I nomi dei cugini Sredoje
e Milan Lukić sono tristemente noti a Višegrad, cittadina della Bosnia orientale bagnata da quella azzurra e fredda
Drina cantata da Ivo Andrić, dal momento che i due sono stati
protagonisti, nel corso dell’estate del 1992, di una serie di episodi disumani,
tra cui l’uccisione a sangue freddo di sette musulmani-bosniaci, i cui cadaveri vengono gettati nella Drina, e
della combustione di cinquantacinque persone – tra cui una neonata di tre
giorni di vita – in una cantina di Pionirska ulica, nella quale i Lukić
lanciano ordigni incendiari alimentando poi le fiamme per ore con la benzina.
L’orrore è continuato così per tutta l’estate, finché la pulizia etnica ai
danni dei musulmani-bosniaci – che costituivano il 63 per
cento della popolazione locale – viene portata a termine con operazioni di
rastrellamento, deportazioni e omicidi di massa di centinaia di civili
all’interno di case private. Circa tremila persone vengono uccise e
fatte scomparire.
Il processo contro i
cugini Lukić inizia solo il 9
luglio del 2008; un anno dopo – il 20 luglio 2009 - Sredoje e Milan Lukić sono
condannati dai giudici de L’Aja in primo grado rispettivamente a trent’anni di
carcere e all’ergastolo per i crimini commessi tra il 1992 e il 1994. I due,
definiti dai giudici “assassini brutali e insensibili”, dovevano rispondere
di omicidio, persecuzioni e altri crimini contro l’umanità ai danni di
musulmani-bosniaci e altri “non-serbi”.
La
sentenza definitiva arriva il 4 dicembre 2012. In quest’occasione il Tpi
conferma la condanna all’ergastolo per
Milan Lukić ma riduce da trenta a
ventisette anni quella del cugino Sredoje,
con il dissenso dei giudici Pocar e Liu. Il Tpi deve e vuole sbrigarsi, quindi
non prende in considerazione tutti gli episodi di violenza attribuiti ai due
carnefici. Milan viene così condannato per sei specifici episodi di uccisione,
ovvero i fatti di sangue del 7 giugno 1992 (il brutale assassinio dei
dipendenti del mobilificio Varda assassinati), rispetto ai quali viene
attribuito direttamente all’imputato l’omicidio di cinque delle sette vittime;
la morte di Hajra Korić e i trattamenti disumani inflitti alle persone recluse
nel campo di prigionia di Uzamnica; la strage di Pionirska ulica;
l’assassinio diretto delle persone rinchiuse nella casa di Pionirska ulica che
tentavano di fuggire e la strage di Bikavac.