Architetto, per oltre un quarto di
secolo interprete per l’esercito italiano e per l’ambasciata italiana in
Bosnia Erzegovina, interprete giurato per i tribunali nazionali, perché
nonostante “il mio amore incondizionato per l’arte, l’architettura, la storia
e la bellezza”, dopo essere sopravvissuta a un assedio, a Sarajevo, lungo
quattro anni, ed essere rimasta da subito vedova con due bambini da crescere,
l’unica cosa da fare era cercare il primo lavoro per cui ci si sentisse capaci
e darsi da fare per guadagnarsi di che vivere. Kanita Ita Fočak non è mai
venuta a patti col diavolo e ogni pezzetto di pane, per sé e per i suoi cari,
se l’è guadagnato duramente, sempre a testa alta. Per il suo lavoro – premiato
sia in Italia che dall’Unione europea – Kanita ha girato in lungo e in largo
la Bosnia Erzegovina e non poteva di certo mancare tra i suoi tanti incarichi
quello di svolgere le mansioni di interprete nel buco nero per eccellenza.
Višegrad.
Riportiamo un piccolo estratto della testimonianza di Kanita Ita
Fočak in missione a Višegrad, raccolta dal giornalista Luca Leone nel reportage
Višegrad. L’odio,
la morte, l’oblio, reportage scritto sul campo che descrive le vicende, raccoglie le
testimonianze di tutte le parti e fa il punto sull’episodio che ha
rappresentato la prova generale di ciò che sarebbe accaduto tra il 1992 e il
1995 a Srebrenica, Prijedor, Foča e in altri luoghi passati alla storia per la
crudeltà degli eventi verificatisi.
“Coi militari
italiani sono dovuta andare anche a visitare l’hotel Vilina Vlas… –
chiude gli occhi per un istante, prende aria, fa una lunga pausa –. Sono
andata, sebbene per me, in quanto donna, sia stato molto difficile. Sono una
professionista, ma mi sono resa conto come certi ambienti non possano non
condizionarti e lasciarti addosso una brutta sensazione. Ricordo d’aver visto,
lì, veramente brutta gente…! Brutta… abbiamo dovuto parlare con loro e io ho
fatto il mio lavoro… ma deve essere chiaro che l’interprete non è avulso dalla
realtà, ascolta tutto e capisce tutto quello che chi dialoga si dice. Ho dovuto
avere una forza immensa per non reagire, per non lasciarmi andare neppure a un
semplice cenno… L’unica cosa bella che ho visto all’epoca è stata una piccola e
bella chiesa ortodossa in un bosco. Poi ricordo gli edifici ottomani con i
bagni termali, risparmiati perché permettono di avere accesso a un’acqua
speciale con proprietà radioattive. Il Vilina Vlas – dove sapevo essere
state stuprate in massa tante donne bosniache – mi ha ghiacciato il sangue
nelle vene, nonostante non vi fossero tracce visibili. Anzi, una cosa che mi ha
stupito tanto è stato trovarvi, sano e salvo, il trittico di Ibrhahim Ljubović.
Non hanno distrutto il quadro… e la cosa mi ha dato gioia”.
L’autore
presenta il libro giovedì 22 novembre, CUNEO, presso
il Caffè Fantino (Caffè letterario), corso Nizza 28, ore 17,30. Iniziativa
nell’ambito di Scrittori in città.