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lunedì 26 novembre 2018

28 ottobre 2016, l’ultimo volo della Chapecoense


Tra pochi giorni ricorrerà il secondo anniversario del disastro aereo che ha spezzato le vite e i sogni dei giocatori e tecnici della Chapecoense, in viaggio verso la Coppa Sudamericana.
Abbiamo chiesto un ricordo a Lucio Rizzica, che su questo tema ha scritto per noi “Proprio come una cometa”.

Sono passati già ventiquattro mesi dal giorno di quella tragedia che spezzò le vite e i sogni di settantuno persone. Ventiquattro mesi di ricordi, di lacrime, di coraggio. Ventiquattro mesi dopo il disastro aereo più assurdo, causato da una inconcepibile leggerezza, dall’incredibile assenza del carburante necessario per completare il volo che stava portando la squadra della Chapecoense fino in Colombia, per disputare a Medellìn la finale della Coppa Sudamericana. Uno schianto ha ucciso in un attimo la piccola grande leggenda che il club di Chapecò era riuscita a costruire, arrivando finalmente a giocare un torneo internazionale, a lottare per un risultato importante, dopo una storia lunga appena 44 anni e vissuta tra promozioni e fallimenti, tra esaltazioni e cadute dalle quali la società era sempre risorta, alzando ogni volta un pò di più l’asticella, approdando finalmente nel calcio che conta, nel massimo campionato brasiliano. Con la insolente sfacciataggine di chi sente che sta contribuendo alla costruzione di una storia ai confini del mito.

“...quel che fa male, quando si pensa alla Chapecoense, è dover realizzare che tutto questo sia finito. Che il contabile divino abbia deciso di tirare una linea sul registro del dare e dell’avere e che alla fine il prezzo per tanta spavalda incoscienza sia stato pagato al destino nella maniera più orribile e sproporzionata, assurda. È vero, la vita continua e la Chapecoense è risorta. Ma ‘quella’ Chape non c’è più e si è portata dietro i propri segreti e il dubbio che mai avrà risposta di cosa avrebbe mai potuto combinare ancora in futuro...”

Quando, dopo un anno e cinque mesi di lavoro coordinato fra le autorità di cinque Paesi (Colombia, Bolivia, Brasile, Usa e Inghilterra), sono arrivate tutte le risposte da parte dell’Aeronautica Civile Colombiana, la rabbia e l’amarezza hanno determinato nella città di Chapecò un palpabile senso di confusione. L’aereo della LaMia – che trasportava la squadra e lo staff tecnico e quello amministrativo della società, giornalisti, ospiti e membri dell’equipaggio – aveva imbarcato a bordo 9.300 kg di combustibile. Ne sarebbero serviti invece 11.603: per 40 minuti il velivolo ha vissuto la sua lenta agonia in stato di emergenza, fino a quando è precipitato cancellando allegria e speranze. Risparmiando sei vite appena, appesantite da quel momento in avanti da quella terribile esperienza che dolorosamente va facendosi giorno dopo giorno memoria. In ogni angolo della città qualcosa ricorda la storia di quella Chapecoense, quel dramma dal quale la Chape è ancora una volta risorta, questa volta con faticosa sofferenza, ricostituendo la società e la squadra, tornando in campo davanti alla torcida dell’Arena Condà che l’ultima volta si era stretta in un immenso abbraccio al grido disperato e strozzato in gola di ‘vamos vamos Chape’ col quale ventimila persone avevano detto addio ai propri beniamini.

La tragedia della Chapecoense, avvenuta il 28 novembre 2016, commosse il mondo intero, spingendo chiunque a contribuire a suo modo all’ennesima rinascita, la più difficile, del club dell’Indio Condà. Una resurrezione fortemente voluta, che ha permesso alla società di presentarsi ancora una volta in campo con una squadra e uno staff totalmente nuovi a quasi due mesi dalla tragedia, il 21 gennaio 2017. Una amichevole con il Palmeiras fu il primo vagito della nuova Chape appena nata da un incubo. Fu un giorno strano, intriso di emozioni e di sofferenza. Venne consegnata ai familiari della vittime del disastro una medaglia commemorativa della vittoria della Coppa Sudamericana, ottenuta per rinuncia dell’Atletico Medellìn in onore della squadra svanita in un boato. Impossibile non piangere, impossibile non provare un brivido quando alla radio i tifosi tornarono a udire la voce del giornalista Rafael Henzel, uno dei sei miracolati scampati al disastro e quando in campo si ripresentò con gli occhi gonfi di pianto Alan Ruschel, un altro superstite di quel volo maledetto.

È stato difficile per la dirigenza della Chapecoense vivere i primi due anni dal disastro aereo cercando di mantenere un giusto equilibrio fra tanti eventi commemorativi in giro per il mondo e il sobrio senso del lutto collettivo. Ma era troppo urgente tornare a giocare, tornare a far gol, tornare a far sognare la torcida. Sarebbe stato quello il modo migliore di onorare chi era scomparso mentre andava alla conquista di gloria e prestigio per tutta una comunità. La Chape in questi primi due anni dalla tragedia ha dapprima ottenuto una salvezza e poi conquistato l’ottavo posto nel campionato successivo. Il miglior risultato di sempre. L’ennesima dimostrazione che, come l’Araba Fenice, il team verde e bianco sa sempre come rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte, forte del potere della resilienza e di una forza d’animo incredibile.

La Chapecoense oggi è una realtà del calcio brasiliano, rinata nel ricordo di quegli atleti scomparsi i cui volti ancora campeggiano sulle pareti degli spogliatoi dell’Arena Condà, uomini che hanno squarciato il cielo immobile del calcio sudamericano descrivendo una parabola indimenticabile destinata a dar vita a una leggenda, una leggenda oramai patrimonio del mondo...

“...la Chape, la nostra Chape… e come in quel cielo buio ha tracciato improvvisa una linea di luce, una traiettoria diversa… È stato qualcosa di totalmente nuovo rispetto a quel cielo così perfetto e immutabile…”

La Chapecoense di quanti hanno gioito e pianto seguendo quella traiettoria così luminosa, così rapida, così lesta a svanire, “Proprio come una cometa”.