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giovedì 29 novembre 2018

Piùlibri piùliberi -7: La rivoluzione non è un pranzo di gala: “Iran 1979”, incontro a Roma 8/12


La rivoluzione iraniana del 1979, con il suo prezzo altissimo di sangue e di verità, con le lacerazioni insanabili e con le ferite solo in parte ricomposte, è ormai una parte fondamentale, imprescindibile della storia e dell’identità del Paese. La rivoluzione ha toccato la vita di milioni di iraniani: ha diviso e lacerato famiglie, distrutto vite e carriere, dato speranze illusorie e liberato energie insospettabili, affossato e realizzato sogni, segnando profondamente l’esistenza sia di chi quegli eventi storici li ha vissuti sia di chi è nato dopo e ne ha toccato con mano e ne subisce tuttora le conseguenze. Di tutto questo ci racconta Antonello Sacchetti in Iran 1979. La Rivoluzione, la Repubblica islamica, la guerra con l’Iraq.

Vi invitiamo a seguire l’incontro che abbiamo organizzato per il prossimo sabato 8 dicembre a Roma, nell’ambito di Più libri più liberi (Roma Convention Center La Nuvola, viale Asia 40 (zona Eur), con Antonello Sacchetti, Luca Giansanti e Farian Sabahi (ore 13,00 – sala Vega).

Torniamo a quei giorni di quaranta anni fa grazie al ricordo di una testimone diretta.


Il 5 dicembre 1978 partimmo per Teheran con due sole valigie e la bambina di sette mesi. I miei genitori erano morti di paura ma io non volli sentire ragioni. Arrivammo a Teheran alle undici della sera. Si era appena consumata una carneficina, c’erano i carri armati nelle strade
e fummo costretti a rimanere in aeroporto fino alle sette del mattino.
Fu quello il nostro primo impatto con la rivoluzione. I giorni seguenti imparammo a vivere col coprifuoco: non si poteva uscire dopo le due del pomeriggio. Le persone allora salivano sui tetti delle case e urlavano slogan come: “Morte allo scià, servo degli Usa”. Anche i bambini li gridavano mentre giocavano a campana, fino a notte fonda. Un giorno venimmo a sapere che avevano occupato la sede della tv e poi le caserme. Da qui molti giovani prelevarono le armi e sparavano senza saper sparare, i proiettili rimbalzavano, era molto pericoloso e infatti tanti giovani morirono cosi.
In casa dormivamo in terra, perché usavamo i letti per parare le finestre (le persiane, infatti, in Persia non esistono). Al piano di sotto era entrato un proiettile di rimbalzo e ci eravamo spaventati. Ricordo anche lo smog pazzesco, i riscaldamenti a nafta che producevano un odore pungente nelle case e le nuvole nere sopra Teheran. Ero trattata molto bene in famiglia anche se vivevamo quei momenti con molta fatica per il razionamento del pane e della nafta. Non si trovavano più pannolini, quindi dovevo lavare quelli di stoffa, e mancava l’acqua calda. Persino la carta era difficile da trovare. Di quelle settimane ricordo le grandi manifestazioni, con gli
elicotteri della polizia che sparavano sulla folla. Io indossavo il chador, pur non essendo musulmana, perché era un simbolo di protesta contro lo scià. Tantissime donne lo indossavano, ricordo queste onde umane nelle strade».