiche. Risolverle renderà più semplice rimuovere altre divisioni e mitigare le conseguenze che esse hanno creato.
Sei secoli dopo, noi veniamo nuovamente impegnati in battaglie e dobbiamo affrontare battaglie. Non sono battaglie armate, benché queste non si possano mai escludere. Oggi come oggi è difficile dire quale sia la verità storica sulla battaglia del Kosovo e cosa sia solo leggenda. Oggi come oggi questo non ha più importanza.
Perciò è difficile dire oggi se la battaglia del Kosovo fu una sconfitta o una vittoria per la gente serba, se grazie a essa piombò nella schiavitù o se ne sottrasse. Sei secoli fa, la Serbia si è eroicamente difesa sul campo del Kosovo, ma ha anche difeso l’Europa. A quel tempo la Serbia era il bastione a difesa della cultura, della religione e della società europea in generale. Perciò oggi ci sembra non solo ingiusto, ma persino antistorico e del tutto assurdo parlare dell’appartenenza della Serbia all’Europa. Che la memoria dell’eroismo del Kosovo viva in eterno! Viva la Serbia! Viva la Jugoslavia! Viva la pace e la fratellanza tra i popoli!”.
I serbi rispondono, cantando: “Slobo ti amiamo come la terra arida invoca la pioggia”.
Non è solo il 600° anno di Kosovo Polje, è anche il 75° anniversario dell’omicidio di Francesco Ferdinando a Sarajevo, quando un altro serbo dette il via a una guerra... Gli albanesi vivono la celebrazione come un’invasione. In quell’estate sono riesumate le spoglie di re Lažar, eroico capo delle milizie serbe nel 1389 e il giro del sarcofago aperto è il grande spettacolo con cui Milošević annuncia la rinascita della “Grande Serbia”, stregando i serbi in una sorta di allucinante delirio di massa, una forma di paranoia accompagnata dalla continua ricerca di un capro espiatorio. Le Milizie territoriali delle varie repubbliche devono rinunciare alle armi su ordine dell’Armata federale; solo la Slovenia riesce a mantenere una parte degli armamenti, nascondendoli.

Quattro anni dopo, siamo nel 1992, il presidente francese Mitterrand si reca – a sorpresa – in visita a Sarajevo per avvalorare la gestione franco-inglese del conflitto.
I caschi blu francesi organizzano l’atterraggio del loro presidente. Le truppe serbo-bosniache si sono ritirate, consegnando l’aeroporto all’Unprofor.
Mitterand, timoroso del pericolo del fondamentalismo islamico, sostiene che la faccenda è interna alla Bosnia e che la comunità internazionale non può andare oltre l’intervento umanitario, sottintendendo la tradizionale amicizia franco-serba, che data alla prima guerra mondiale. Dimostrando che l’aeroporto è praticabile, Mitterand impedisce che i serbo-bosniaci siano definiti come gli unici responsabili delle sofferenze della città. La sua visita a Sarajevo, per di più nel giorno di San Vito, altamente simbolico per i serbi, può essere letta anche come un regalo, poiché può aver impedito un intervento militare, che da più parti si stava progettando. Zlatko Dizdarević, giornalista di Oslobodjenje, a proposito scrive: “Da quel momento pochi nel mondo si chiederanno perché mai a Sarajevo, una città che ha sempre avuto una sua economia, generi alimentari, medicinali e tutto quanto le serviva, sia necessario portare rifornimenti con aerei e convogli, invece di fare quello che serve per sbloccare la città e permetterle di funzionare normalmente”.
A Pale, le autorità politiche serbo-bosniache esultano. Sul terreno, le operazioni militari serbo-bosniache continuano con l’annessione di nuovi territori, cui seguono massicce ondate di profughi. Nel giorno di Vivovdan, a Belgrado, 200.000 persone manifestano per chiedere le dimissioni di Milošević e dei suoi portavoce televisivi: ottengono solo una tavola rotonda tra Milošević e il cartello delle opposizioni Depos.
Nel 1999 si ricorda Vivovdan, per la richiesta di dimissioni di Milošević da parte del del patriarca Pavle.
L’ex segretario di Stato Usa Kissinger dichiara al Daily Telegraph: “Il testo di Rambouillet, che chiedeva alla Serbia di ammettere truppe Nato in tutta la Jugoslavia, era una provocazione, una scusa per iniziare il bombardamento. Rambouillet non è un documento che un serbo angelico avrebbe potuto accetta­re. Era un pessimo documento diplomatico che non avrebbe dovuto essere presentato in quella forma”.

Infine il 28 giugno del 2000 è la data in cui Milošević è consegnato al Tpiy dell’Aja con accuse di crimini contro l’umanità per le operazioni in Croazia, Bosnia Erzegovina e Kosovo nonostante la contrarietà di Koštunica e di parte dell’opinione pubblica serba.

Accadde oggi, 28 giugno 1991

Venticinque anni fa si svolgeva in Slovenia la prima guerra di indipendenza che avrebbe portato in breve alla dissoluzione della Jugoslavia. Abbiamo deciso di ripercorrere quei giorni insieme a Bruno Maran e al suo ottimo libro dal titolo Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti.

28 giugno 1991 – Nella notte è ordinato alle truppe della To slovena d’intraprendere un’offensiva contro la Jna. Il ministro della Difesa sloveno ordina: “In tutti i posti in cui le forze armate della Repubblica di Slovenia hanno il vantaggio tattico, verranno intraprese azioni offensive contro le unità e le strutture nemiche. Al nemico verrà chiesta la resa, verrà data la scadenza più breve possibile per la resa e intrapresa l’azione offensiva con tutto l’arsenale di­sponibile. Durante le azioni sarà organizzata l’evacuazione e la protezione dei civili”.
Le colonne jugoslave sono bloccate da improvvisate barricate di ca­mion a Strihovec, vicino al confine con l’Austria, e colpite dai membri della Teritorialna e della polizia slovena.
L’aviazione federale attua due incursioni in aiuto delle forze bloccate a Strihovec, uccidendo quattro camionisti. A Medvedjek, Slovenia centrale, una colonna jugoslava si ritrova sotto attacco e i raid dell’aviazione federale uccidono sei camionisti. Sparatorie ai valichi italo-jugoslavi. A Fernetti si spara, come al valico della Casa Rossa-Rožna Dolina di Gorizia, teatro di una brillante operazione della To che attacca i soldati federali, distruggendo due carri T–55. Il bilancio per la Jna è pesante: quattro militari caduti, 16 feriti e 98 prigionieri; tra gli attaccanti nessuna perdita. Gli sloveni s’impadroniscono di tre carri armati, vari automezzi e molte armi. Due MiG sorvolano Trieste e mitragliano il valico di Skofije. L’aviazione federale attacca l’aeroporto di Brnik, quattro aerei di linea della Adria Airways, la neonata compagnia di bandiera slovena, sono gravemente danneggiati. Attacchi aerei al quartier generale sloveno, ai trasmettitori radio-televisivi per impedire le trasmissioni del governo sloveno al valico con l’Austria di Ljubelj, dove sono uccisi ignari autisti di tir in attesa. Il posto di confine di Holmec è catturato dalle forze slovene, con due morti sloveni e uno della Jna, 91 soldati jugoslavi catturati. Un deposito di armi federale cade in mani slovene, aumentando significativamente la disponibilità di armi delle forze slovene.
Primi morti tra gli inviati. Due fotografi austriaci, Norbert Werner e Nikola Vogel, riescono a introdursi con la loro jeep nel recinto dello scalo di Brnik, l’aeroporto di Lubiana, occupato dagli uomini dell’aeronautica jugoslava, ma accerchiato dai militari della Difesa territoriale. Trovano la morte spazzati via da un missile, non si saprà mai se sparato dagli sloveni o dai federali.
Sono i primi caduti dell’informazione in una guerra che vedrà morire molti altri giornalisti.
Alla fine della giornata la Jna tiene molte delle proprie posizioni, ma sta perdendo rapidamente terreno. La flessibilità e il pragmatismo degli sloveni la mettono in seria difficoltà, psicologicamente impreparata, priva di artiglieria e per l’eccesso di fiducia dei suoi vertici, che non hanno previsto un servizio logistico, consegnando ai soldati razioni solo per un giorno. Molti soldati federali sono impreparati a una guerra quasi di guerriglia, senza appoggio da parte della popolazione. Aumentano i casi di diserzione, centinaia di membri sloveni della Jna abbandonano le proprie unità o cambiano fronte. I generali della Jna sottovalutano la presenza a Lubiana di oltre 300 giornalisti stranieri e di molte troupe televisive, che documentano quanto accade.
Intanto a Bosansko Grahovo, in Bosnia, non lontano da Knin, si riuniscono i rappresentanti serbi delle comunità di Bosnia e Croazia per decidere l’unificazione delle varie entità. 

lunedì 27 giugno 2016

Accadde oggi, 27 giugno 1991,la guerra in Slovenia, con Bruno Maran

Venticinque anni fa si svolgeva in Slovenia la prima guerra di indipendenza che avrebbe portato in breve alla dissoluzione della Jugoslavia. Abbiamo deciso di ripercorrere quei giorni insieme a Bruno Maran e al suo ottimo libro dal titolo Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti.

Una colonna di blindati federali esce dalla caserma di Vrhnica, 15 chilometri da Lubiana, dirigendosi verso l’aeroporto di Brnik. Unità della Jna lasciano Maribor dirette verso il vicino posto di confine di Šentilj e la città di Dravograd. Il comando della V Regione militare è in contatto telefonico con il presidente sloveno Kučan, informandolo che la missione delle truppe è limitata a occupare i posti di dogana e l’aeroporto. In una riunione di emergenza della presidenza slovena, Kučan e il resto dei membri optano per la resistenza armata. Iniziano gli scontri tra l’Armata popolare e la Difesa territoriale slovena, la Teritorialna obramba (To), erede dell’esercito parallelo voluto da Tito dopo l’invasione sovietica di Praga. A Lubiana entra in vigore il coprifuoco. È battaglia all’aeroporto di Brnik, nei pressi di Lubiana, dove si registra l’abbattimento di due elicotteri federali. Uno dei piloti morti è sloveno.
Nella cittadina di Trzin, non lontano dalla neo-capitale, si scatena una battaglia, nel corso della quale quattro soldati della Jna e uno della To rimangono uccisi; l’unità federale è costretta ad arrendersi.
Seguendo l’ordine di mantenere l’integrità dello Stato jugoslavo, soldati federali occupano i valichi di confine. A Maribor, i carri armati federali intervengono per rimuovere gli improvvisati blocchi stradali nel centro della città.
L’aviazione jugoslava effettua un lancio di volantini con messaggi inter­locutori: “Vi invitiamo alla pace e alla cooperazione – Ogni resistenza sarà schiacciata”. La Teritorialna obramba slovena pone sotto assedio varie alle caserme della Jna.
Attacchi contro carri armati federali vicino Maribor, a Ormož e nei pressi di Ilirska Bistrica. Nonostante la confusione e i combattimenti, la Jna riesce a completare la propria missione: verso mezzanotte assume il controllo di quasi tutte le dogane. Si avvicina un altro Vivodan, un giorno sempre importante nella storia dei popoli slavi.

domenica 26 giugno 2016

Accadde oggi, 26/6/1991, guerra in Slovenia

26 giugno 1991 – Si accende la “Guerra dei dieci giorni”. La Jna decide d’intervenire in Slovenia per preservare l’unità nazionale, di cui è depositaria. Alle 7,20, con un telegramma del generale sloveno Kolšek, lo Stato maggiore jugoslavo lancia l’Operazione Baluardo per restaurare l’ordine e riprendere il controllo dei posti di frontiera con Austria e Italia. L’Armata popolare o Armata federale rappresenta una specie di settima repubblica, il 96% degli ufficiali aderisce alla Lega dei comunisti, status necessario per ambire al grado superiore a quello di tenente. Alcune unità lasciano le caserme di Fiume per dirigersi verso il confine sloveno-italiano. I vertici dell’Armata mobilitano truppe e carri armati anche da Karlovac e da altre zone della Croazia, nella convinzione che una guerra-lampo possa risolvere la questione. Molti ufficiali sloveni si rifiutano di eseguire gli ordini impartiti da Belgrado e sono destituiti. I movimenti di mezzi provocano una forte reazione degli sloveni, che organizzano barricate e dimostrazioni contro le azioni della Jna. Non ci sono combattimenti, sembra che entrambe le parti adottino la politica di non essere i primi ad aprire il fuoco.
Il governo federale da Belgrado denuncia l’azione illegale delle repubbliche secessioniste e che non avrà nessun seguito perché la Jna assicurerà le frontiere interne ed esterne del Paese. Il governo sloveno mette in atto il piano per assumere il controllo delle dogane e prendere l’aeroporto internazionale di Brnik. Il personale ai posti di confine è già composto nella maggior parte dei casi da sloveni e l’occupazione è molto semplice, risolvendosi in un cambio di uniformi e di cartelli.

Mentre tutta l’attenzione è puntata sulla Slovenia, četnici serbi attaccano la stazione di polizia di Glina, nella Banjia croata, a sud di Zagabria. Prima che i croati possano abbozzare un contrattacco si muovono da Petrinja i carri armati federali e creano un cuscinetto attorno a Glina col pretesto di prevenire nuovi scontri. Una bandiera bianco-rossa croata continua a sventolare sul commissariato, quella bandiera per i serbi è un simbolo ustaša. L’odio dei serbi in quella zona è forte, a Glina, durante la seconda guerra mondiale vi è stato il massacro di centinaia di serbi prima convertiti a forza, poi sgozzati sul sagrato della chiesa dagli ustaša: la carneficina deve essere vendicata, anche se sono passati cinquant’anni.

sabato 25 giugno 2016

Accadde oggi: 26/6/1991, inizia la guerra dei 10 giorni in Slovenia

 Il 26 giugno 1991 iniziava la guerra dei dieci giorni in Slovenia che seguiva la dichiarazione d'indipendenza della Slovenia dalla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Ripercorriamo quei giorni grazie al testo di Bruno Maran dal titolo Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti

Si accende la “Guerra dei dieci giorni”. La Jna decide d’intervenire in Slovenia per preservare l’unità nazionale, di cui è depositaria. Alle 7,20, con un telegramma del generale sloveno Kolšek, lo Stato maggiore jugoslavo lancia l’Operazione Baluardo per restaurare l’ordine e riprendere il controllo dei posti di frontiera con Austria e Italia. L’Armata popolare o Armata federale rappresenta una specie di settima repubblica, il 96% degli ufficiali aderisce alla Lega dei comunisti, status necessario per ambire al grado superiore a quello di tenente. Alcune unità lasciano le caserme di Fiume per dirigersi verso il confine sloveno-italiano. I vertici dell’Armata mobilitano truppe e carri armati anche da Karlovac e da altre zone della Croazia, nella convinzione che una guerra-lampo possa risolvere la questione. Molti ufficiali sloveni si rifiutano di eseguire gli ordini impartiti da Belgrado e sono destituiti. I movimenti di mezzi provocano una forte reazione degli sloveni, che organizzano barricate e dimostrazioni contro le azioni della Jna. Non ci sono combattimenti, sembra che entrambe le parti adottino la politica di non essere i primi ad aprire il fuoco.
Il governo federale da Belgrado denuncia l’azione illegale delle repubbliche secessioniste e che non avrà nessun seguito perché la Jna assicurerà le frontiere interne ed esterne del Paese. Il governo sloveno mette in atto il piano per assumere il controllo delle dogane e prendere l’aeroporto internazionale di Brnik. Il personale ai posti di confine è già composto nella maggior parte dei casi da sloveni e l’occupazione è molto semplice, risolvendosi in un cambio di uniformi e di cartelli.

Mentre tutta l’attenzione è puntata sulla Slovenia, četnici serbi attaccano la stazione di polizia di Glina, nella Banjia croata, a sud di Zagabria. Prima che i croati possano abbozzare un contrattacco si muovono da Petrinja i carri armati federali e creano un cuscinetto attorno a Glina col pretesto di prevenire nuovi scontri. Una bandiera bianco-rossa croata continua a sventolare sul commissariato, quella bandiera per i serbi è un simbolo ustaša. L’odio dei serbi in quella zona è forte, a Glina, durante la seconda guerra mondiale vi è stato il massacro di centinaia di serbi prima convertiti a forza, poi sgozzati sul sagrato della chiesa dagli ustaša: la carneficina deve essere vendicata, anche se sono passati cinquant’anni.

venerdì 24 giugno 2016

Pillole di storia, il 25 giugno in “Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti”

25 anni fa la Slovenia e Croazia proclamavano la propria indipendenza dal­la Federazione jugoslava, ricorda il nostro autore Bruno Maran in Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti. A Lubiana, il 25 giugno del 1911, l’esecutivo approva gli atti costitutivi dell’indipendenza, ordinando il controllo dei passaggi di frontiera con Italia, Austria e Ungheria, sostituendo i simboli federali con quelli nazionali. A Zagabria, i deputati si limitano a una dichiarazione formale, mentre i membri serbi abbandonano l’aula in segno di protesta.

Il Parlamento federale di Belgrado, assenti i membri croati e sloveni, dichiara illegittime le proclamazioni d’indipendenza.Notizie incontrollate, come quella del bombardamento di Lubiana, campeggiano sulle prime pagine dei giornali; nessuno si preoccupa di smentirle, benché false. Anni dopo, l’allora ministro degli Esteri italiano De Michelis rivela, sulla rivista LiMes e in vari dibattiti pubblici, che la campagna di disinformazione era stata pianificata da ambienti filo-sloveni, ma continuerà a essere reticente sui nomi.
Un gruppo di serbi della Slavonia orientale, Baranja e Srem organizza un congresso, Elika narodna skupština Slavonije Baranje i Zapadnog Srema, al termine del quale decide di costituire un’altra regione autonoma serba con l’intenzione di mantenere l’unità con la Jugoslavia. Hadžić è candidato a guidare questa nuova regione autonoma.

Per saperne di più consigliamo la lettura di Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti che ripercorre gli ultimi decenni della storia jugoslava, anno per anno, giorno per giorno.

giovedì 16 giugno 2016

Le condivisioni mancate di Marco: le estreme conseguenze del cyberbullismo

Il bullismo e cyberbullismo sono forme di prevaricazione ai danni dei giovani, specialmente i più sensibili e introversi, che si alimentano con le logiche di sopraffazione del branco. Abbiamo scelto una delle storie raccontate da Luciano Garofano e Lorenzo Puglisi nel libro, appena arrivato in libreria e con il patrocinio di Pepita onlus, dal titolo La prepotenza invisibile, per far luce su questi fenomeni in modo da contrastarli con l’arma più efficace, la consapevolezza.

Marco (nome di fantasia per rispettare la privacy dei familiari) era un diciassettenne di un popoloso paese dell’area metropolitana di Napoli e, come ci racconta la madre, è sempre stato un bambino tranquillo, forse un po’ timido, ma sempre generoso e pronto a dare una mano in famiglia, titolare di una piccola attività commerciale e, solo recentemente, di un campetto sportivo che veniva affittato per le partite di calcio. (…) A scuola non ha mai dato problemi, raggiungeva tranquillamente la sufficienza, ma viveva le scuole superiori con molte difficoltà: torna­va a casa spesso nervoso e sebbene avesse qualche amico, non era solito frequentarli con continuità. Quando a casa provavano a chiedergli se ci fossero dei problemi, alzava le spalle e non rispondeva. Solo al fratello maggiore, cui era molto legato, aveva confidato d’essere preso in giro da alcuni compagni, ma sembrava non dare grande importanza alla cosa.
Secondo la madre i problemi veri e propri si sono presentati tra il primo e il secondo anno di Ragioneria: ci riferisce che a volte lo sentiva impre­care dalla sua stanza e quando si affacciava per vedere cosa lo turbasse, lo trovava spesso davanti al computer, ma le rispondeva male e la invitava ad andarsene. Di fatto, aveva un solo amico da considerare come tale, perché tutti gli altri li definiva soltanto degli stupidi. Al fratello aveva raccontato di una delusione amorosa, ma che sembrava aver superato. La mamma ci ha mostrato una serie di stampe tratte da alcune schermate del suo profilo Facebook, dove vi erano alcune sue condivisioni contro il maltrattamento degli animali, video familiari, ma anche un’infinità di link scaramantici inviategli probabilmente dai compagni, in cui veniva intimato a condi­videre, tipo: se non condividi tale link entro dieci secondi sarai bocciato, se non condividi questo avrai cinque settimane di guai, se non condividi quest’altro morirai entro un mese, etc. Nella stragrande maggioranza dei casi c’erano poi quelli in cui si diceva che se non condivideva era gay. (…) Nessuno, in famiglia, si dà pace per quanto è successo né si capacita ancora oggi di un gesto così estremo che, secondo i genitori, sa­rebbe comunque dipeso da un’aumentata pressione legata a ciò che gli ve­niva detto e fatto dai compagni. Perché Marco era un ragazzo solare, dolce e gentile e sempre pronto ad aiutare chiunque ne avesse bisogno, persino gli sconosciuti che gli chiedevano aiuto, ma gli ultimi giorni di vita erano stati molto tormentati, era nervoso e non parlava più con nessuno.
Arriviamo, purtroppo, al suo ultimo giorno, raccontatoci in lacrime dai suoi genitori: era una calda mattina dell’ottobrata napoletana del 2013 e come in tante altre occasioni, dopo aver pranzato, il papà gli aveva chiesto di andare a preparare il campetto di calcio poiché di lì a poco sarebbero arrivati i ragazzini per giocare. Marco era stato sempre disponibile, ma questa volta la sua risposta fu un inatteso e netto rifiuto, tanto da inne­scare un deciso battibecco, la reazione d’ira del padre e la sua decisione di allontanarsi da casa senza che nessuno capisse dove fosse diretto: verrà ritrovato dal padre qualche ora dopo impiccato a una trave nella loro can­tina con una corda che il papà aveva riposto lì da qualche tempo.
Dopo qualche giorno dalla sua morte i genitori hanno deciso di fare un post ai suoi compagni sul suo account di Facebook: “Siamo i genitori di Marco e vorremmo che voi amici ci parlaste di lui per come lo conoscevate, in tutte le forme e modi possibili (e-mail, messaggi, anche anonimi, chat, etc.): aiutateci a capire il perché del suo gesto estremo. Grazie, siamo in attesa”. Solo 15 like, ma nessuna risposta.

Il giorno del funerale erano presenti in massa, tutta la sua classe e an­che molti altri del suo istituto, sicuramente tristi e sorpresi, ma nessuno sembrava mortificato o in difficoltà per qualcosa, e tranne qualche scon­tato messaggio su Facebook, nessuno si è fatto più vivo.

domenica 5 giugno 2016

#EarthDay 2016

Il 5 giugno si celebra la Giornata Mondiale dell’Ambiente (World Environment Day), istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a partire dal 1975. Quest’anno lo slogan è Liberate il vostro istinto selvaggio per proteggere la vita. Una sorta di grido di guerra, in senso positivo, se il nemico è tutto ciò che minaccia la salute dell’ambiente. In questo caso il riferimento al selvaggio manifesta la volontà di sottoporre all’attenzione del mondo intero il problema del commercio illecito delle specie selvatiche.
Il Paese ospitante e protagonista di quest’anno  è l’Angola. Chi ha visitato Expo Milano 2015 forse ricorda che era uno dei due Paesi dell’Africa presente sul decumano con un proprio padiglione, e all’interno grande spazio per la natura e una particolare attenzione al ruolo della donne, protagoniste di un dialogo positivo e portatrici di valori solidali e sostenibili.


Per saperne di più consigliamo la lettura del libro di Andrea Merusi “La sfida di oggi”.

giovedì 2 giugno 2016

Il giro del mondo in quattro giorni: Ritmi e danze dal mondo 2-5 giugno a Giavera del Montello (Tv)

Uomini, donne e giovani dai cinque continenti, una straordinaria occasione di incontro e scambio con più di 40 associazioni, comunità di migranti, volontari italiani e università del territorio. Questo è il cuore di Ritmi e danze dal mondo, festival multiculturale che si tiene a Giavera del Montello dal 2 al 5 giugno. La manifestazione si svolge all’interno del parco di villa Wassermann, un bellissimo angolo verde inserito nella via più storica di Giavera del Montello, che rappresenta il cuore del festival capace di riservare sorprese e stupore a ogni sguardo, per lo spazio plurale, aperto, ricco di saperi e valori, presenti nel nostro territorio.

Infinito edizioni partecipa alla 21° edizione di Ritmi e danze dal mondo con un proprio spazio: veniteci a trovare, è un’ottima occasione per conoscerci! 

mercoledì 1 giugno 2016

#FestadellaRepubblica 70 anni tondi

La Festa della Repubblica italiana è la festa nazionale che si celebra ogni 2 giugno. In questa data si ricorda il referendum istituzionale indetto a suffragio universale il 2 e il 3 giugno 1946 con il quale gli italiani, uomini e donne per la prima volta, sono stati chiamati alle urne per esprimersi su quale forma di governo, monarchia o repubblica, dare al Paese, in seguito alla caduta del fascismo. Dopo 85 anni di regno, con 12.718.641 voti contro 10.718.502 l'Italia diventava una repubblica e i monarchi di casa Savoia andavano in esilio.
Il 2 giugno celebra la nascita della nazione, in maniera simile al 14 luglio francese e al 4 luglio statunitense.
In tutto il mondo le ambasciate italiane festeggiano la ricorrenza invitando i Capi di Stato del Paese ospitante; da tutto il mondo arrivano al Presidente della Repubblica italiana gli auguri degli altri capi di Stato e speciali cerimonie ufficiali si tengono in Italia.
La festa del 2 giugno era stata abrogata con la legge 5 marzo 1977, n.54 ma è stata reintrodotta nel 2001 dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Nel giugno del 1948 per la prima volta si è tenuta a Via dei Fori Imperiali a Roma la parata militare in onore della Repubblica. L'anno seguente, con l'ingresso dell'Italia nella NATO, se ne svolsero dieci in contemporanea in tutto il Paese mentre nel 1950 la parata fu inserita per la prima volta nel protocollo delle celebrazioni ufficiali.
La cerimonia attuale prevede la deposizione di una corona d'alloro al Milite Ignoto presso l'Altare della Patria e una parata militare alla presenza delle più alte cariche dello Stato. Partecipano tutte le Forze Armate, le Forze di Polizia, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e della Croce Rossa Italiana. Nel 2005, il Presidente della Repubblica Ciampi ordinò che sfilassero anche il Corpo di Polizia Municipale di Roma e il personale civile della Protezione Civile. Prendono inoltre parte alla parata militare alcune delegazioni militari dell'ONU, della NATO, dell'Unione Europea e rappresentanze di reparti multinazionali che presentano una componente italiana.
La cerimonia prosegue nel pomeriggio con l'apertura al pubblico dei giardini del palazzo del Quirinale, sede della Presidenza della Repubblica Italiana, con esecuzioni musicali da parte dei complessi bandistici dell'Esercito, della Marina Militare, dell'Aeronautica Militare, dell'Arma dei Carabinieri, della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza, del Corpo di Polizia Penitenziaria e del Corpo Forestale dello Stato. Come novità di quest’anno vedremo sfilare circa 400 sindaci, in rappresentanza dell’istituzione civile nella quale si riconoscono di più i cittadini.

L’anniversario di quest’anno ci ricorda i primi settant’anni di diritto di voto per le donne italiane, sia come voto attivo che anche come la possibilità di essere votate, un fatto di grande importanza. Tra le curiosità legate a quel giorno citiamo un articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 2 giugno 1946 intitolato "Senza rossetto nella cabina elettorale" con il quale invitava le donne a presentarsi presso il seggio senza rossetto alle labbra. La motivazione è così spiegata: "Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell'umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po' di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio”. Altri tempi…