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venerdì 23 ottobre 2015

Parliamo di #Bosnia con il libro di Marco Travaglini

Infinito edizioni – nuovo in libreria


Di Marco Travaglini
Prefazione di Gianni Oliva - introduzione di Donatella Sasso

Due decenni fa finiva la guerra in Bosnia, lasciando cumuli di macerie e tanti, troppi morti. Questo ottimo reportage racconta la pace che ha fatto seguito a quella tragedia. Una pace imperfetta, fatta di prevaricazione e di giustizia negata, di dolore e di speranze strappate via dal disastro di una quotidianità spesso fatta di umiliazioni e privazioni. Ma narra anche la vicenda di tante persone e la storia di un innamoramento, quello dell’autore per la Bosnia, e di un profondo desiderio di capire non solo le ragioni del conflitto, ma anche la forza enorme che permette al popolo bosniaco di non scomparire sotto i colpi del destino.
“Marco Travaglini ha scritto un taccuino di viaggio pieno di partecipazione emotiva, attento a cogliere i luoghi, i personaggi, le storie individuali e collettive; ma ha anche scritto un libro pieno di spunti per riflettere sul presente, per comprendere che ogni crisi ha le sue specificità e, insieme, i suoi denominatori comuni. Un bel modo per fare ‘storia del passato’ facendo contemporaneamente ‘educazione al presente’”. (Gianni Oliva)

Questo libro costituisce “una narrazione unitaria in grado di raccordare il tempo di guerra con il presente, gettando semi di speranza e rinsaldando frammenti di memoria”. (Donatella Sasso)

lunedì 12 ottobre 2015

Quando i #migranti eravamo noi. Enzo Barnabà domani a Grasse, in Francia

Appuntamento in Provenza domani pomeriggio con Enzo Barnabà che a Grasse presenterà il libro AIGUES-MORTES, IL MASSACRO DEGLI ITALIANI, un libro molto importante per raccontare un episodio della storia italiana e francese, quando gli emigranti eravamo noi.
Vi aspettiamo alle 18,30 al Palazzo dei Congressi.

sabato 10 ottobre 2015

10 ottobre: Giornata mondiale contro la #penadimorte e di sensibilizzazione per la #salutementale

Il 10 ottobre è una data importante nell’elenco delle ricorrenze da celebrare, infatti in questo giorno cadono due eventi significativi.
Il primo è la Giornata Mondiale contro la pena di morte, che ha iniziato a essere celebrata nel 2003. L'evento venne promosso dalla Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte, che riunisce organizzazioni non governative internazionali, ordini degli avvocati, sindacati e governi locali di tutto il mondo.
Nel nostro Paese l’abolizione della pena di morte era stata prevista già nel 1889 durante il Regno d’Italia, ma la pena capitale fu poi reintrodotta sotto il regime fascista. L’ultima esecuzione avvenne nel 1947, e la pena di morte fu abolita dalla Costituzione nel 1948 e, soltanto nel 1994, anche dal codice militare. Il nostro Paese, comunque, non è il fanalino di coda in Europa: la Città del Vaticano la rimuove dalla Legge fondamentale soltanto nel 2001, mentre la Francia la abolisce nel 1981, ma la esclude esplicitamente dalla Costituzione nei primi mesi del 2007. Il motivo di tale intervento ha lo scopo di rendere più difficile un suo eventuale reinserimento nel codice penale: infatti il leader di estrema destra Jean Marie Le Pen aveva proposto di reintegrarla sia nel 1994, a seguito di gravi fatti di sangue e nel 2004 per gli atti terroristici.

Attualmente la pena capitale è ancora applicata in 68 Paesi al mondo: ci sono diverse associazioni che lottano contro l’abolizione totale, tra le prime Amnesty International, che ha patrocinato il lavoro (libro+dvd) di e con Marco Cortesi dal titolo L’Esecutore.

Il 10 ottobre si ricorda anche la Giornata mondiale per la salute mentale, appuntamento istituzionale globale attraverso il quale l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) intende sensibilizzare sui diritti, le cure, l’integrazione delle persone con disagi psichici.
Tema portante dell’edizione 2015 della giornata è Dignità di salute mentale: vivere con dignità, inclusione, lotta all’emarginazione, alla discriminazione.
Nel mondo attualmente migliaia di persone con problemi legati alla propria salute mentale vivono in condizioni di privazione, di stigmatizzazione e sono soggette ad abusi fisici ed emotivi. È su questi allarmi che si concentra quindi l’Oms invitando istituzioni e società a impegnarsi nel diritto e in politiche attive e che comportino rispetto e inclusione.

Su questo argomento segnaliamo la lettura dell’attualissimo libro di Angelo Lallo dal titolo Mala Dies. L'inferno degli ospedali psichiatrici giudiziari e delle istituzioni totali in Italia

venerdì 9 ottobre 2015

#DeutscheBank, allarme annunciato?

La notizia è di strettissima attualità. Il colosso bancario tedesco Deutsche Bank ha annunciato perdite nel terzo trimestre di quest’anno per 6,2 miliardi di euro con tanto di profit warning – l’allarme utili, l’avvertimento che le società lanciano agli investitori quando prevedono una futura diminuzione dei profitti – e probabile azzeramento del dividendo 2015. Tra le cause circa 6 miliardi di oneri  straordinari per adeguare i requisiti patrimoniali, svalutazioni della unità di investment banking e di alcune attività destinate alla dismissione, tra cui la banca retail Postbank. Da non dimenticare 1,2 miliardi di euro accantonati per fare fronte ai vari contenziosi in cui la banca risulta coinvolta, tra cui la manipolazione del tasso libor e del prezzo di alcuni metalli  preziosi.
Qualcuno inizia a fare sinistri paragoni con Lehman Brothers, qualcuno cerca di rassicurare, come l’agenzia di rating Moody’s che ha  promosso le banche tedesche con un report giudicando molto positiva l'introduzione delle norme sulla risoluzione bancaria.

Di certo prosegue il momento non positivo per l’economia tedesca, dopo i dati che confermano un rallentamento della produzione industriale e il caso Volkswagen che rischia di avere pesanti ripercussioni sull’intero mercato dell’auto.

Dubbi sulla solidità dell’istituto tedesco erano stati sollevati dagli autori del libro “Così banche e Finanza ci rovinano la vita” che segnalavano:

“Qualche dubbio emerge sui criteri adottati dall’Unione Europea per vigilare sul livello di solidità degli istituti bancari. Sembra infatti che l’attività di trading finanziario sia considerata meno rischiosa rispetto alla concessione di credito. Per questo motivo risultano essere più solidi istituti che all’interno dei propri bilanci detengono più strumenti finanziari  che crediti.
     Un esempio è quello di Deutsche Bank, che ha superato a pieni voti gli Stress Test di ottobre 2014. La banca tedesca detiene attività per 1.580 miliardi di euro e ha  un capitale proprio di 47 (meno del 3%), quindi dovrebbe essere considerata ad alto rischio.
     Il meccanismo di calcolo stabilisce invece che circa 1.200 miliardi di asset (tra cui derivati potenzialmente ad alto rischio) non costituiscono un pericolo, quindi possono essere sottratti dalle attività. In questo modo il rapporto tra attivo residuo (380 miliardi di euro) e capitale risulta ottimale (oltre il 12%).
     In una fase di mercato azionario in salita, istituti come Deutsche Bank, più propensi alla speculazione finanziaria che alla concessione del credito, vengono considerati sicuri. Se però il mercato dovesse avere una brusca inversione di tendenza, gli stessi  potrebbero costituire una seria minaccia, come già avvenuto in passato”.


La storia spesso si ripete e gli uomini non imparano dagli errori del passato. Ci auguriamo che si possa invertire la rotta, prima o poi.

Mondadori-Rcs, l'analisi di Odei

L'avvenuto acquisto della Rcs libri da parte del gruppo Mondadori è l’ultimo preoccupante segnale di quello che sta avvenendo all’interno del mercato editoriale italiano. Un soggetto (caso unico in Europa) capace di controllare poco meno del 40% del settore e che non ha di fronte in Italia alcun concorrente di pari dimensione, potrebbe di fatto orientare l’intero mercato. Con la nuova concentrazione vengono infatti drasticamente ridotte le possibilità di scelta degli autori e di conseguenza la loro forza contrattuale, nonché viene anche meno la possibilità di varietà di scelta dei lettori, valori insostituibili per una società libera e democratica. Ancora più allarmante potrà essere lo strapotere del nuovo soggetto nei confronti delle librerie, e in particolare delle librerie indipendenti, condannate di fatto ad accettare le scelte distributive del Megagruppo o, in alternativa, a essere condannate alla marginalità e probabilmente alla chiusura. L’entrata in scena di un attore che sovrasterà tutti gli altri non può, in definitiva, che tradursi in una riduzione della concorrenza, del mercato, del pluralismo editoriale e culturale.
Per tutto questo l’Odei, l’Osservatorio degli editori indipendenti, ritiene indispensabile una nuova legge sul libro che tuteli il pluralismo editoriale e incentivi in modo concreto la promozione della lettura. Denuncia le condizioni sempre più difficili in cui lavorano e operano piccoli e medi editori indipendenti, che svolgono tuttora un prezioso lavoro di ricerca ma le cui condizioni di sopravvivenza si fanno via via più difficili. E insieme ricorda il gravissimo calo degli indici di lettura in Italia. Invita il ministero della Cultura e l’Autorità per la Concorrenza a vigilare sugli effetti che la nuova concentrazione potrà produrre e a lavorare per garantire anche nel settore librario le possibilità di una effettiva concorrenza.

Odei (Osservatorio degli editori indipendenti)
info@odei.it

www.odei.it

venerdì 2 ottobre 2015

#alimentazione e #salute domani Giuseppe Coco a Fa' la cosa giusta

Una miscela di spezie, che renda profumati e saporiti i nostri piatti e ci aiuti a vivere meglio. Questo ci insegna domani Giuseppe Coco, autore di VEGAN LIBERI TUTTI, partecipando allo Show cooking di Fa' la cosa giusta. Vi aspettiamo a Bastia Umbria (Pg), area UmbriaFiere, alle 16,30!

giovedì 1 ottobre 2015

#quattrogiornate di #Napoli, un tuffo nella #storia

Le Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943) furono un episodio storico di insurrezione popolare avvenuto nel corso della seconda guerra mondiale tramite il quale, i civili, con l'apporto di militari fedeli al cosiddetto Regno del Sud, riuscirono a liberare la città partenopea dall'occupazione delle forze armate tedesche.
L'avvenimento, che valse alla città di Napoli il conferimento della medaglia d'oro al valor militare, consentì alle forze Alleate di trovare al loro arrivo, il 1º ottobre 1943, una città già libera dall'occupazione nazista, grazie al coraggio e all'eroismo dei suoi abitanti ormai esasperati ed allo stremo per i lunghi anni di guerra. Napoli fu la prima, tra le grandi città europee, ad insorgere con successo contro l'occupazione nazista.

Ripercorriamo insieme a Camillo Albanese, autore del libro dal titolo “Napoli e la seconda guerra mondiale” quei giorni tanto drammatici ed eroici.
Torniamo a Napoli. Il 20 settembre, all’altezza di Capri, si videro delle navi che sembravano far rotta verso Napoli; si ritenne che lo sbarco delle truppe anglo-americane fosse ormai imminente. Il comando germanico, in previsione dei combattimenti che si sarebbero avuti in seguito allo sbarco e per impedire che i napoletani potessero affiancare le truppe anglo-americane, ordinò l’evacuazione di tutta la fascia costiera da Punta della Campanella fin quasi a Sorrento. Immaginate a quanti altri disagi fu sottoposta la popolazione della zona costiera. Fiumane di persone furono fatte sloggiare dalle proprie abitazione e costrette a rifugiarsi nel retroterra senza sapere dove poter trascorrere la notte, dove e quando poter mangiare e bere; tutto questo accadeva mentre il colonnello Scholl, avendo constatato che il bando del 22 settembre (con il quale aveva ordinato il reclutamento di tutti i giovani) era stato disatteso, emanava un ultimatum tre giorni dopo. (…)
Nei giorni che seguirono si videro scene drammatiche, interi caseggiati circondati, uomini strappati dalle loro case, ammassati per strada sotto la minaccia dei mitra che ogni tanto facevano sentire la loro sinistra voce per aumentare il terrore e dissuadere i parenti ad avvicinarsi. L’intensificarsi dei rastrellamenti portò in quei giorni a razziare circa ottomila persone, buona parte delle quali furono mandate nel campo di concentramento di Capodimonte, altre consegnate agli uffici di polizia italiani perché venissero accompagnati ai centri di raccolta. Molti commissariati, invece di eseguire l’ordine, lasciarono liberi i malcapitati fornendo loro anche armi. (…)
All’alba del 28 la rivolta scoppiò quasi contemporaneamente in vari punti della città; la cosa sorprendente fu che non era stata organizzata, non c’era un piano strategico generale, una mente coordinatrice. Ciascun gruppo agiva all’interno del proprio quartiere e non era in contatto con altre formazioni. Ciò se da un lato poteva rappresentare un limite, dall’altro permetteva ai partigiani di muoversi con sicurezza tra le strade e le stradine della loro zona, di cui conoscevano i rifugi, i vicoli senza sbocco, i fondachi, i portichetti, quindi erano avvantaggiati rispetto al nemico.
Data questa situazione, si procedeva a compartimenti stagni ma non furono rari i casi in cui ci furono sconfinamenti nelle aree limitrofe quando ci si accorgeva che occorreva rinforzare le postazioni.
Da quanto è dato sapere, la scintilla scoppiò in un vicolo del quartiere Avvocata. Qui una pattuglia tedesca sfondò il portone di un calzaturificio per forniture militari e si dette a saccheggiarlo. Gli abitanti della zona, inferociti, cominciarono a sparare sui militari, che risposero al fuoco. A quel punto non si capì più nulla: si sparava da tutte le parti, dai portoni, dalle finestre, dai balconi, dagli angoli delle strade. Una giovane donna, Maddalena Cerasuolo, detta Lenuccia, fu l’eroina di quello scontro (fu poi insignita della medaglia di bronzo). La ragazza, senza preoccuparsi dei proiettili che le sibilavano intorno, correva avanti e indietro per rifornire di bombe a mano i combattenti.
Nella stessa ora l’insurrezione scoppiò nei quartieri più popolari di Napoli: il Vasto, la Sanità, la zona della Stazione e di seguito, a poca distanza di tempo, in piazza Cavour, via Duomo, corso Umberto, piazza Plebiscito, all’incrocio del Museo, là dove convergono quattro strade: via Salvator Rosa, vie Enrico Pessina, via Museo, via Santa Teresa. (…)
“Fu – secondo la testimonianza di Antonino Tarsia in Curia – una guerriglia accanita e spietata condotta con estrema violenza nella quale gruppi, gruppetti e persino individui isolati sostennero azioni cruente – determinate da contingenze di luogo e di tempo – le quali ebbero una continuità nel loro svolgimento dovuta, più di ogni altro, al frazionamento delle forze tedesche su tutto il territorio della città di Napoli”.
La sera del 28, Napoli si presentava come un campo battaglia. Il popolo, guidato soprattutto dall’odio verso i nazisti prodotto dalla sofferenza per le iniquità subite, ora li costringeva a ritirarsi. I successi degli scontri, nonostante i tanti morti e feriti, esaltarono ancor più gli animi, caricando di maggior foga le azioni guerresche. Si continuava a combattere in via Santa Teresa, dove all’altezza di Materdei furono erette barricate sia disselciando la strada sia rovesciando una vettura tranviaria; qui gli scontri durarono tutta la notte tra il 28 e il 29. Anche via Salvator Rosa fu sbarrata da imponenti barricate, che impedirono il transito ai carri armati nemici.


La mattina del 29 settembre la rivolta armata scoppiò in tutto il Vomero e nelle zone adiacenti e fu condotta con coraggio e determinazione. C’erano tedeschi asserragliati negli edifici di via Kerbaker, via Solimena, via Cimarosa, piazza Medaglie d’oro e nella palazzina del campo sportivo e si difendevano come potevano dagli assalti dei partigiani, mentre in piazza Vanvitelli, via Alvino, la Pigna, piazza Leonardo, Cappella dei Cangiani gli scontri avvennero in campo aperto.
Era l’alba e in via Kerbaker c’era un gruppo di nazifascisti che sparava da una finestra del quarto piano. I partigiani risposero al fuoco, erano allo scoperto, due furono gravemente feriti, se ne salvò solo uno. Quando fecero irruzione nell’appartamento, i nemici erano fuggiti per i tetti, lasciandosi dietro macchie di sangue e una vecchia in preda al terrore.
In via Solimena furono messi in fuga alcuni tedeschi che, con una mitragliatrice messa su un davanzale di un abbaino, sparavano all’impazzata. L’operazione costò la vita a un partigiano.
Due giovani militi fascisti che montavano la guardia alla sede del fascio, in via Cimarosa, furono disarmati e massacrati di botte.
Una postazione, annidata nel palazzo detto il Transatlantico, in piazza Medaglie d’oro, fu messa a tacere con un’abile azione.
Un intenso combattimento si svolse intorno al campo sportivo durante tutto il 29. Circa sessanta tedeschi, comandati dal maggiore Sakau, erano rinchiusi nelle due palazzine all’ingresso del campo; avevano 47 ostaggi e sparavano senza sosta contro i partigiani, che avevano preso posizione nei fabbricati di fronte. In rinforzo ai partigiani arrivò una camionetta guidata dal vigile del fuoco Mario Canessa, con a bordo una mitragliatrice. Il vicebrigadiere dei carabinieri Vincenzo Pace saltò sulla camionetta, mise in posizione l’arma e concentrò il fuoco verso il nemico. Pace, dopo poco, venne ferito e il suo posto fu subito preso da un altro. I combattimenti continuavano. Erano le 18,00 quando dall’ingresso del campo apparve il maggiore Sakau preceduto da una bandiera bianca e circondato da altri militari. I partigiani s’avvicinarono, uno di loro conosceva il tedesco. Il maggiore chiese di cessare il fuoco e di lasciar passare i suoi uomini, minacciando l’uccisione degli ostaggi. La controproposta dei partigiani fu: “O la resa o continuare a combattere”. Sakau scelse la seconda soluzione. La sparatoria continuò ancora per un’ora ma poi riapparve dal cancello del campo a bordo di una camionetta con bandiera bianca portata da un suo subalterno. Si riaprirono le trattative; il maggiore disse che per arrendersi occorreva l’ordine del comandante Scholl che risiedeva all’albergo Parco in corso Vittorio Emanuele, eletto a quartiere generale. Mentre si stava decidendo il da farsi, l’autista, pare preso dal panico alla vista di alcuni uomini armati fece esplodere una bomba a mano che mise fuori uso l’automezzo. Con un’altra macchina la delegazione tedesca, disarmata, venne portata in corso Vittorio. All’albergo Parco regnava il caos più totale, fervevano i preparativi per la fuga. In breve fu raggiunto l’accordo: i 47 ostaggi sarebbero stati liberati e i tedeschi sarebbero stati lasciati liberi di partire. Intorno alla mezzanotte rientrò al campo sportivo la delegazione, l’accordo fu mantenuto da tutte e due le parti e i tedeschi partirono su tre autocarri. Nella battaglia del campo sportivo persero la vita sette civili.
Piazza Vanvitelli divenne l’epicentro dei combattimenti. Quadrivio strategico per i belligeranti, lì si concentrarono i partigiani provenienti dalle strade circostanti. All’angolo di via Luca Giordano una mitragliatrice tedesca sputava fuoco a ripetizione, fermando l’assalto dei partigiani; uno di essi, uscito allo scoperto, si lanciò contro ma una raffica lo ferì mortalmente. Gli scontri continuavano. Dopo circa due ore di combattimenti, verso le 17,30 un fortissimo temporale sembrò placare gli animi: cessarono gli spari ma, finito il temporale, i tedeschi ripresero a scorrazzare nella zona e due autoblindo sparavano su ogni cosa si muovesse. I due mezzi furono fermati da bombe a mano lanciate dalle finestre.
Durante la notte i tedeschi a piedi o motorizzati gridavano: “Italiani non sparate”. Un grido esplicativo del loro stato d’animo.
Sempre il 29, intorno alle nove del mattino, i partigiani intercettarono una camionetta tedesca che rimorchiava un’automobile. Ordinarono l’alt ma la camionetta proseguì accelerando. Fu inseguita con un’altra vettura e, raggiunta, cominciò la sparatoria; i tedeschi rimasero feriti e furono fatti prigionieri.
In via delle Pigne i partigiani furono alle prese con delle mine, che se scoppiate avrebbero gravemente danneggiato i palazzi del circondario. Riuscirono a toglierle sotto il fuoco nemico e a buttarle in un pozzo adiacente. La sera, poi, vedendo passare un’autocolonna nemica, si predisposero per impedirne il transito. Forti di una mitragliatrice e con l’appoggio di altri gruppi di partigiani armati di mitra e bombe a mano, la partita si chiuse a vantaggio dei napoletani.
Il 29, a mattina inoltrata, gli scontri si fecero aspri in piazza Leonardo. I partigiani per impedire ai tedeschi, provenienti da piazza Medaglie d’oro, di raggiungere via Salvator Rosa, fortificarono la zona e appena videro passare il primo autocarro, armato di mitragliatrice, aprirono il fuoco costringendo gli occupanti a darsi alla fuga. Stessa sorte toccò a un altro automezzo che fu abbandonato, come il primo, nelle mani dei partigiani.
A Cappela dei Cangiani i tedeschi, per garantirsi il transito senza pericolo, dettero luogo a una perquisizione dei fabbricati e presero dodici ostaggi. Li trascinarono per strada e stavano per fucilarli quando un commando di partigiani intervenne a liberarli.
La sera del 29 settembre, mentre i partigiani del Vomero attendevano la delegazione tedesca con l’autorizzazione del colonnello Scholl a trattare la resa, si riunirono nei locali del liceo Sannazzaro per la formale costituzione di un comando dei partigiani. Per acclamazione fu nominato capo del comando Antonino Tarsia in Curia e alla formazione, priva di colore politico e avente solo scopo patriottico, fu dato il nome di Fronte unico rivoluzionario, con sede nel liceo. Si procedette a dare un minimo di organizzazione alla neonata compagine e a risolvere i problemi più urgenti. Tra questi, quello di fornire viveri ai partigiani, digiuni dal mattino. Fu composta una squadra per il reperimento di qualunque cosa fosse commestibile. Con le buone e con la forza si riuscì a racimolare razioni sufficienti per sfamare circa duecento persone.
Un altro reparto di partigiani fu incaricato di dare la caccia alle spie e ai gerarchi fascisti annidati nei vari appartamenti. Compito che fu assolto secondo le precise direttive di Tarsia.
Spuntava l’alba del 30 settembre, l’epopea delle Quattro Giornate stava per concludersi. Nel liceo Sannazzaro si decise di emanare un’ordinanza per dissuadere i male intenzionati ad azioni non in linea con i programmi del Fronte. Il proclama, a firma Tarsia, così recitava:

“Assumo temporaneamente i poteri civili e militari.
Ciascuno faccia scrupolosamente il suo dovere, la disciplina deve essere assoluta. Sono vietate tutte le manifestazioni che turbano l’ordine pubblico. I negozi debbono rimanere aperti: squadre d’azione rivoluzionaria sorveglieranno la disciplina e la vendita nei pubblici esercizi.
Napoli, 30 settembre 1943”.

Lo stesso giorno il tenente colonnello Felicetti si recò al comando del Fronte prospettando lo stato d’inedia della popolazione e la possibilità di rimediare con un carico di circa cento quintali di farina; per trasportarli, però, chiedeva due automezzi. L’ufficiale era conosciuto per la sua serietà ma, date le circostanze, la diffidenza non era troppa. Ebbe i suoi camion con la raccomandazione di portare a termine la missione, pena una severa punizione.
Cominciò il lungo viaggio dei due camion, che si manifestò pieno d’insidie e di pericoli. Giunti a un mulino che sorgeva ai margini del campo d’aviazione di Capodichino, entrarono da un portone laterale in maniera che i tedeschi, ancora sulle piste e negli hangar, non riuscissero a vederli. Mentre stavano ultimando il carico, tuttavia, s’accorsero che i militari stavano per intervenire. Solo la prontezza di spirito di Felicetti salvò il salvabile: lasciò il camion ancora non completo e partì con quello pieno attraverso strade impervie che solo lui conosceva. Fu un viaggio pericoloso perché dovette evitare tutte le zone dov’era prevedibile fare brutti incontri. Il viaggio durò dieci ore ma l’ufficiale italiano riuscì a portare a destinazione un camion di farina, che fu provvidenziale. I panettieri furono mobilitati e riuscirono a produrre pane per gli abitanti del Vomero in ragione di cento grammi a testa.
Nel pomeriggio del 30 settembre ci fu un tentativo da parte di un console fascista e dei suoi uomini di assaltare la sede del Fronte unico rivoluzionario. I partigiani, preventivamente avvisati del blitz, predisposero le forze in modo tale che quando arrivarono i fascisti ebbero un’accoglienza talmente rumorosa che se la dettero a gambe disperdendosi senza lasciare traccia.
Il tramonto aveva concluso il suo breve ciclo e la sera declinava verso il desiderio della notte. La città, stanca, sembrava sonnolenta. I partigiani avevano disposto le ronde in luoghi strategici. Le sparatorie dei giorni e delle ore precedenti erano cessate; solo qua e là qualche colpo isolato, ultimo rantolo d’una battaglia morente.
In lontananza si sentiva il tuono dei cannoni. Lo scontro era adesso tra l’armata tedesca in ritirata e quella anglo-americana che avanzava. Anche le navi da guerra americane e inglesi contribuivano a quel fragore rassicurante. In cielo i proiettili traccianti, i razzi illuminanti, lo scoppio di granate offrivano uno spettacolo che si sarebbe potuto definire piacevole se non avesse nascosto distruzione e morte. Con questa scena calava il sipario sulle Quattro Giornate di Napoli, 76 ore di combattimenti, dal mattino del 28 settembre all’alba del primo ottobre, che costarono la vita a 178 partigiani e il ferimento di 162».


In libreria: "Il barbiere zoppo" di Gino Marchitelli

Infinito edizioni – nuovo in libreria


Di Gino Marchitelli
Prefazione di Daniele Biacchessi, introduzione di Lidia Menapace
Presentazione di Nicoletta Dosio


Marche, 1969. Una ragazza intraprende un misterioso viaggio alla ricerca delle sue radici, durante il quale scopre, attraverso gli affetti ritrovati, i valori della Libertà, della Resistenza, della lotta contro il nazifascismo ed entra in contatto con i movimenti pacifisti, politici e sociali del 1968-69. L’incontro con il nonno ritrovato, Aurelio, mette Lidia, la giovane, di fronte all’orrore dei campi di sterminio nazisti e ai rigurgiti di un nazifascismo con cui l’Italia non ha mai voluto fare i conti. Tratto dall’incrociarsi di più storie vere, questo libro racconta due generazioni in lotta: quella dei giovani partigiani del 1943-45 e quella dei movimenti giovanili sessantottini. Una storia italiana lunga un trentennio scritta con tratto magistrale.
Questo libro è “lo scatto fotografico di un Paese che non ha memoria e che non riesce a costruire un futuro”. (Daniele Biacchessi)
Con Marchitelli “il passato ridiventa vivo e quotidiano; non solo doverosa memoria, ma bussola per il presente e per il futuro”. (Nicoletta Dosio)

“Se vorrete conoscere la Resistenza e una scrittura che non la tradisce narrandola, e se la volete proporre ad altri, questo è il libro che vi serve”. (Lidia Menapace)