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martedì 24 gennaio 2012

L’ultima bracciata: quando quei ragazzi in Germania perirono per servire in piscina il loro Paese

di Francesco Zarzana,
autore de “L’ultima bracciata. Brema, 1966: la tragedia dimenticata della nazionale italiana di nuoto” (Infinito edizioni, 2012, pagg. 136, € 12.00)

Il 28 gennaio 1966 è una data lontana, anonima, che non dice niente a nessuno anche a voler sforzarsi con la memoria e con il ricordo. E invece è un giorno che dovrebbe restare scolpito dentro tutti noi poiché l’Italia perse, tra il fango e la pioggia intorno all’aeroporto di Brema, sette ragazzi che facevano parte della Nazionale italiana di nuoto, e con loro l’allenatore Paolo Costoli e il grande cronista della Rai Nico Sapio, al seguito della piccola comitiva azzurra selezionata per partecipare al Meeting internazionale di nuoto di Brema, in Germania, allora il più importante torneo indoor invernale europeo.
I ragazzi erano il triestino Bruno Bianchi (capitano della Nazionale), il torinese Chiaffredo “Dino” Rora, il romano Sergio De Gregorio, il veneziano Amedeo Chimisso, la romana Luciana Massenzi, la bolognese Carmen Longo, la genovese ma milanese d’adozione Daniela Samuele; Costoli era fiorentino, Sapio genovese.
Quando si parla di tragedie dello sport, il nostro immaginario va sempre (e solo) alla tragedia di Superga del 1949, quella in cui persero la vita i giocatori del mitico e invincibile Torino. Credo tuttavia che la sciagura dei ragazzi della Nazionale di nuoto abbia risvolti emotivi decisamente più forti e dolorosi poiché si trattava di ragazzi dai 16 ai vent’anni e molti di loro svolgevano lavoretti umili per pagarsi la piscina e gli allenamenti e non avevano puntati addosso i riflettori che il calcio non ha mai lesinato ai suoi protagonisti, anche sei decenni or sono, per quanto con modalità e pudore ben diversi rispetto all’eccesso di oggi.
L’incidente aereo di Brema avvenne dopo rocambolesche vicende, inaspettati cambiamenti di programma e beffe del destino: l’aereo fermo sulla pista di Linate che non può partire causa fitta nebbia, la possibilità prospettata ai ragazzi di spostarsi in treno con i posti frettolosamente prenotati, i malumori di un noioso e lungo viaggio ferroviario, un funzionario che consiglia di volare fino a Zurigo e da lì a Francoforte dove, il loro aereo per Brema li avrebbe aspettati, e un maledetto ritardo di 12 minuti che fece perdere la coincidenza.
Da anni avvertivo forte il desiderio di “conoscere” meglio questi ragazzi e scoprire come fosse la loro vita, quali le loro passioni, aspirazioni, gioie, dolori. Ancor di più sentivo, da ex sportivo acquatico praticante, il bisogno di sapere che cosa sia davvero accaduto in quel tragico viaggio del 28 gennaio 1966.
Fu una notte drammatica per le famiglie che aspettavano notizie, per la Federnuoto che stentava a credere alle comunicazioni frammentarie che arrivavano dalla Germania, per i giornalisti che si apprestavano a scrivere articoli che non avrebbero mai immaginato di dover vergare di propria mano.
Cercando, sono riuscito a raccogliere molto materiale, nonostante siano passati tanti anni e le autorità tedesche all’epoca avessero trattato con notevole e colpevole superficialità le cause e i risvolti della tragedia di Brema. E mi sono affezionato a questi giovani. Da qui il desiderio di far conoscere la loro vicenda umana e sportiva, la straordinaria voglia di vivere di questi ragazzi, onorandone la memoria e dando loro quel proscenio che non hanno mai avuto.
Ma ho compreso pure quanto, dopo l’emozione iniziale, la tragedia passò troppo presto nel dimenticatoio e il libro, come suggerisce nell’introduzione al testo l’ex campionessa di nuoto Cinzia Savi Scarponi, rappresenta l’occasione migliore per far luce su un evento che non dobbiamo più dimenticare, portandolo nel nostro cuore e sentendolo come un lutto.
Penso che nell’anno delle Olimpiadi di Londra, che si svolgeranno a prossima estate, evento durante il quale le attenzioni verso discipline come il nuoto sono maggiori, possa essere utile far conoscere questa storia, questo sacrificio colpevolmente fatto passare sotto silenzio, pressoché sepolto sotto il fango di quella pista maledetta di Brema.
Ai ragazzi sono state intitolate piscine, trofei di nuoto e piccoli monumenti, ma è sempre troppo poco per ricordare giovani che stavano dando tanto allo sport italiano e che si aspettavano ancora tutto dalla vita. Così come il loro allenatore e il cronista Rai, persone amatissime da atleti e colleghi e che hanno lasciato un’impronta indelebile in chi li ha conosciuti, come Alfredo Provenzali racconta nella postfazione de “L’ultima bracciata”, dedicata proprio al collega e maestro Nico Sapio, il cui nome e le cui spoglie, come racconto nel libro, furono oggetto, tra l’altro, di una macabra e al contempo ridicola messa in scena ad opera delle autorità tedesche dell’epoca.