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mercoledì 14 dicembre 2011

La Svezia dell’accoglienza, patria dello stato sociale, terra forte e in continuo cambiamento nella prefazione scritta da Filippa Lagerback al libro “Diversamente Svezia” di Marco Buemi

Sono nata e cresciuta in Svezia, pochi chilometri fuori Stoccolma, che vuol dire già pratica­mente in campagna. Mia madre lavorava e lasciava la casa ogni giorno alle sette del mattino per non rimanere intrappolata nel traffico – sì sì, anche in Svezia c’è il problema del traffico, forse ancora di più negli anni passati, quando non c’era l’attuale congestion charge, fortemente voluta dai cittadini – e io mi arrangiavo da sola. Andavo a scuola a piedi o in bici e di pomeriggio andavo dritto dai nonni per la merenda, pan dolce alla cannella e compiti.
La natura immensa, patrimonio di tutti, i mezzi pubblici precisi e in orario, puliti e sicuri, la scuola dove l’insegnante era autoritaria ma disponibile e comprensiva, l’ora di religione in cui si studiavano tutte le religioni, la mensa con gli spaghetti scotti, il tempo libero davvero libero, il politico dimessosi solo perché non aveva pagato il canone della tv, le giornate buie e quelle infinite con il sole a mezzanotte, le candele in testa a Santa Lucia e i fiori in testa nella notte di mezza estate, il lavoro estivo a due euro l’ora, i castelli di neve… Tutto questo mi ha formata, ma avevo sempre un desiderio che mi accompagnava: uscire dal Paese per scoprire il mondo, imparare l’inglese, comunicare, vedere, toccare con mano la realtà oltre i miei confini. Mi sen­tivo sicura, protetta dal Paese, dallo Stato, vedevo il futuro come una solida certezza.
continua...