Il
termine cartone animato, peraltro di uso comune, è un italianismo scorretto
dall’inglese animated cartoon che tradotto letteralmente sarebbe “vignette
animate”. Un
po’ per tradizione, un po’ per consuetudine, viene difficile chiamarli in
altro modo: “Bambini, stasera vediamo le vignette animate di Tom&Jerry e
poi tutti a nanna!!”… oppure: “Hai visto il cortometraggio di animazione di
Willy il Coyote?”. Non funziona.
E
ci voleva anche Roger Rabbit dove
Bob Hoskins recita con disgusto la storica
frase alla vista dello stolido coniglio che continua a prendersi la testa a padellate, per trasmettere la magia del suono di questa parola errata ma molto
musicale che è “Cartoni!”.
Cartoni,
dunque, che nel nostro immaginario occidentale sono associati a Pippo, Pluto,
Paperino e Topolino e alla magia del cartoon classico,
al punto tale che in maniera quasi dispregiativa venivo additato come quello che
disegnava i “topolini” o, nei casi migliori, i “pupazzetti”, per denotare subito un’appartenenza a un mondo minore (o per minori) fatto di colore, animaletti, musica, risate e niente più. Ma
al di là dei termini, più o meno corretti, e parlando seriamente, quando
diciamo Cartoni (animati) diciamo cinema di animazione e quest’ultimo vanta il primato storico sull’invenzione del cinema vero e proprio, per questioni tecniche legate alla creazione del movimento illusorio a fotogramma singolo che è alla base di questa tecnica artistica ed espressiva. Oggetti
dai nomi misteriosi e inquietanti come “prassinoscopio” o “fenachistoscopio”, geniali
– per l’epoca – giocattolini ottici che si basavano sull’illusione del
movimento con la tecnica delle fasi, hanno caratterizzato la tecnologia della
prima metà dell’Ottocento in pieno fervore industriale… e hanno preparato il
terreno per il nascente cinema che di lì a breve avrebbe preso il passo. Ma
a parte le affascinanti considerazioni storiche, quando si parla di Cartoni
parliamo di industria dello spettacolo vero e proprio. E
ricordo, a tal proposito, una definizione del Cartone che
trovo ancora oggi eloquente e che calza perfettamente con l’essenza di questa
arte moderna: “Tutto il lavoro di creazione tra una ‘interlinea’ (la sottile
linea nera sulla pellicola che divide ciascun fotogramma) e l’altra”. Disegnare
cioè i vari movimenti in trasparenza
su di un tavolo luminoso; la magia del rodovetro (la carta acetata trasparente), dove i disegni venivano lucidati e colorati con gli acrilici sul retro; la
liturgia della ripresa a fotogramma singolo con una macchina da presa montata
su un banco in verticale, dove i disegni venivano accuratamente accoppiati con
i fondali dipinti e pazientemente fotografati; la trepidante attesa del
“girato” in sala di proiezione, per vedere i risultati di faticose
giornate di lavoro.
Ecco,
tutto questo immenso immaginario viene compresso in un minuscolo spazio
chiamato interlinea. E
tutto questo, aggiungo, continua a essere oggi il mondo dei Cartoni,
sebbene le nuove tecnologie nelle ultime decadi abbiamo “facilitato” parecchi processi
produttivi e artistici, velocizzando di conseguenza la fabbricazione del
prodotto e moltiplicando le potenzialità. Un’industria
con tanto di specialisti, operatori e talenti, capaci di confezionare prodotti
di consumo oltre che una variegata offerta di nuove idee e proposte, che si
impone sul mercato e con un organigramma molto simile a quello del cinema dal
vero: produttori, autori, sceneggiatori, artisti, animatori, scenografi,
operatori, effettisti, doppiatori, musicisti, tecnici del suono, ecc…
Ognuno
con le proprie competenze e professionalità.
A
questo bisogna aggiungere la tecnologia, di cui parlavo poc’anzi, che automatizzando
parecchie fasi dei processi realizzativi ha permesso uno sviluppo “seriale”
del Cartone, sulla scia dei successi nipponici,
e che ha invaso i palinsesti del piccolo schermo.
Non
più cortometraggi o pezzi unici (bellissimi ricordi!) da esibire in festival specializzati
o ancora i lungometraggi per le grandi sale (bel ricordo anche quello!),
ma strutture narrative a episodi che hanno lanciato mode e indotti multipiattaforma
per milioni e milioni di euro sul mercato internazionale. Non
più dunque pochi minuti di short animato
fabbricato artigianalmente, che magari strappava un premio e qualche applauso,
ma puntate da “mezz’ora” con arco narrativo orizzontale piuttosto che
verticale, sviluppate in contenitori di 26, 52 e 104 puntate con prima, seconda
e in taluni casi, terza stagione di programmazione. Un’industria vera e propria
e che ancora oggi ha permesso la nascita di grandi e piccole società di
produzione e servizio. Oltre all’importantissimo aspetto tecnologico, bisogna però considerare anche la grande offerta asiatica sulla fase di “fabbricazione” del Cartone. Cina,
Coree, India, Filippine negli ultimi anni hanno sviluppato una grande
conoscenza dell’animazione tradizionale 2D come
in quella computerizzata 3D e si offrono come riferimento nella fase più faticosa della produzione, altrimenti impraticabile, poiché, come è noto, il Serial Kartoon richiede
molta manodopera costi contenuti e tempi record di realizzazione.
Paesi
come Francia, Germania, Spagna e infine anche Italia hanno raffinato questa
rete di rapporti per i quali il prodotto nazionale, a eccezione appunto della
produzione asiatica delle scene animate, viene salvaguardato con una fase pre-produttiva serrata e non esportabile (scritture, modelli, scenografie,
regia), oltre alla compagine post-produttiva che si avvale di musicisti e
doppiatori nostrani.
Un
settore, il Cartone, che vede tante opportunità di
lavoro e per lungo tempo e che potrebbe essere una delle tante alternative alla
crescente domanda di occupazione.
Tutto
bene, direte... Ma, per quanto negli ultimi anni si siano intraprese grandi operazioni commerciali legate al Cartone,
nel nostro Belpaese l’esigua committenza fatica a individuare precise linee
editoriali e contenutistiche, limitando il settore a uso e consumo di fasce
prescolari e comunque, nel migliore dei casi, a target
abbastanza bassi – anagraficamente – con conseguenti e
inevitabili abbassamenti di qualità.
Un
target che arriva faticosamente ai nove
anni di età e con contenuti spesso semplici e modaioli e giammai prodotti raffinati
per fasce di età diversificate e con un immaginario moderno e al passo con i
tempi, nonostante oggi ci sia l’imbarazzo della scelta (web
e nuove tendenze, ad esempio). Invece, solite bande di
ragazzini borghesi, solite fatine o umanoidi dotati di superpoteri… che noia!
È
anche vero che in fase di piena adolescenza non si guardano più Cartoni poiché ritenuti indice di puerilità, ma è pur vero che i
contenuti delle offerte non lasciano molta scelta. E non parlo di stile o di bellezza del disegno (generalmente attraenti e di buon livello), ma di storie,
di dialoghi… di scrittura insomma. In questo i Simpson
(oramai archeologia in America),
hanno fatto epoca. Malgrado
ciò, più di un ventennio fa, dopo una ferrea formazione cinematografica, ho
deciso di intraprendere questa difficile ma straordinaria attività artistica
fatta del lavoro di tante persone e dove l’apporto del singolo ha un’importanza
basilare per la riuscita di un buon prodotto, cominciando dapprima come
animatore e quindi attore indiretto di movimenti disegnati, fino a direttore
artistico e regista, poiché i Cartoni,
anche se di carta o in altre tecniche, vanno diretti e coordinati come un
qualsiasi film con attori reali, rispettando l’idea originale (che sia un
lungometraggio o una serie tv), un piano di produzione e con il solo scopo di
tirare fuori il meglio da ogni singolo artista, sollecitando l’estro, nutrendo
la passione e preservando sempre l’entusiasmo. Quindi
ancora una volta Cartoni!
Ma non con rabbia e a denti stretti come mugugnava l’investigatore Bob
Hoskins-Eddie Valiant, ma con un urlo di gioia per un’arte completa in tutte le
sue parti.
È
fondamentale capirne e carpirne la storia, le origini e gli esordi per entrare pienamente in questo mondo strepitoso. E un trattato sull’animazione, come quello di Roberto Ormanni, che coniuga rigore storico e semplicità, è indiscutibilmente un arricchimento culturale e artistico che ci permette, attraverso la conoscenza di storie e aneddoti, di comprendere la tradizione e
di superarla con nuovi stili e proposte…
Siamo qui per questo.
Siamo qui per questo.