Un libro
composto di foto e testi inediti, “Jugoschegge”
(Infinito edizioni, 2011, pagg. 108, € 13,00) attraverso le testimonianze di
giornalisti, artisti e operatori umanitari (Mario Boccia, Paolo Rumiz, Ennio
Remondino, Luca Rastello, Alessandro Gori, Roberta Biagiarelli, Silvia Maraone)
che ben conoscono i Balcani ricostruisce gli eventi di allora e proietta
l’attenzione sui Balcani di oggi, evidenziandone criticità e potenzialità.
Ne
abbiamo parlato in un’intervista doppia con i due autori del libro, Tullio
Bulgari e Giacomo Scattolini, che hanno risposto a cuore aperto a questioni a
loro molto care. Si può non essere d’accordo su alcuni punti di questa
intervista, ma ai due autori e al loro sforzo editoriale vanno riconosciuti
molti meriti, non ultimo quello della chiarezza espositiva.
Una domanda a bruciapelo:
“Jugoschegge” è un libro sulla cosiddetta “Jugonostalgia” o è qualcosa di
diverso o di più?
Giacomo
Scattolini: Non è assolutamente un libro sulla
“Jugonostalgia”. Sono un cittadino italiano e non mi permetterei mai di parlare
di una “nostalgia” per un Paese non mio. È un libro che vuol guardare avanti.
Su ciò che “sarà” quella terra e non su ciò che “era”. Sono passati vent’anni
da quegli eventi, le cause o la nostalgia è un lavoro per gli storici. Per
analizzare il futuro abbiamo scelto persone italiane che quegli eventi li hanno
vissuto direttamente e che hanno cambiato profondamente la loro vita,
sviluppando uno sguardo “fino”. Abbiamo anche voluto celebrare quel grande
movimento che furono i “volontari” che andarono in quelle zone ad aiutare
profughi e vittime della guerra. Un movimento atipico, tutto italiano, di
persone non pagate che sacrificavano il loro tempo e i loro soldi per aiutare
il prossimo. Un movimento troppo ignorato dai media e dimenticato da tutti, ma
unico nel suo genere.
Tullio Bugari: È
qualcosa di diverso, è il tentativo di rispondere, anche parzialmente, a
domande che mi ponevo già durante la guerra, ad esempio quali sono i meccanismi
sociali che rendono possibile la rottura delle relazioni, le pulizie etniche,
lo schierarsi – da parte di chi è fuori – pro o contro un conflitto talvolta
con le stesse logiche del tifo verso una squadra di calcio (“Chi ha vinto la
guerra?”, si chiesero una sera in nave due ragazzi che cenavano nel tavolo
accanto, stimolati dalla conversazione che orecchiavano tra me e Giacomo). E
poi m’interessava cercare di capire in che modo tutto ciò che accade deve
essere affrontato o raccontato, per restituire dignità a chi ha subìto torti
disumani e per acquisirne un insegnamento utile anche a noi.continua...