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martedì 24 ottobre 2017

Caporetto e la rivoluzione dello sport italiano

Cento anni fa, il 24 ottobre del 1917, si combatteva la battaglia di Caporetto, la più nota tra gli scontri della Grande Guerra per il suo esito disastroso. Abbiamo chiesto al nostro autore Dario Ricci, che insieme all’alpinista Daniele Nardi ha saputo unire la storia del primo conflitto mondiale ai campioni dello sport che vi sono stati coinvolti nel testo “La migliore gioventù”, un approfondimento su quanto accaduto allora e sulle conseguenze nel rapporto tra sport e storia.
Se solo la più recente storiografia ha messo realmente a fuoco, non solo il significato, ma le stesse effettive dinamiche della ‘ritirata di Caporetto’, ancor più a noi vicini sono gli studi che evidenziano il ruolo-chiave che quest’evento ebbe nel modificare abitudini, stili di vita, approccio di ampi strati della società italiana all’attività sportiva. Una disfatta, almeno nella percezione di allora, dal punto di vista strategico-militare, ma anche una fondamentale presa di consapevolezza identitaria collettiva e una rivoluzione sotto il profilo sportivo. Questa fu Caporetto per l’Italia di un secolo fa. La disfatta, il nemico sul territorio, la sensazione della devastante sconfitta che incombeva, modificarono mentalità, comportamenti, attitudini. E anche la percezione del ruolo dello sport, della formazione fisica, della sua importanza nella società e in trincea.
Mai sapremo se senza il contropiede austro-teutonico-ungarico della ‘12ma battaglia dell’Isonzo’, nota come battaglia di Caporetto, saremmo diventati noi, e non l’Olanda, l’Arancia Meccanica fautrice del calcio spettacolare e offensivo negli Anni Settanta. Quel che è certo, è che il malrovescio militare subìto, diede anche l’idea dell’impreparazione fisica del Paese, e del suo esercito, allo sforzo bellico. “Ad essere messa in discussione – ricorda Sergio Giuntini nel suo Lo sport e la Grande Guerra – fu, innanzitutto, l’egemonia ginnastica”. Così, continua lo storico dello sport, “in seno all’Esercito s’iniziarono ad associare all’antica ginnastica metodica gli sport di squadra, il podismo, l’atletica leggera e quelle discipline che, dalle olimpiadi decoubertiane, avevano ricevuto la massima legittimazione e popolarizzazione internazionale”. “Sarà in particolare la revisione dei metodi di training e di propaganda nelle retrovie, imposta dal disastro di Caporetto – scrive Felice Fabrizio in Storia dello Sport in Italia – a portare alla ribalta il giuoco sportivo e la competizione agonistica”. Insomma: calcio, corsa, boxe, ma anche basket e pallavolo garantivano quel surplus di agonismo, cameratismo e – perché no – divertimento e ricreazione, che la ginnastica, con la sua ricerca di perfezione estetica e la sua competizione attenuata, non poteva garantire.
Senza dimenticare che l’arrivo massiccio di forze alleate sul fronte italiano, proprio in seguito allo sfondamento del fronte a Caporetto, rese evidente il differente ‘passo sportivo’ di inglesi, francesi e americani rispetto ai nostri soldati, e favorì commistioni nella preparazione fisica e diffusione di altre discipline fino ad allora ben poco conosciute in Italia.
Basti pensare che James Naismith, ideatore della pallacanestro, cappellano militare presbiteriano nell’esercito statunitense e propagandista della Young Men’s Christian Association (YMCA), nel settembre 1917 venne invitato a Parigi, e diede vita nel gennaio 1918 a un campionato di basket con ben 21 squadre iscritte! Da lì, la palla a spicchi rotolò rapidamente nelle nostre retrovie. L’esercito americano portò con sé anche reti e palloni per la pallavolo (pur intesa come disciplina preparatoria ad altri sport), e soprattutto istruttori, preparati proprio nell’ambito dell’YMCA. E il legame degli inglesi con atletica e football era indissolubilmente radicato fin dalle “Public Schools”, le scuole della borghesia britannica in cui mai riuscì ad attecchire la ginnastica. Un amore che non poteva certo essere dimenticato in trincea, tanto che – come ormai noto – in più di un’occasione i soldati di Sua Maestà durante il conflitto si lanciarono contro gli schieramenti nemici calciando un pallone da football.

Caporetto fu, nella sua drammaticità, il catalizzatore di questo cambiamento. Fino al maggio 1917 le uniche strutture di supporto educativo e d’intrattenimento per le truppe italiane erano quel centinaio di ‘Case del Soldato’, con sale lettura e qualche sala di proiezione cinematografica, create al fronte da don Giovanni Minozzi. Il tracollo imminente dopo il 24 ottobre 1917 porta a un cambio di rotta radicale, consapevolmente attuato dal nuovo Comandante Supremo, il Generale Armando Diaz: con l’inizio del 1918 ecco nascere il ‘Servizio P.’, con la designazione per ogni Armata di un ufficiale incaricato alla Propaganda bellica. Molteplici gli obiettivi: in primis cura del vitto, degli alloggi, dell’igiene, del vestiario dei soldati; ma anche eliminarne le cause del malcontento, distribuire carta da lettere e aiutare chi non ne era capace a scrivere a casa, tenere alto il morale anche attraverso cinema e giochi, spronando all’attività fisica, al gioco e impiantando campi per la pratica sportiva. Così, dopo Caporetto, i nostri militi si scoprirono più sportivi. E anche per questo, alla fine, alla fine vincenti.

Grande Guerra e sport, gli effetti del conflitto su Nedo Nadi

Oggi il 24 ottobre si ricorda la battaglia di Caporetto, scontro che  venne combattuto durante la prima guerra mondiale tra il Regio Esercito italiano le forze austro-ungariche e tedesche.
Si tratta della più grave disfatta nella storia dell'esercito italiano, tanto che ancora oggi il termine Caporetto viene utilizzato come sinonimo di sconfitta disastrosa.
Abbiamo scelto un estratto tratto da La migliore gioventù. Vita, trincee e morte degli sportivi italiani nella Grande Guerra di Daniele Nardi  e Dario Ricci, in cui si racconta di questo episodio militare legato a un grande schermidore, Nedo Nadi, l'unico schermidore ad avere vinto una medaglia d'oro in tutte e tre le armi nel corso di una stessa Olimpiade e detentore del record di maggior numero di medaglie d'oro vinte nella scherma sempre in una stessa Olimpiade.


“A lasciare cicatrici indelebili nell’animo di Nedo, invece, è il conflitto, come spiega ancora Roma: ´Dalla guerra sanguinosa, in trincea, sul Carso, Montenero, Altipiano dei Sette Comuni, Dobernò, San Michele, Cividale, all’Isonzo, a Caporetto, assalti corpo a corpo, bombe a mano, a piedi e a cavallo, nel fango e infine in Francia si guadagnò una terza decorazione al valor militare, dove ne uscì miracolosamen­te indenne ma profondamente logorato. Il patire fisico della fame, nella miseria, sporcizia, e tutto il complesso, avevano scavato nella carne e nel cuore del reduce solchi indelebili’. Profondamente religioso, avvezzo a quella sublime finzio­ne dell’arte del vivere, uccidere o morire che è la scherma, il soldato Nadi compie fino in fondo il proprio dovere, ma quasi rimanendo schiacciato dalle irrisolte contraddizioni che la sofferenza, il dolore, i patimenti propri e altrui pon­gono alle anime più illuminate: ‘La violenza, l’abbattimen­to di un proprio simile, erano per il suo spirito, inconcepibili – scrive ancora Roma – e il rifluire di giorni e di stagioni di quegli anni di tremendi orrori, lo incupirono rendendolo più che mai pensoso e triste, con un peso di colpa e di vergogna’.

Nuovo sito per Infinito edizioni

Cari Amici,
dalle 18,00 circa del 24 ottobre 2017 potreste riscontrare problemi sia nel navigare sul nostro sito www.infinitoedizioni.it sia nel comunicare con noi via posta elettronica.
I problemi di cui sopra sono dovuti al fatto che, come preannunciato circa un mese fa, tra la fine del 24 ottobre e il 26 ottobre circa prenderà corpo la seconda delle tre grandi novità del 2017. Se la prima novità era il passaggio con la società Emme Promozione per quanto riguarda la promozione editoriale dei nostri libri, la seconda è legata al nuovo sito Web, che metteremo appunto online nei prossimi giorni. E di cui qui potete vedere una piccolissima anteprima in questa immagine. Poiché il caricamento del nuovo sito – dietro cui ci sono mesi di lavoro a fari spenti – coincide anche con il cambiamento di hosting, che coinvolge inevitabilmente anche le caselle di posta elettronica, ecco spiegato il perché delle 48 ore di “buio” internettiano che ci prepariamo a vivere.
Fino al 26 ottobre, in ogni caso, sarà disponibile per le emergenze la casella e-mail infinitoedizioni@gmail.com
Speriamo che il nuovo sito vi piaccia.
La navigazione è molto più agile, è pensato per girare sui dispositivi mobili, è molto più dinamico del vecchio e molto più divertente sia da navigare che da sviluppare. È possibile che nei primi giorni di vita del sito possano riscontrarsi dei problemi, ma con il vostro aiuto andrà in breve tutto a posto. Tra i problemi riscontrabili, c’è senz’altro il mancato caricamento di una settantina di e-book, al quale avremo modo di porre rimedio man mano nelle prime settimane di vita del nuovo sito. In ogni caso tutti gli e-book continuano a essere disponibili sulle decine di store online presso i quali sono normalmente in vendita e molto presto saranno disponibili anche le versioni e-book degli ultimissimi libri, rispetto alle quali siamo rimasti indietro.
Arrivederci a fine 2017 con l’ultima grande novità di quest’anno di grandi cambiamenti. E speriamo che il nuovo sito Web piaccia a voi tanto quanto piace a noi.
Grazie per la pazienza e per la collaborazione gentilissima che ci darete.

Infinito edizioni

lunedì 23 ottobre 2017

Intervista a Daniele Zanon sul romanzo “Nina nella Grande Guerra”, cento anni dopo #Caporetto

Nina nella Grande Guerraè un romanzo storico, in equilibrio fra storia e finzione. Quale peso hanno avuto nella narrazione i due termini, cioè l’invenzione narrativa e il rigore storico?
Nina nella Grande Guerra è romanzo storico in senso ampio. La narrazione si sviluppa attorno a fatti successi realmente, ma questi fatti vengono messi in relazione attraverso il vissuto di personaggi che sono frutto di fantasia. Storie minori e personaggi inventati servono a portare all’attenzione del lettore la verità di fatti storiograficamente importanti.
Quali sono allora questi fatti veri su cui si costruisce il plot del romanzo?
I fatti sono sostanzialmente tre.
Il primo: due giorni prima della rotta di Caporetto arrivano al comando italiano di Cividale due disertori romeni. Questi consegnano in mani italiane il piano di attacco austriaco così come si sarebbe verificato il 24 ottobre.
Il secondo: il comando di Cividale, in conseguenza a questa informazione, decide di mandare in località Foni, poco distante da Caporetto, uno dei due reggimenti che compongono la brigata Napoli, così da arginare lo sfondamento del giorno dopo. Sono cinquemila uomini. Troppo pochi, comunque. Non avrebbero avuto alcuna possibilità di fare la differenza. Ma il giorno dopo la brigata Napoli non sarà al posto designato. Tutti quei soldati se ne staranno nascosti nelle alture circostanti. Questo è ciò che succede.
Il terzo fatto è davvero piccolo e insignificante ma mi conquistò più di tutti appena ne venni a conoscenza, tanto da farne il vero cuore del romanzo. Nei giorni successivi lo sfondamento di Caporetto, dopo la sostituzione di Cadorna col generale Diaz, viene dato l’ordine di scavare una trincea bassa, 30 chilometri sotto la linea del Piave. La trincea, che seguiva la linea Treviso-Vicenza, sarebbe servita ad arginare un eventuale sfondamento dell’esercito nemico anche sulla linea del Piave. Durante lo scavo della trincea, a Galliera Veneta, viene tirato fuori un morto. Un morto sepolto. E la cosa è assolutamente incredibile.
Un morto non era cosa poi così incredibile nello scenario di quei giorni.
Un morto in guerra no di certo. Ma quel morto, fra l’altro sepolto da non molto, è saltato fuori da uno scavo fatto in mezzo a un campo, dove per caso passava la linea della trincea, in mezzo a un campo confiscato dall’esercito. Quel morto era stato sepolto lontano dal cimitero, ovviamente da qualcuno che non voleva si sapesse. Chi era quel morto? Chi l’aveva sepolto?
Appunto, chi era?
Nessuno l’ha mai saputo. E non venne fatta neppure nessuna indagine dai carabinieri di Galliera Veneta di quel tempo.
E dunque?
Dunque, pur non conoscendo la vera storia, io ho voluto rendere ragione a quel fatto e a quella vita. Ho voluto, ovviamente in maniera fantasiosa, costruire un’indagine proprio attorno a quel ritrovamento. Il primo capitolo del romanzo è proprio il ritrovamento del morto da parte dei militari che scavano la trincea.
La perfetta apertura per un giallo.
Esattamente un giallo. Appena lessi di questo fatto decisi che il mio romanzo doveva essere appunto un piccolo giallo di paese, con tutti gli ingredienti tipici del giallo: un morto, che è appunto quello tirato fuori dallo scavo, un maresciallo che indaga, un appuntato stravagante come suo collaboratore, e poi personaggi che hanno qualcosa da nascondere, persone che sanno qualcosa o forse no, qualcuno che ha visto qualcosa… insomma… gli elementi classici che devono esserci in un racconto di genere.
E come si lega questo giallo di paese con gli altri fatti? Quello dell’assenza della brigata Napoli ad esempio?
Ovviamente non posso svelare le soluzioni della storia. Ma posso dire ad esempio che, nel mio racconto, l’assenza della brigata Napoli alla stretta di Foni è da leggersi all’interno di una storia d’amore fra due dei protagonisti, un tenente e la sua fidanzata. Quasi sicuramente le cose non sono andate così, ma non è questo ciò che conta. Quello che io racconto nel mio romanzo è un pretesto per sottolineare un fatto. In questo caso il fatto è l’assenza della brigata nel punto designato. Nessuno sa il perché. Certo è che un motivo concreto deve esserci stato. Sembra logico pensare che qualcuno deve avere avvisato quei soldati che il giorno dopo ci sarebbe stato quell’enorme massacro. E sicuramente quell’informazione non è arrivata attraverso le gerarchie di comando. L’esercito funzionava in maniera rigorosa. Quando veniva dato un ordine di spostamento a un gruppo di uomini, nessuno, a nessun livello, maggiori o tenenti che fossero, sapeva la verità sulla nuova missione. All’ultimo arrivava un portaordini con l’ordine preciso. Insomma, i reggimenti venivano spostati senza possibilità per gli uomini di sapere il perché, il cosa e il quando. Questo evitava fughe di notizie in caso di cattura e soprattutto evitava che ordini non venissero rispettati, come è successo nel caso del reggimento della brigata Napoli la mattina del 24 ottobre.
Quindi, nel suo romanzo, la motivazione dell’assenza della brigata Napoli è fantasiosa?
Certo. Solo la motivazione però. Non il fatto in sé. E questo è molto importante. La pretesa che si ha scrivendo un romanzo storico è di far conoscere al lettore qualcosa di nuovo da inserire in uno scenario tutto sommato conosciuto. Nella fase di studio delle varie questioni storiografiche mi sono avvalso dell’aiuto di un amico, Valerio Curcio, grande appassionato e conoscitore attento della Grande Guerra. La domanda che gli ho fatto subito è stata questa: ci sono dei fatti senza risposta? Delle vicende andate in un modo e non si sa il perché? Una di queste questioni aperte è proprio l’assenza di un reggimento della brigata Napoli al suo posto la mattina del 24 ottobre. Scrivere un romanzo storico, rispetto a un saggio storico, dà la libertà di romanzare attorno ai fatti. Allora, se c’è un meandro buio nelle pieghe di una storia, è proprio lì che uno scrittore si può infilare con soluzioni romanzate ma che, ripeto, servono a ribadire un fatto storico importante.
E cosa mi dice dei disertori romeni?
Anche loro li ho trattati come personaggi da romanzo. Del resto… non si sa niente sul loro conto. Mi sono preso quindi la libertà di inventare il loro vissuto e le loro motivazioni. Ma non posso dire altro senza il rischio di svelare elementi importanti per chi avrà voglia di leggere il romanzo.
Il personaggio principale è Nina, una ragazza. È strano che il protagonista principale del romanzo sia una donna, nel mezzo di una guerra combattuta da uomini.
Io sono il tipo di scrittore che non comincia a scrivere una sola parola finché non ha deciso ogni sfumatura anche del più piccolo personaggio e soprattutto il contenuto di ogni capitolo. Avevo già cominciato a strutturare il giallo, pensando a varie ipotesi circa il colpevole, i colpi di scena eccetera… quando ho rivisto il film di Kubrick Orizzonti di gloria. È un film di guerra classico, dove tutto ruota attorno a personaggi dell’esercito. Tutti maschi. Nell’ultima scena però compare una ragazza. I nostri eroi sono chiusi dentro una bettola a bere e a divertirsi, quando il gestore fa salire sul piccolo palcoscenico una ragazza. Figuriamoci le urla e i fischi di gradimento dei militari. La ragazza intimidita, fra le lacrime, comincia a cantare. È tedesca la ragazza. Canta una canzone di guerra, triste e dolorosa. Un po’ alla volta i militari cambiano atteggiamento. Si commuovono. Quella ragazza non è più semplice oggetto del loro desiderio, quella ragazza diventa il simbolo di ogni sorella, fidanzata, madre… di tutte le donne che sono a casa e che aspettano e piangono per i loro ragazzi al fronte. Le donne… non sono state protagoniste della guerra, non sulla carta almeno, ma il loro dolore, le loro perdite, le loro fatiche, ad esempio nel lavoro dei campi privato delle braccia dei maschi, tutte queste cose le hanno rese protagoniste eccome. Faccio un esempio… nella fase di studio e ricerca per questo libro ho scoperto che una donna di Galliera Veneta perse sei figli maschi in guerra, tutti morti in prima linea… ora, se non è protagonista assoluta della guerra una donna che si è vista costretta a un sacrificio così enorme… bè, non saprei chi altro potrebbe esserlo.
Insomma, questo solo per dire che nel momento in cui stavo rivedendo il finale del film di Kubrick, in quel momento ho deciso che il protagonista del mio romanzo doveva essere una donna. Non sapevo come ciò sarebbe successo ma ho cominciato subito a pensarci. Ho dovuto fare spazio a questo nuovo personaggio stravolgendo un po’ di cose già decise, ho dovuto pensare a delle caratteristiche che potessero metterlo in relazione con tutti e tre i fatti che ho citato prima. Eccetera…
Quindi nella lavorazione del romanzo ci sono state due fasi ben distinte.
La fase di strutturazione è sempre la più lunga. Lavoro sui personaggi, sugli intrecci, sui fondali narrativi. Comincio poi a scrivere i contenuti dei capitoli su dei post-it e li attacco al muro. Scrivo e riscrivo i foglietti, li sposto, li incrocio, li ordino, avendo davanti sempre il quadro di una grande lavagna dove tutto un po’ alla volta trova forma e spazio. Finché questo quadro non è a mio giudizio perfetto non comincio a scrivere. A volte le soluzioni arrivano in breve tempo, altre volte bisogna saper aspettare. Poi le cosiddette illuminazioni possono arrivare da qualsiasi parte, come nel caso della visione del film di Kubrick. Nel caso specifico di Nina nella Grande Guerra questa fase è durata circa quattro mesi. Ma… tanto per dire… ho un busta nel cassetto dove ci sono i foglietti di un romanzo che mi sta molto a cuore. Ancora non ho trovato tutte le soluzioni e per cui lo tengo là. Ogni tanto lo tiro fuori, riattacco i foglietti al muro e ci dedico una mezza giornata. Lo scriverò solo quando sarò sicuro di ogni singolo aspetto.
Perché intanto non cominciare a scriverlo?
Perché magari poi sarei costretto a riscrivere delle parti, se non addirittura il romanzo per intero. È una cosa che sento capitare alla maggior parte delle persone che scrivono. Non voglio esprimere giudizi sul metodo degli altri, ma ho sentito dire da molti scrittori di avere riscritto un romanzo anche quattro o cinque volte. Bisogna riscrivere perché alla fine di una stesura ci saranno sicuramente delle incongruenze, delle parti che risulteranno inutili e pesanti, dei personaggi che si sono chiarati come personaggi nel corso della scrittura, per cui vanno cambiati al loro esordio, magari. No, no… mi manderebbe fuori di testa una cosa del genere. Se si decide tutto in precedenza, non ci potranno essere incongruenze e cose che non funzionano.
Dunque, la scrittura vera e propria di “Nina nella Grande Guerra” quanto è durata?
Non più di tre mesi. Ma si tenga presente che a quel punto, quando tutto è già stato deciso e valutato (le caratteristiche dei personaggi, i contenuti di ogni capitolo, addirittura la lunghezza di ogni capitolo)… bè, a quel punto c’è solo il piacere della scrittura. Non ci sono più cose da valutare, né scelte da fare. Tutto è chiaro, deciso e lineare. Alla fine della scrittura non ci sarà certamente bisogno di una seconda stesura, perché tutto già si tiene insieme perfettamente, appunto perché fa già parte di un progetto unitario e ben pensato.
Sembra un metodo che funziona.
Funziona, e lo consiglio a tutti quelli si approcciano alla scrittura. Diversamente, è come fare una casa senza un progetto. Se si fa una stanza alla volta, bisogna, a ogni nuova decisione, sfondare delle pareti, rifare il tetto, rifare gli scavi perché magari prima il bagno era di là e ora lo si vuole fare di qua. Non è più finita! E ogni nuova scelta rischia di essere angosciante, faticosa e costosa. E poi quando si scrive con la serenità di un progetto già ben definito… non c’è altro che il piacere della scrittura… e questo è fondamentale per riuscire a dare il meglio di sé.
Un libro scritto con piacere dunque, Nina nella Grande Guerra, e anche si legge con piacere.

Consigliato a tutti quelli che amano i romanzi storici, i gialli, le storie d’amore.

Italia.zip. Test di comprensione e compressione del Belpaese, anteprima oggi a Roma

Infinito edizioni vi invita alla presentazione, in anteprima del libro


di Mario Conte e Pierluigi Senatore
Prefazione di Antonino Di Matteo. Postfazioni di Attilio Bolzoni e Toni Capuozzo


lunedì 23 ottobre, ROMA, presso la libreria Mondadori, (via Piave 18), ore 17,00.
Dialogano con gli autori Antonino Di Matteo e Floriana Bulfon.

Due amici, un giudice e un giornalista, che risiedono a mille chilometri di distanza, l’uno al sud e l’altro al nord, si confrontano sulle rispettive realtà e sul futuro dell’Italia. Ne nasce un libro che in parte è saggio, in parte è dialogo e confronto profondo tra due persone che, attraverso i loro lavori “sensibili”, vivono quotidianamente le contraddizioni, i pregiudizi, le migrazioni e le divisioni del nostro Belpaese.
“Oggi l’Italia tutta, da Bolzano a Lampedusa, corre gli stessi rischi e sconta, sulla pelle dei cittadini onesti, gli stessi peccati. Come un cancro, la mentalità mafiosa si è espansa e annidata, a tutti i livelli, nella gestione della cosa pubblica e degli affari privati. La corruzione, la gestione clientelare e familistica del potere, l’uso spregiudicato delle risorse pubbliche, stanno sfiancando il Paese, stanno facendo smarrire, nei più giovani e nei migliori tra i giovani, la voglia e l’entusiasmo di impegnare qui le loro forze e le loro intelligenze”. (Antonino Di Matteo)
“Io provo paura quando vedo ancora le baracche abitate del terremoto di Messina del 1908; provo paura quando la mafia in questi ultimi anni si è travestita da antimafia; provo paura quando la retorica di qualche predicatore di  legalità è piegata ai suoi deliri di onnipotenza. È una paura che monta, che sale verso nord. Nella Fondi e nella Sabaudia di oggi che sono per omertà come la Corleone e la Partinico di ieri, nell’Emilia e nella Lombardia di politicanti che fanno finta di niente e garantiscono che ‘abbiamo gli anticorpi per respingere le mafie’”. (Attilio Bolzoni)
“Senatore e Conte hanno intrecciato le loro idee e tracciato le loro pagelle trovando alcuni valori comuni – comuni a loro due, più che alle rispettive comunità – a cominciare dalla legalità. Il resto, nonostante tutto, rivela un evidente amore per le rispettive piccole patrie, e il risultato, mi sembra, è il ritratto di una patria grande piena di difetti, e meritevole di amore”. (Toni Capuozzo)

Il libro:
Titolo: Italia.zip. Test di comprensione e compressione del Belpaese
Autori: Mario Conte e Pierluigi Senatore
€ 12,00 – pag. 96

Gli autori
Mario Conte
(Palermo, 1967) è stato Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) presso il tribunale di Palermo, dove oggi è Consigliere della Corte d’Appello. È stato componente del collegio che ha giudicato nel marzo del 2013 Marcello Dell’Utri. Appassionato di sport, è diventato magistrato all’epoca delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Ha celebrato diversi processi di mafia, tra cui Eos2 e Addiopizzo Quater, da cui è nata l’idea di scrivere I dieci passi, libro redatto con Flavio Tranquillo, da cui sono stati tratti un lavoro teatrale e un progetto sulla legalità che ha coinvolto gli studenti delle scuole superiori di Palermo. Da anni gira nelle scuole di tutta Italia per diffondere i temi della legalità e della sensibilizzazione ai veri valori dello sport.
Con la nostra casa editrice ha pubblicato ITALIA.ZIP (2017, con Pierluigi Senatore).

Pierluigi Senatore (Milano, 1960) è giornalista professionista dal 1992. Nello stesso anno ha ricevuto il “Premio giornalistico Città di Modena” per il settore “Radiofonia”. Ha diretto la testata giornalistica del network radiofonico regionale Radio Bruno Emilia-Romagna. Ha collaborato con numerose testate giornalistiche con servizi su Madagascar, Cambogia, Nicaragua, tra i profughi del Saharawi in Algeria, sulla guerra nella ex Jugoslavia e sulla tragedia di Chernobyl. È stato tra i fondatori, con Paolo Belli e altri artisti, della Onlus “Rock No War”. Nel 2017 è stato insignito del Premio Internazionale “Verde Ambiente”, assegnato a personalità italiane e internazionali impegnate a difesa dell’ambiente, dei diritti civili e sociali.
Tra le sue pubblicazioni: Corre La Pace (Artestampa, 2005), Niet Problema! Chernobyl 1986-2006 (Artestampa, 2006, con il fotoreporter Luigi Ottani) che ha ricevuto il Primo Premio Bastianelli 2007, e ha partecipato con un saggio al libro Ti ricordi Cernobyl? (Infinito edizioni, 2006).

Con la nostra casa editrice ha pubblicato ITALIA.ZIP (2017, con Mario Conte).

venerdì 20 ottobre 2017

22 ottobre 1992, a Višegrad va in scena il massacro di Sjeverin

Višegrad, Valle della Drina, Bosnia orientale: qui dal 19 maggio 1992 comandano i cugini Milan e Sredoje Lukić, sanguinari paramilitari serbo-bosniaci che, con le loro Aquile bianche, un gruppo di assassini ancora oggi in larga parte impuniti, impongono alla cittadina e ai villaggi nei dintorni un regime del terrore e dell’orrore.
I due cugini si rendono protagonisti di una serie di episodi tremendi e con operazioni di rastrellamento, deportazioni e omicidi di massa di decine di civili all’interno di case private compiono una completa pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che costituivano il 63 per cento della popolazione locale. Circa tremila persone vengono uccise e fatte scomparire.
Il 22 ottobre 1992 sedici musulmani-bosniaci, quindici uomini e una donna, in viaggio per motivi di lavoro, sono rapiti sull’autobus di linea serbo che viaggiava da Sjeverin a Priboj, in Serbia. L’autobus viene fermato dal gruppo paramilitare serbo-bosniaco delle Aquile bianche, al comando di Milan Lukić, a circa due chilometri dalla cittadina serbo-bosniaca di Rudo. Dopo aver controllato i documenti di tutti i passeg­geri, i paramilitari ordinano ai “non-serbi” di scendere dal mezzo. I bo­sniaci saranno caricati su un camion davanti al bar Amfora, brutalmente torturati nell’hotel Vilina Vlas, portati sulla riva della Drina, uccisi e i corpi gettati nel fiume. L’unico musulmano sull’autobus a salvarsi è Ad­mir Đikić, 13 anni, che ha la prontezza di riflessi di nascondersi dietro Ilija e Desa Kitić, una coppia di serbo-bosniaci che gli salvano la vita dichiarandolo loro figlio. La strage dei passeggeri di Sjeverin è il primo caso in cui i para­militari serbo-bosniaci assassinano non dei musulmani-bosniaci cittadini della Bosnia Erzegovina, ma dei musulmani-bosniaci cittadini serbi. Per i fatti della cosiddetta strage di Sjeverin a oggi sono stati condannati solo quattro responsabili, ovvero Milan Lukić, che ha avuto l’ergastolo per la somma dei suoi crimini, Dragutin Dragićević e Oliver Krsmanović, cui sono stati comminati vent’anni di carcere, e Đorđe Šević, che ha avuto quindici anni.
Questa e tante altre vicende sono narrate in Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio (Infinito edizioni, 2017), reportage scritto sul campo dal giornalista Luca Leone.
“Purtroppo il nome di Rudo continua a essere associato a quest’episo­dio spaventoso – racconta nel libro, tra l’altro, Rato Rajak, sindaco di Rudo – ma noi non abbiamo nulla a che fare con questo crimine. Il gruppo delle Aquile bianche ha catturato un gruppo di persone che si stava recando al lavoro a bordo di un autobus che faceva la spola sulla linea Rudo-Priboj. Le vittime erano tutte del villaggio di Sjeverin, di­stante appena un paio di chilometri dal centro di Rudo, ma in realtà ap­partenente al comune di Priboj”, cittadina serba lungo il corso del fiume Lim. “Le vittime si stavano recando a lavorare da Sjeverin a Priboj, dove a quel tempo era attiva una grande fabbrica metalmeccanica. Da allora noi portiamo il peso e il dolore di quell’episodio – continua il sindaco –. D’altronde, poiché anche io ero un ufficiale dell’e­sercito della Republika Srpska di Bosnia, posso dire d’essere ancora oggi in contatto con soldati musulmani-bosniaci che combattevano dall’altra parte. Spesso parliamo di tutto quel che è successo. Se andate a Goražde e chiedete ai bosniaci di lì dei soldati serbo-bosniaci nemici che combattevano nei comuni confinanti, tutti vi metteranno per iscritto che quelli di Rudo erano diversi dagli altri. Perché noi di Rudo non abbiamo mai permesso a noi stessi e ai nostri concittadini di sporcarsi le mani con atrocità ma abbiamo sempre tenuto alto il nostro onore di soldati. Goražde è stata a lungo sotto l’assedio delle forze serbe, al quale hanno partecipato anche i soldati di Rudo. Ma nella zona sotto la responsabilità dei soldati di Rudo, non abbiamo mai sparato su persone o bersagli civili. Oggi abbiamo ottimi rapporti con il Comune di Goražde e il nostro gruppo folkloristico, famoso in tutta la ex Jugoslavia, partecipa al loro festival del folklore. E quando in sala entrano i nostri artisti, tutti scandiscono con gioia la parola ‘Rudo! Rudo!’. Purtroppo la guerra è qualcosa di sporco. Si sono verificati sin­goli crimini, subìti anche dalle famiglie serbe, commessi da persone che non è possibile forse neppure considerare esseri umani. A subire sono sempre stati i civili nei villaggi di confine, ora i musulmani-bosniaci, ora i serbo-bosniaci. Da noi per fortuna i crimini commessi sono stati pochi e i più gravi sono stati senza dubbio quelli perpetrati a Sjeverin e a Štrpci”.
“Venticinque anni di silenzi complici, di rimozione, di inganni e tradimenti. Di quel negazionismo spicciolo che si nutre di ‘letteratura’ cospirazionista e che, per mera affiliazione ideologica, ci spiega ogni tanto con un post tradotto o scritto pure male, che è tutto falso”. (Riccardo Noury)

Il libro:
Titolo: Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio
Autore: Luca Leone
€ 14,00 – pag. 208

Con il patrocinio di Amnesty International sezione italiana, Cisl Emilia Romagna, Iscos Emilia Romagna, Mirni Most

Processo Mladic, possibile sentenza di primo grado il 22 novembre

 I giudici del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia (Tpi) potrebbero emettere il prossimo 22 novembre la sentenza di primo grado nell’ambito del processo per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità istruito contro l’ex capo di stato maggiore serbo-bosniaco, l’ex generale Ratko Mladić. Ne ha dato notizia lo stesso Tpi.
Per Mladić, 74 anni – da molti ribattezzato “il boia di Srebrenica” o “Il macellaio di Srebrenica” –, la Procura generale del Tpi ha chiesto la condanna all’ergastolo.
Qualunque sia la sentenza di primo grado, è quasi certo che il processo contro Mladić non si concluderà prima della sentenza di appello.
La latitanza di Mladić, protetta sia da elementi interni alle istituzioni serbe che serbo-bosniache, si è protratta fino al 26 maggio 2011, quando è stato arrestato e successivamente estradato a L’Aja. Il processo è cominciato un anno dopo.

lunedì 16 ottobre 2017

16 ottobre, Giornata mondiale dell'alimentazione

Fin dal 1979, le Nazioni Unite celebrano il 16 ottobre la Giornata Mondiale dell’Alimentazione. La data non è scelta a caso perché coincide con la fondazione della FAO, la Food and Agriculture Organization, l’agenzia delle Nazioni Unite che ha come obiettivo la lotta alla fame e promozione dell’agricoltura. Il 16 ottobre, in occasione della cerimonia ufficiale che si terrà presso la Sede centrale della FAO a Roma, José Graziano da Silva, Direttore Generale della FAO, sarà affiancato da Papa Francesco e dai ministri dell’Agricoltura che partecipano alle riunioni del G7. Per tradizione, durante la cerimonia della GMA, veniva letto un messaggio di Sua Santità. Quest’anno, per la prima volta, il Papa sarà presente ed esorterà la comunità internazionale a cambiare il futuro della migrazione, ponendo un accento importante all’importanza del fenomeno migratorio a livello mondiale, evidenziando come dopo l’aumento dei conflitti e l’instabilità politica la fame e la povertà siano fattori decisivi nella scelta migratoria.

Segnaliamo, sul tema dell’alimentazione naturale e di una maggiore consapevolezza alimentare i libri Tutti ai fornelli. Ricette per divertirsi insieme in cucina e Mani in pasta. Fare pane e pizza con la lievitazione naturale, entrambi di Giorgia Garuti e Maria Cecilia Castagna. Buona lettura

mercoledì 11 ottobre 2017

#Caporetto 1917: fu resa o battaglia?

Ricorre il prossimo 24 ottobre il centenario della dodicesima battaglia dell’Isonzo, meglio conosciuta come battaglia o disfatta di Caporetto. Abbiamo chiesto allo storico Valerio Curcio, che ha curato l’introduzione al romanzo storico di Daniele Zanon Nina nella Grande Guerra, un commento sui fatti di quel giorno.

A cent’anni di distanza siamo ancora qua a discutere su cosa rappresentò veramente per il Regio Esercito Italiano quel che accadde dalla notte sul 24 ottobre 1917. L’episodio è noto in tanti modi, tutti coniugati al negativo, ancor oggi sinonimi di infausti presagi; rotta, disfatta, resa, disastro, catastrofe. In pochi hanno sentito parlare di battaglia di Caporetto. Probabilmente la sfumatura negativa si deve al revisionismo storico durante il ventennio fascista o al famoso bollettino di Cadorna nel quale si additavano i soldati italiani di viltà e tradimento, quali unici responsabili dei fatti accaduti.
In occasione del Centenario la discussione si è riaperta; oggi abbiamo a disposizione una gran mole di documenti che, nella maggior parte dei casi, si discosta in modo anche deciso dalla storiografia ufficiale, quest’ultima viziata dal revisionismo imposto durante il ventennio fascista.  
Due nomi su tutti, due illustri generali, entrambi indicati come probabili successori del generalissimo Cadorna, animati da una profonda e reciproca gelosia nonché da un odio tale da sfociare nella più becera infedeltà. Parliamo di Luigi Capello e Pietro Badoglio, rispettivamente comandanti della Seconda Armata e del XXVII Corpo d’Armata (Settore dello sfondamento). Ecco la chiave di volta, loro la responsabilità di quanto accaduto.
E i soldati? Questi combatterono finché si poté, perché quando le munizioni finiscono e i rinforzi non arrivano il pensiero non può che andare ai propri cari, alla casa, alla terra. Tra morte certa e prigionia l’eroismo sbiadisce di colpo e la logica fa il resto. Abbiamo centinaia di testimonianze, confermate da altre indipendenti, che riscrivono totalmente la storia di quei giorni di Caporetto.
Sul Mrzli e sul Vodil il nemico viene continuamente respinto. I prigionieri nemici sono decine, a volte centinaia. Vengono portati in fondo valle, ma lì ci sono già i tedeschi.
Quando si resta a corto di munizioni si spara con l’artiglieria ad alzo zero: mossa della disperazione e alquanto inutile. Si legge di storie di difese estreme con lancio di pietre, o di episodi di pietà, come quella di due soldati italiani che corrono verso il fondovalle senza più munizioni inseguiti dagli ungheresi. I due non esitano a prestare soccorso al proprio comandante ferito al femore, quando lo incontrano durante la precipitosa fuga. Lo portano con loro fino a valle dove li attende la sorpresa più amara: non più il comando italiano, ma una marea di soldati tedeschi. La lotta è accanita sulla Bainsizza, nella stretta di Saga, sul Monte Rosso. Qui gli austrotedeschi sono ripetutamente respinti ma le munizioni scarseggiano. Fin dalle prime luci del 24 ottobre si susseguono richieste di rinforzi e munizioni. La prima risposta dal Comando giunge oltre dodici ore dopo, quando ormai il caposaldo è caduto in mano nemica.
Qualche minuto dopo i primi bombardamenti nemici i generali italiani sono già in fuga verso la piana friulana: prima a Cividale, poi a Udine. Le baracche dei comandi vengono bruciate, i documenti distrutti. Le staffette che dalle prime linee corrono ai comandi per riferire scoprono tutto ciò e si sentono traditi e spacciati.
Sul Carso gli italiani tengono testa, anzi zittiscono l’artiglieria nemica. Poi giunge l’ordine di ripiegare al di qua del Vallone, senza che i nostri ufficiali di linea ne capiscano il motivo. Non lo capiscono neanche gli austriaci, che davanti all’arretramento degli italiani restano, per nostra fortuna, ai loro posti, pensando a una trappola. Sì, perché il piano austrotedesco non prevedeva che un’azione limitata alla zona tra Tolmino e la stretta di Saga. Nella migliore delle ipotesi si pensava ad un respingimento degli italiani sulla linea dell’Isonzo, non certo fino al Tagliamento, figuriamoci fino al Piave.

Nessuna guerra è grande. Ad essere grandi sono solo gli errori, come quelli dei comandanti italiani, non certo di soldati-contadini strappati alla loro terra.    

martedì 10 ottobre 2017

10 ottobre, Giornata Mondiale contro la pena di morte

Il 10 ottobre è una data importante nell’elenco delle ricorrenze da celebrare perché si ricorda la
Giornata Mondiale contro la pena di morte, che ha iniziato a essere ricordata nel 2003. L'evento venne promosso dalla Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte, che riunisce organizzazioni non governative internazionali, ordini degli avvocati, sindacati e governi locali di tutto il mondo.
Nel nostro Paese l’abolizione della pena di morte era stata prevista già nel 1889 durante il Regno d’Italia, ma la pena capitale fu poi reintrodotta sotto il regime fascista. L’ultima esecuzione avvenne nel 1947, e la pena di morte fu abolita dalla Costituzione nel 1948 e, soltanto nel 1994, anche dal codice militare. Il nostro Paese, comunque, non è il fanalino di coda in Europa: la Città del Vaticano la rimuove dalla Legge fondamentale soltanto nel 2001, mentre la Francia la abolisce nel 1981, ma la esclude esplicitamente dalla Costituzione nei primi mesi del 2007. Il motivo di tale intervento ha lo scopo di rendere più difficile un suo eventuale reinserimento nel codice penale: infatti il leader di estrema destra Jean Marie Le Pen aveva proposto di reintegrarla sia nel 1994, a seguito di gravi fatti di sangue e nel 2004 per gli atti terroristici.


Attualmente la pena capitale è ancora applicata in 57 Paesi al mondo mentre 141 Paesi l’hanno abolita: ci sono diverse associazioni che lottano contro l’abolizione totale, tra le prime Amnesty International, che ha patrocinato il lavoro, composto da un libro e un dvd di e con Marco Cortesi dal titolo L’Esecutore. Ancora sul tema della pena di morte segnaliamo il Rapporto 2016-2017. La situazione dei Diritti Umani nel mondo, in cui Amnesty International documenta la situazione dei diritti umani in 159 Paesi e territori durante il 2016, segnalando gli Stati dove è ancora in vigore o dove è stata recentemente introdotta per punire dei reati. 

Srebrenica: assolto Naser Orić, la reazione serba e serbo-bosniaca

Il Tribunale di Sarajevo ha assolto, con non poca sorpresa generale, l’ex comandante paramilitare della difesa di Srebrenica durante l’assedio serbo-bosniaco, il musulmano bosniaco Naser Orić, dall’accusa di crimini di guerra contro civili in merito all’omicidio, nel 1992, di tre civili serbo-bosniaci in tre villaggi siti nei dintorni di Srebrenica. Si tratta dell’ennesima assoluzione inanellata da Orić nell’ambito dei processi intentati ai suoi danni in merito alle violenze perpetrate nel 1992 contro civili serbo-bosniaci da parte di squadre paramilitari musulmano bosniache, dopo che la prima aggressione serbo-bosniaca a Srebrenica era stata respinta e i musulmani bosniaci avevano ripreso il controllo della città, sostenendo un assedio che sarebbe durato fino al luglio del 1995 e si sarebbe concluso con l’omicidio a sangue freddo di 10.701 maschi musulmano bosniaci di età compresa dai 12 ai 76 anni, nella totale indifferenza dei caschi blu olandesi dell’Onu presenti in loco.
Dura la reazione del presidente serbo Aleksandar Vučić, secondo cui “le vite dei serbi evidentemente non valgono quanto quelle degli altri”. Una reazione scomposta e priva di visione da parte di un presunto ultranazionalista “pentito” e passato al campo moderato, che qualcuno già considera un punto di riferimento per la stabilità della martoriata regione balcanica. Alimentare il senso di persecuzione del bacino elettorale nazionalista serbo può essere positivo per il futuro politico di Vučić ma non certo per i già problematici equilibri dell’area. Come al solito distruttiva la reazione del presidente serbo-bosniaco Milorad Dodik, da mesi in difficoltà politica e quindi deciso a entrare a gamba tesa appena possibile pur di recuperare un po’ di credito politico e prolungare la sua permanenza sulla poltrona del potere. Dodik ha invitato tutti i serbi a lasciare le istituzioni statali bosniache, ponendosi di fatto una volta di più in continuità con le decisioni politiche del criminale di guerra Radovan Karadžić, condannato lo scorso anno dal Tribunale de L’Aja a quarant’anni di carcere. Eccessiva anche la reazione delle donne di Srebrenica, che hanno applaudito e abbracciato Orić, che loro considerano un eroe di guerra ma il cui operato – e quello dei suoi luogotenenti – a Srebrenica è ancora oggi pieno d’ombre e meriterebbe un vaglio più approfondito sia da parte della giustizia che da parte degli storici.

In ogni caso – e questo è un dato di fatto – sembra non esserci mai pace in Bosnia né per i vivi né per i morti.

lunedì 9 ottobre 2017

Venezuela, la vicenda del giornalista Roberto Di Matteo


"Adesso che il nostro collega italiano Roberto Di Matteo, è stato rilasciato dalle
autorità venezuelane, con lo svizzero Filippo Rossi e quello venezuelano Jesus Medina, tiriamo un sospiro di sollievo”, commenta la nostra autrice, volto del Tg2, Christiana Ruggeri. “La vicenda di Di Matteo è stata seguita dalla Farnesina con grande attenzione, così come dalla FNSI, da Articolo 21 e dal sindacato venezuelano dei cronisti. Il fatto che i tre stessero conducendo un'inchiesta nel carcere di Tocoron, nello Stato di Aragua, dovrebbe però far riflettere sul tracollo di questo Paese. Dove almeno 27 penitenziari su 34 non corrispondono alle normative minime di legge. Dove i cartelli della droga continuano a imperare quasi indisturbati e a esportare all'estero meglio di prima. E dove il regime di Maduro tiene prigionieri ancora tremila tra manifestanti, intellettuali, persone comuni”.

Diventa sempre più attuale, dunque, la denuncia del libro-reportage pubblicato per la nostra casa editrice dalla giornalista Ruggeri dal titolo "I Dannati", sul PGV, nell'Estado Guarico, la prigione gestita dai narcos e da poco parzialmente smantellata, dove per 20 anni è successa l'ecatombe. “Nel carcere di San Juan de Los Morros pochi mesi fa è venuta alla luce una grande fossa comune. I pranes sopravvissuti, i capi narcos, si sono riorganizzati in altri càrcel. E stanno già facendo parlare di loro". 

Il libro:
Titolo: I dannati. Reportage dal carcere venezuelano più pericoloso del mondo
Autrice: Christiana Ruggeri. Prefazione di Riccardo Noury, introduzione di Alessio Scandurra
€ 14,00 – pag. 168
Con il patrocinio di Antigone onlus


Christiana Ruggeri, giornalista in forza agli Esteri del Tg2, gira il mondo per raccontarlo. Da sempre attenta ai diritti umani, si interessa della situazione delle donne e dei bambini, soprattutto in Africa e nell’America Centrale e Latina, dove ha partecipato a diverse missioni umanitarie. Con Giunti ha pubblicato con successo Dall’Inferno si ritorna (2015) e, per gli ottant’anni del campo di Sachsenhausen, la nuova versione de La lista di Carbone (2016), già finalista al Premio Bancarella.
Con la nostra casa editrice ha pubblicato I DANNATI. REPORTAGE DAL CARCERE VENEZUELANO PIU' PERICOLOSO DEL MONDO (2017).

giovedì 5 ottobre 2017

5 ottobre, Giornata mondiale degli insegnanti

La Giornata mondiale degli insegnanti, che si tiene ogni anno il 5 ottobre dal 1994, commemora gli insegnanti di tutto il mondo. Il suo scopo è quello di mobilitare il sostegno per gli insegnanti e per garantire che le esigenze delle generazioni future continueranno ad essere soddisfatte dagli insegnanti.
Secondo l'Unesco, che promuove la giornata, la ricorrenza rappresenta un segno significativo della consapevolezza, la comprensione e l'apprezzamento mostrato per il contributo fondamentale che gli insegnanti fanno per l'educazione e lo sviluppo. Oltre 100 Paesi del mondo osservano Giornata mondiale degli insegnanti.


Vi segnaliamo i nostri libri sul tema, nella sezione scuola.

martedì 3 ottobre 2017

4 ottobre, Giornata mondiale degli animali: The Beagle’s

Ebron, un giovane beagle, e la sua cerchia di amici a quattro zampe lavorano senza sosta per la correzione di un mondo in cui l’essere umano continua a considerarsi al di sopra dell’ordine naturale. Ebron si fa interprete e portavoce delle istanze del mondo animale e si ostina a lottare, con l’ironia di cui solo un cane è capace, contro ogni bruttura causata dall’umanità. Quando è costretto a confrontarsi col dolore o con la stupidità  umana, Ebron riesce sempre a trovare la soluzione migliore.
Dopo tanti anni trascorsi a vivere e a lavorare con e per i cani, ho compreso che loro hanno molte più cose da dirci sul mondo di quante mai potremmo spiegarne noi a loro. Ma dobbiamo imparare ad ascoltare, in silenzio, affinché non ci sfugga nulla”. (Luca Spennacchio)
“Se è vero che ‘la civiltà di un popolo si misura da come tratta gli animali’, in un panorama editoriale dominato da sesso e volgarità, e in una realtà dove ciascuno salvaguarda esclusivamente il suo particulare, The Beagle’s è un balsamo, una boccata d’aria, una possibilità. Non sazia come accade solo per le cose più belle. Piace pensare che, al di là di queste pagine, Ebron e i suoi amici continuino a esserci; piace pensare che ci sia chi ha saputo dare loro voce. E, parafrasando De Andrè, pensare che sia possibile far scoppiare l’amore dappertutto solo aprendo un libro”. (Asteria Casadio)
Ebron è il beagle protagonista di The Beagle’s. Storia e leggenda di un Don Chisciotte a quattro zampe scritto da Salvatore D’Ascenzo, in libreria proprio nella ricorrenza dedicata a festeggiare il mondo animale.

3 ottobre, Giornata nazionale in memoria della vittime dell’immigrazione

Si celebra la seconda edizione della Giornata nazionale in memoria della vittime dell’immigrazione. La ricorrenza, stabilita per ricordare chi "ha perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria", nasce nel solco di una delle peggiori stragi mai accadute sulle cose italiane, quella che al largo di Lampedusa, il 3 ottobre 2013, appunto, vide morire ben 366 migranti.
In occasione della Giornata nazionale, stabilisce l'articolo 2, sono organizzati su tutto il territorio nazionale cerimonie, iniziative e incontri per sensibilizzare l'opinione pubblica alla solidarietà civile, al rispetto della dignità umana e del valore della vita, all'integrazione e all'accoglienza. Sugli stessi temi le istituzioni, nei propri ambiti di competenza, promuovono iniziative nelle scuole, anche in coordinamento con associazioni e organismi di settore.

Ricordiamo le vittime dell’immigrazione grazie a un passo del libro autobiografico di Clariste Soh-Moubé dal titolo “
La trappola

Eccoli ancora a contarci con quel loro bastone che mi sfiorava la schiena.
Che mania era mai quella di contarci di continuo?
Come se per loro non fossimo che cifre,
un numero da raggiungere prima di espellerci.
Non avevo più paura, di niente.
Non sapevo cosa sarebbe stato di noi.
Nemmeno l’eventualità di morire mi spaventava più.
Solo le speranze deposte in me dai miei,
la sofferenza che avrebbe causato loro se fosse successo,
solo questo mi preoccupava.
Eravamo venuti in pace, ma venivamo cacciati come feccia.
Qualcuno ha detto: “Chi vuole la pace prepari la guerra”.
Questa non era la nostra logica.
Fin da piccola avevo imparato che le migrazioni,
come qualsiasi altro movimento di popoli, esistevano
e sarebbero sempre esistite.
Gli spostamenti da una terra a un’altra esistevano dalla notte dei tempi
ed è dall’esodo rurale che nacque il mondo urbano.
La gente voleva vivere meglio

e partiva per le città, convinta di trovarvi una vita migliore.
Dal canto suo la città non aveva mai rifiutato nessuno
col pretesto di essere satura.
Ognuno vi trovava il suo spazio.
Nessuno prendeva il posto a nessuno,
ognuno occupava il suo.
Ero sicura che questo potesse valere anche nell’ambito dell’emigrazione.
Questa guerra inutile era cominciata da tempo.
Per me risale al momento in cui partii per trovare me stessa; ma non
me ne accorsi.
Seduta ai piedi di quel muro invalicabile, di colpo mi sentii bene.
Stavo per tornare nel mio mondo,
in quel film in cui ero l’attrice principale.
Lo scenario non era Hollywood, ma ebbi in quel momento l’impressione
di rivivere,
e questo mi bastava.
Non restava che far ripartire il nastro.

lunedì 2 ottobre 2017

La Corte d’Appello di Brescia “sconta” a vent’anni la condanna di Paraga

02/10/2017. Dopo circa tre ore di camera di consiglio, la Corte d’Assise d’Appello del Tribunale di Brescia ha pronunciato una condanna a vent’anni ai danni di Hanefija Prjić, meglio noto come comandante Paraga, il leader paramilitare che il 29 maggio 1993 dette l’ordine di uccidere a sangue freddo sulla via che collega Gornji Vakuf con Travnik, la cosiddetta “strada dei diamanti”, i tre volontari italiani Sergio Lana, Fabio Moreni e Guido Puletti. Alla strage scamparono per miracolo, fuggendo disperatamente nei boschi, altri due nostri connazionali, Agostino Zanotti e Christian Penocchio. Paraga era stato condannato in primo grado all’ergastolo e la procura bresciana aveva chiesto la conferma della condanna anche in appello.
Ora il destino di Paraga è appeso a questioni procedurali e, qualora si decidesse di considerare parte della condanna i 13 anni e quattro mesi già da lui scontati in Bosnia e i due anni di carcerazione già affrontati in Italia dopo l’estradizione dalla Germania, dove il criminale di guerra era stato arrestato, l’uomo che diede l’ordine di giustiziare a sangue freddo gli innocenti volontari italiani potrebbe presto tornare un libero cittadino. Soddisfazione è stata espressa dal legale italiano di Paraga, mentre uno dei sopravvissuti all’esecuzione, Agostino Zanotti, come sempre si è sforzato di trovare il lato positivo nella condanna, seppur grandemente ridotta, esprimendo come sempre la sua fiducia nella legge. Rimangono invece a oggi ancora a piede libero i responsabili materiali dell’eccidio, uno dei quali sarebbe stato individuato ma non arrestato.