Tra pochi giorni ricorrerà
il secondo anniversario del disastro aereo che ha spezzato le vite e i sogni
dei giocatori e tecnici della Chapecoense, in viaggio verso la Coppa
Sudamericana.
Abbiamo chiesto un ricordo a
Lucio Rizzica, che su questo tema ha scritto per noi “Proprio
come una cometa”.
Sono passati già
ventiquattro mesi dal giorno di quella tragedia che spezzò le vite e i sogni di
settantuno persone. Ventiquattro mesi di ricordi, di lacrime, di coraggio.
Ventiquattro mesi dopo il disastro aereo più assurdo, causato da una
inconcepibile leggerezza, dall’incredibile assenza del carburante necessario
per completare il volo che stava portando la squadra della Chapecoense fino in
Colombia, per disputare a Medellìn la finale della Coppa Sudamericana. Uno
schianto ha ucciso in un attimo la piccola grande leggenda che il club di
Chapecò era riuscita a costruire, arrivando finalmente a giocare un torneo
internazionale, a lottare per un risultato importante, dopo una storia lunga
appena 44 anni e vissuta tra promozioni e fallimenti, tra esaltazioni e cadute
dalle quali la società era sempre risorta, alzando ogni volta un pò di più
l’asticella, approdando finalmente nel calcio che conta, nel massimo campionato
brasiliano. Con la insolente sfacciataggine di chi sente che sta contribuendo
alla costruzione di una storia ai confini del mito.
“...quel
che fa male, quando si pensa alla Chapecoense, è dover realizzare che tutto
questo sia finito. Che il contabile divino abbia deciso di tirare una linea sul
registro del dare e dell’avere e che alla fine il prezzo per tanta spavalda
incoscienza sia stato pagato al destino nella maniera più orribile e
sproporzionata, assurda. È vero, la vita continua e la Chapecoense è risorta.
Ma ‘quella’ Chape non c’è più e si è portata dietro i propri segreti e il
dubbio che mai avrà risposta di cosa avrebbe mai potuto combinare ancora in
futuro...”
Quando, dopo un anno e
cinque mesi di lavoro coordinato fra le autorità di cinque Paesi (Colombia,
Bolivia, Brasile, Usa e Inghilterra), sono arrivate tutte le risposte da parte
dell’Aeronautica Civile Colombiana, la rabbia e l’amarezza hanno determinato nella
città di Chapecò un palpabile senso di confusione. L’aereo della LaMia – che
trasportava la squadra e lo staff tecnico e quello amministrativo della
società, giornalisti, ospiti e membri dell’equipaggio – aveva imbarcato a bordo
9.300 kg di combustibile. Ne sarebbero serviti invece 11.603: per 40 minuti il
velivolo ha vissuto la sua lenta agonia in stato di emergenza, fino a quando è
precipitato cancellando allegria e speranze. Risparmiando sei vite appena,
appesantite da quel momento in avanti da quella terribile esperienza che
dolorosamente va facendosi giorno dopo giorno memoria. In ogni angolo della
città qualcosa ricorda la storia di quella Chapecoense, quel dramma dal quale
la Chape è ancora una volta risorta, questa volta con faticosa sofferenza, ricostituendo
la società e la squadra, tornando in campo davanti alla torcida dell’Arena
Condà che l’ultima volta si era stretta in un immenso abbraccio al grido
disperato e strozzato in gola di ‘vamos vamos Chape’ col quale ventimila
persone avevano detto addio ai propri beniamini.
La tragedia della
Chapecoense, avvenuta il 28 novembre 2016, commosse il mondo intero, spingendo
chiunque a contribuire a suo modo all’ennesima rinascita, la più difficile, del
club dell’Indio Condà. Una resurrezione fortemente voluta, che ha permesso alla
società di presentarsi ancora una volta in campo con una squadra e uno staff
totalmente nuovi a quasi due mesi dalla tragedia, il 21 gennaio 2017. Una
amichevole con il Palmeiras fu il primo vagito della nuova Chape appena nata da
un incubo. Fu un giorno strano, intriso di emozioni e di sofferenza. Venne
consegnata ai familiari della vittime del disastro una medaglia commemorativa
della vittoria della Coppa Sudamericana, ottenuta per rinuncia dell’Atletico
Medellìn in onore della squadra svanita in un boato. Impossibile non piangere,
impossibile non provare un brivido quando alla radio i tifosi tornarono a udire
la voce del giornalista Rafael Henzel, uno dei sei miracolati scampati al
disastro e quando in campo si ripresentò con gli occhi gonfi di pianto Alan
Ruschel, un altro superstite di quel volo maledetto.
È stato difficile per la
dirigenza della Chapecoense vivere i primi due anni dal disastro aereo cercando
di mantenere un giusto equilibrio fra tanti eventi commemorativi in giro per il
mondo e il sobrio senso del lutto collettivo. Ma era troppo urgente tornare a
giocare, tornare a far gol, tornare a far sognare la torcida. Sarebbe stato
quello il modo migliore di onorare chi era scomparso mentre andava alla
conquista di gloria e prestigio per tutta una comunità. La Chape in questi
primi due anni dalla tragedia ha dapprima ottenuto una salvezza e poi
conquistato l’ottavo posto nel campionato successivo. Il miglior risultato di
sempre. L’ennesima dimostrazione che, come l’Araba Fenice, il team verde e
bianco sa sempre come rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte, forte del
potere della resilienza e di una forza d’animo incredibile.
La Chapecoense oggi è una
realtà del calcio brasiliano, rinata nel ricordo di quegli atleti scomparsi i
cui volti ancora campeggiano sulle pareti degli spogliatoi dell’Arena Condà,
uomini che hanno squarciato il cielo immobile del calcio sudamericano
descrivendo una parabola indimenticabile destinata a dar vita a una leggenda,
una leggenda oramai patrimonio del mondo...
“...la Chape, la nostra
Chape… e come in quel cielo buio ha tracciato improvvisa una linea di luce, una
traiettoria diversa… È stato qualcosa di totalmente nuovo rispetto a quel cielo
così perfetto e immutabile…”
La
Chapecoense di quanti hanno gioito e pianto seguendo quella traiettoria così
luminosa, così rapida, così lesta a svanire, “Proprio come una cometa”.