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giovedì 22 dicembre 2011

“Dopo i cartoni tutti a nanna!”, l’introduzione di Maurizio Forestieri a libro “Il cinema di cartone (animato)” di Roberto Ormanni

Oramai è storia.
Il termine cartone animato, peraltro di uso comune, è un italianismo scorretto dall’inglese animated cartoon che tradotto letteralmente sarebbe “vignette animate”. Un po’ per tradizione, un po’ per consuetudine, viene difficile chiamarli in altro modo: “Bambini, stasera vediamo le vignette animate di Tom&Jerry e poi tutti a nanna!!”… oppure: “Hai visto il cortometraggio di animazione di Willy il Coyote?”. Non funziona.
E ci voleva anche Roger Rabbit dove Bob Hoskins recita con disgusto la storica frase alla vista dello stolido coniglio che continua a prendersi la testa a padellate, per trasmettere la magia del suono di questa parola errata ma molto musicale che è “Cartoni!”.
Cartoni, dunque, che nel nostro immaginario occidentale sono associati a Pippo, Pluto, Paperino e Topolino e alla magia del cartoon classico, al punto tale che in maniera quasi dispregiativa venivo additato come quello che disegnava i “topolini” o, nei casi migliori, i “pupazzetti”, per denotare subito un’appartenenza a un mondo minore (o per minori) fatto di colore, animaletti, musica, risate e niente più. Ma al di là dei termini, più o meno corretti, e parlando seriamente, quando diciamo Cartoni (animati) diciamo cinema di animazione e quest’ultimo vanta il primato storico sull’invenzione del cinema vero e proprio, per questioni tecniche legate alla creazione del movimento illusorio a fotogramma singolo che è alla base di questa tecnica artistica ed espressiva. Oggetti dai nomi misteriosi e inquietanti come “prassinoscopio” o “fenachistoscopio”, geniali – per l’epoca – giocattolini ottici che si basavano sull’illusione del movimento con la tecnica delle fasi, hanno caratterizzato la tecnologia della prima metà dell’Ottocento in pieno fervore industriale… e hanno preparato il terreno per il nascente cinema che di lì a breve avrebbe preso il passo. Ma a parte le affascinanti considerazioni storiche, quando si parla di Cartoni parliamo di industria dello spettacolo vero e proprio. E ricordo, a tal proposito, una definizione del Cartone che trovo ancora oggi eloquente e che calza perfettamente con l’essenza di questa arte moderna: “Tutto il lavoro di creazione tra una ‘interlinea’ (la sottile linea nera sulla pellicola che divide ciascun fotogramma) e l’altra”. Disegnare cioè i vari movimenti in trasparenza su di un tavolo luminoso; la magia del rodovetro (la carta acetata trasparente), dove i disegni venivano lucidati e colorati con gli acrilici sul retro; la liturgia della ripresa a fotogramma singolo con una macchina da presa montata su un banco in verticale, dove i disegni venivano accuratamente accoppiati con i fondali dipinti e pazientemente fotografati; la trepidante attesa del “girato” in sala di proiezione, per vedere i risultati di faticose giornate di lavoro.
continua...