Translate

lunedì 28 agosto 2017

Frank Chamizo è Campione del Mondo!

Una finale intensa, sabato scorso a Parigi, ha visto fronteggiarsi il lottatore italo-cubano Frank Chamizo contro lo statunitense James Green: in palio il titolo di Campione del Mondo di lotta libera, nella categoria dei 70 kg. Chamizo, atleta rivoluzionario per stile e tecnica, ha battuto il rivale con un 8-0 che lascia senza parole e senza fiato. I nostri complimenti e congratulazioni a un giovane che detiene ora il primato di unico lottatore italiano ad aver vinto due volte il campionato mondiale, il precedente titolo è stato vinto nel 2015 a Las Vegas nella categoria dei 65 kg, e di cui racconta la vicenda umana e professionale con parole appassionanti il nostro autore Maurizio Casarola in FRANK CHAMIZO. LA RIVOLUZIONE DELLA LOTTA.

giovedì 24 agosto 2017

Pillole di storia: 25-26 agosto 1992, l’incendio della Vijećnica

Nella notte tra il 25 e il 26 agosto del 1992 i serbo-bosniaci che assediano Sarajevo sparano le prime bombe incendiarie sulla Vijećnica, la Biblioteca nazionale e universitaria della Bosnia, che diventa uno dei simboli della distruzione di Sarajevo e della BiH.
Il nostro autore Bruno Maran in Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti ripercorre quella notte con queste parole.
La Vijećnica custodiva un milione e mezzo di libri, tra i quali 155.000 esemplari rari e 478 mano­scritti. Era l’unico archivio nazionale di tutti i periodici pubblicati in o sulla Bosnia Erzegovina. Dopo tre giorni di rogo, della biblioteca riman­gono lo scheletro di mattoni e dieci tonnellate di cenere. L’accuratezza dei tiri non lascia dubbi sul fatto che il bersaglio fosse proprio la Vijećnica. Sui vigili del fuoco, sui coraggiosi bibliotecari e sui volontari, che formano una catena umana nel tentativo di salvare i libri, sparano i cecchini e le mitragliere. Una giovane bibliotecaria, Aida Buturović, perde la vita. An­che in una simile situazione la Bosnia si divide: “Salvavano solo i libri degli autori musulmani”, afferma un tale Miroslav Toholj, scrittore di Sarajevo scappato a Belgrado. Ricorda quei giorni il bibliotecario Kemal Bakaršić: “Tutta la città fu coperta da brandelli di carta bruciata. Le pagine fragili volavano in aria, cadendo giù come neve nera. Afferrandola, per un attimo era possibile leggere un frammento di testo, che un istante dopo si trasformava davanti ai tuoi occhi in cenere”.

Il violoncellista Vedran Smailović suona nella Biblioteca distrutta, sfi­dando i “barbari”. Mentre lo fotografano, Smailović smette di suonare per asciugare le lacrime. I fotografi presenti, finito di scattare, gli dicono: “Basta. Finito…”. Spiega Smailović: “Credevano facessi finta di piangere per loro, per il servizio fotografico, io piangevo davvero dalla disperazione”. Crolla anche il moderno edificio che ospita la redazione di Oslobodijenie, già colpito infini­te volte. In tutto questo periodo, il lavoro dei giornalisti della radio e della tv di Sarajevo e di Oslobodjenje è continuato. I programmi radiotelevisivi sono trasmessi dai bunker sotterranei. Le redazioni mantengono la composizione multietnica, molti giornalisti sono uccisi nello svolgimento del loro lavoro.

mercoledì 23 agosto 2017

Il massacro di Barimo - agosto 1992

L’estate del 1992 trascorre nel segno di continue violenze a Višegrad e dintorni, nella Bosnia orientale, dove già dalla primavera la popolazione civile musulmano-bosniaca, che rappresenta circa il 64% dei residenti, ha subìto una terribile pulizia etnica a opera delle Aquile bianche, un gruppo paramilitare guidato dai cugini Milan e Sredoje Lukić.
In Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio, il giornalista Luca Leone narra quanto accaduto allora narra come “le violenze continuano ininterrotte per tutto il mese di luglio, ma è in agosto che viene perpetrato il massacro di Barimo, dal nome del villaggio popolato quasi solo da donne, bambini e anziani. Le vittime accertate sono ventisei. La più anziana, Hanka Halilović, aveva 92 anni; la più giovane, Fadila Bajrić, ne aveva appena dodici.”


Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio, reportage scritto sul campo dal giornalista Luca Leone racconta le vicende, raccoglie le testimonianze di tutte le parti e fa il punto sull’episodio che ha rappresentato la prova generale di ciò che sarebbe accaduto tra il 1992 e il 1995 a Srebrenica, Prijedor, Foča e in altri luoghi passati alla storia per la crudeltà degli eventi verificatisi.
“Venticinque anni di silenzi complici, di rimozione, di inganni e tradimenti. Di quel negazionismo spicciolo che si nutre di ‘letteratura’ cospirazionista e che, per mera affiliazione ideologica, ci spiega ogni tanto con un post tradotto o scritto pure male, che è tutto falso”. (Riccardo Noury)

sabato 5 agosto 2017

Pillole di storia: 5-6 agosto 1995, l’inizio dell’Operazione Tempesta

Il 5 agosto 1995, l’Armata croata Hvo si rende protagonista di una delle operazioni di “pulizia etnica” più rilevanti di tutto il periodo 1991-1995. Ricordiamo quei giorni grazie al lavoro del nostro autore Bruno Maran in Dalla Jugoslavia alle Repubbliche indipendenti che ripercorre gli ultimi decenni della storia jugoslava, anno per anno, giorno per giorno.
Il 5 agosto 1995 nella Krajina, le milizie croate del gen. Ante Gotovina, spesso drogate e ubriache, compiono, nei giorni e nelle settimane successive, atrocità contro i civili serbi rimasti. Le truppe di “liberazione” entrano nelle deserte cittadine di Drniš, Vrlika, Kijevo, Benkovac, in certi punti superando persino il confine bosniaco. Zagabria impiega uno speciale reparto antiterrorismo chiamato Granadierine, i cui appartenenti portano sulla divisa un dragone rosso. Le forze serbo-bosniache sono costrette ad arretrare. Il generale bosniaco mussulmano Dudaković dopo furiosi combattimenti a Ličko Petrovo Selo stringe la mano al collega croato Mareković sul ponte di Trzačka Rastela, che scavalca il fiume Korana, il confine tra Bosnia e Croazia. 
Soldati croati sparano contro una posizione Onu tenuta da militari cechi, ne feriscono cinque, due muoiono dissanguati perché i croati ne impediscono l’evacuazione.
Si stima che 200-250mila serbi siano obbligati alla fuga davanti all’esercito croato. I fondati timori di una “contro-pulizia etnica”, costringono alla fuga migliaia di civili serbi. Secondo Amnesty International, tutte le case abitate dai serbi sono saccheggiate, un terzo dato alle fiamme e interi villaggi distrutti. Gli 8mila chilometri quadrati della Krajina, della Slavonia occidentale e della Dalmazia tornano sotto il controllo croato dopo quattro anni, anche grazie agli accordi segreti tra Zagabria, Belgrado e Washington. Nonostante gli appelli del leader serbo della Krajina Martić e di quello serbo-bosniaco Karadžić, Milošević ordina all’Armata federale di rimanere inattiva di fronte all’offensiva croata, che sfonda ovunque e conquista Knin, dove sono catturati anche 200 soldati Onu. Un debole corridoio umanitario sarà approntato, per tacitare le deboli riprovazioni del Consiglio di Sicurezza e il richiamo del Gruppo di Contatto. Le reazioni all’Operazione Oluja-Tempesta sono molteplici e di segno diverso. Mentre Russia e Unione europea condannano l’offensiva, gli Usa dichiarano di comprenderla e giustificarla perché elemento decisivo per la stabilizzazione dei Balcani. Si prospetta una divisione del territorio bosniaco tra la parte serba e quella croato-musulmana. Un ufficiale di collegamento croato racconta alla stampa che alcune settimane prima il gen. Vuono della Mpri ha avuto un incontro segreto nell’isola di Brioni con il gen Červenko, capo di Stato maggiore croato, l’architetto della campagna di Krajina. Nei giorni che hanno preceduto l’attacco si sono tenute almeno dieci riunioni tra il gen. Vuono e gli ufficiali croati che pianificavano l’operazione. Il 5 agosto, giorno della presa della capitale della Repubblica serba di Krajina, Knin, è festa nazionale in Croazia.
Il 6 agosto le milizie croate dell'Hvo entrano a Petrinja, Kostajnica, Vrginmost, subito ribattezzata Gvozd, Korenica, Slunj, Plitvice, Cetingrad, Ubdina e altre località. Resistono ancora Glina e Topuško. 
Nella Knin conquistata sono centinaia i morti, decine le case distrutte, 30.000 i civili serbi che fuggono.
Il generale musulmano Dudaković ordina d’incendiare i villaggi serbi della Krajina occidentale nelle zone di Sanski Most, Petrovac, Kljuć. 
Radio Zagabria annuncia che “la cosiddetta Krajina” non esiste più. Proprio a Knin il 17 agosto ‘90 iniziava la ribellione dei serbi di Croazia contro le autorità di Zagabria e migliaia di croati furono cacciati dalle loro case o uccisi dalla “pulizia etnica” serba.
Le 18,00 segnano la fine dell’Operacija Oluja. Tudjman, dall’alto della fortezza turco-veneta di Knin, può esclamare: “Finalmente il tumore serbo è stato strappato dalla carne croata!”. 
I neo-ustaša scandiscono, interrompendolo: “Ante, Ante”, esaltando i loro due “eroi”. Uno è Ante Pavelić, il podglavnik. L’altro è Ante Gotovina, comandante del settore sud dell’Operazione. La sua immagine, riprodotta su centinaia di magliette e su grandi fotografie è offerta provocatoriamente per le strade di Knin, dove si cantano inni fascisti, sventolando stendardi nero-teschiati. Una gigantografia di Gotovina è piantata sulla pietraia carsica. 
Diventerà l’“eroe” fuggiasco, in quanto ricercato dal Tpiy per crimini di guerra e contro l’umanità commessi contro la popolazione serba. Gotovina è accusato della morte di 150 civili serbi e, con altri membri dell’Hvo, di aver perseguitato e espulso oltre 200mila serbi dalla Krajina.

Gotovina – arrestato a Tenerife nel dicembre del 2005 – dopo la condanna in primo grado a 24 anni per crimini contro l'umanità e violazione delle leggi e dei costumi di guerra, a cui si aggiunge la condanna per aver fatto parte di una associazione a delinquere finalizzata alla rimozione della popolazione serba in Croazia durante l'Operazione Tempesta, è stato prosciolto dalle accuse nella sentenza d’appello del novembre 2012.