l’umanità
più delicata e più preziosa. Beh! Il me bimbo come pediatra ha scelto Andrea
Satta. Quando devo presentarlo a qualcuno che non lo conosce lo presento così: “Lui
è Andrea, il mio pediatra”. Andrea è un bravissimo pediatra, ne sono sicuro, ma
è anche un superbo cantante,
un
conta e un canta storie con il suo specialissimo gruppo Têtes
de bois (teste di legno). Ciò che mi ha
molto colpito e che profondamente ammiro in lui da che lo conosco è l’assoluta
levità e naturalezza con cui coniuga le due attività.
Da
questa condizione duplice di impegno e passione deve essergli sgorgata l’idea
di raccogliere e trasmettere storie, le storie di quell’umanità molteplice e
variegata che frequenta il suo Ambu, l’ambulatorio
pediatrico sito in una periferia della capitale in cui lui riceve i suoi piccoli
pazienti con le famiglie, mamme, babbi, nonne, zie, amiche. Ha chiesto a loro
di raccontare storie che conoscono e ne sono venute fuori storie classiche, favole
che riconosciamo, favole bizzarre e storie magnificamente inattendibili persino
come storie. Raccontare storie è uno degli specifici più belli e più importanti
di cui l’essere umano sia stato dotato. I maestri del cassidismo ebraico
dicono: “Il Santo Benedetto ha creato l’uomo perché amava sentire raccontare
storie”. Il profeta Mosè, subito dopo avere guidato la rivoluzionaria liberazione
dalla Schiavitù dell’Egitto di quel coacervo di sbandati asiatici,
mesopotamici, israeliti, accadi, ittiti e habiru (fuorilegge)
schiavi e meticci che chiamiamo ebrei, già nel deserto sente l’urgenza di
raccontare quella liberazione perché diventi una storia e sia disponibile per l’umanità
che la possa fare propria raccontandola. L’idea di Andrea Satta di provocare il
racconto di storie perché si torni a raccontarle ai propri bambini è un’idea
fertile e creatrice di ricchezza interiore. Un bimbo che cresce sentendo
cantare canti autentici e storie fantastiche sarà un adulto ricco e sensibile.
Saper raccontare, in qualche misura è già saper dissipare le tenebre; ce lo
insegna questo racconto che vorrei dedicare ad Andrea, al suo Ambu,
ai suoi bambini e alle loro famiglie:
“Israel
Baal Shem Tov, il grande maestro fondatore del chassidismo, quando sentiva che
un pericolo si addensava sulla sua comunità, si recava in un particolare bosco
che conosceva, là individuava un posto preciso, accendeva un fuoco con gesti
speciali noti solo a lui, cantava una preghiera con parole e una melodia che
lui aveva composto; il pericolo si allontanava. A una generazione successiva,
l’erede del Baal Shem Tov, rav Dov Baer di Mezeritch, il santo Magghid (predicatore),
quando sentiva che un pericolo si addensava sulla sua comunità, si recava nello
stesso bosco, non ricordava più il posto preciso, ma sapeva accendere il fuoco
con gli stessi gesti del suo maestro e cantare la stessa preghiera con quella
melodia; il pericolo si allontanava. Una generazione dopo, rabbi Shneur Zalman
di Liady, allievo del santo Magghid, quando sentiva che un pericolo si
addensava sulla sua comunità, non conoscendo il bosco né il luogo, accendeva il
fuoco nel cortile della propria casa, ma con gli stessi gesti dei suoi maestri
e cantava la preghiera con le stesse parole e la stessa melodia e ciò bastava;
il pericolo si allontanava. Trascorsa un’altra generazione, l’allievo
prediletto di rabbi Shneur Zalman, rabbi Levy Yitzkhok di Bardicev, quando sentiva
addensarsi un pericolo sulla sua comunità andava
nella
Casa di Studio e si limitava a cantare la preghiera con le parole e la melodia
che aveva ereditato dai precedenti maestri e ciò bastava a dissipare il
pericolo. Passata ancora un’altra generazione, rabbi Menachem Mendel di
Vitebsk, quando avvertiva il sopraggiungere di un pericolo sulla sua comunità
rimaneva seduto nella cucina di casa sua e, a fior di labbra, salmodiava la
melodia della preghiera del Baal Shem Tov, l’unica cosa che ancora
ricordasse... e ciò bastava. I maestri delle generazioni successive non
ricordavano più né il bosco, né il posto nel bosco, né i gesti per accendere il
fuoco, né le parole della preghiera e neppure la sua melodia, ma sapevano
ancora raccontare una storia, che c’era una volta un Maestro di nome Israel
Baal Shem Tov che quando un pericolo si addensava sulla sua comunità… e ciò
bastava”.
E noi? Noi non sappiamo più raccontare, ma se con l’aiuto
della fantasia dei nostri bimbi riafferriamo il bandolo del filo della
narrazione forse possiamo salvare la nostra comunità umana dai devastanti
pericoli che incombono su di essa.