Oggi,
ancora grazie a Srebrenica.
La giustizia negata, rivediamo la Potočari di un tempo.
Oggi chi visita Potočari si reca in un luogo
quasi perfetto nella sua solennità intrisa di dolore. Un luogo che invoca
silenzio, pietà e comprensione. Un cimitero quasi museale, con migliaia di
stele perfettamente ordinate e solenni a disegnare un piccolo bosco di bonsai
bianchi immobili anche quando soffia il peggior vento. A quel tempo non
c’erano stele di marmo bianco. C’erano solo tavole di legno verde e fango.
L’erba era poca e si camminava su una terra argillosa e appiccicosa che
sembrava non volesse lasciarti andare via. Su due o tre tombe qualcuno aveva
portato dei fiori di plastica. Su uno sparuto numero di altre c’era qualche
fiore piantato, piuttosto provato, talvolta una piantina striminzita. I
musulmani in circolazione erano pochissimi. Giravano molte persone armate e di
notte era raccomandabile non farsi vedere. Ancora oggi è meglio cambiare
strada, se hai la sfortuna d’incontrare qualcuno di quelli che ha torturato,
stuprato e ammazzato, rigorosamente a piede libero. C’era un solo bar aperto e
un microscopico negozio di alimentari. Tutto era buchi di mitragliatrice e di
mortaio. Tutto era morte, abbandono, lutto.