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martedì 27 febbraio 2018

Višegrad, 27 febbraio 1993: la strage dei passeggeri del diretto 671

Višegrad è una cittadina della Bosnia orientale che ha vissuto, a partire dalla primavera del 1992, sotto un regime del terrore e dell’orrore comandato da un gruppo di paramilitari serbo-bosniaci sostenuti dall’esercito serbo, guidato dai cugini Milan e Sredoje Lukić. I due si rendono protagonisti, nel corso di quella terribile estate del 1992, di una serie di episodi disumani, tra cui l’uccisione a sangue freddo di sette musulmani-bosniaci, i cui cadaveri vengono gettati nella Drina, e della combustione di cinquantacinque persone – tra cui una neonata di tre giorni di vita – in una cantina di Pionirska ulica, nella quale i Lukić lanciano ordigni incendiari alimentando poi le fiamme per ore con la benzina. L’orrore continua con toni di questo genere per tutta l’estate, finché la pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che costituivano il 63 per cento della popolazione locale – viene portata a termine con operazioni di rastrellamento, deportazioni e omicidi di massa di centinaia di civili all’interno di case private. Circa tremila persone vengono uccise e fatte scomparire. Il 27 febbraio del 1993, come ricorda il giornalista e scrittore  Luca Leone in Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio è una data importante nella cronologia dei fatti. “Il treno diretto 671, partito da Belgrado con de­stinazione Bar, entra nel territorio della Repubblica serba di Bosnia, sempre nel comune di Rudo. Il convoglio viene fatto fermare dai para­militari dei cugini Lukić nella stazione di Štrpci, una frazione di Rudo. I paramilitari avrebbero solo il mandato di controllare i documenti di tut­ti i passeggeri, ma dal convoglio vengono fatte scendere diciannove per­sone “non serbe”: un croato e diciotto musulmani-bosniaci. Gli sventu­rati, una volta scesi dai vagoni, vengono derubati e abusati fisicamente, come consuetudine delle Aquile bianche. Quindi vengono fatti salire a forza su un camion e, condotti nei pressi del Vilina Vlas, nella zona termale di Višegrad, vengono torturati tra i resti di una casa bruciata da un rogo lungo la riva della Drina. Terminato il divertimento, tutti vengono eliminati con un colpo alla testa e i loro corpi gettati nel fiume. I loro resti non sono mai stati ritrovati. Dei trenta sospettati per questo eccidio, al momento solo uno, Nebojša Ranisavljević da Despotovac è stato condannato, nel 2002, dal tribunale di Bjelo Polje, a quindici anni di carcere (condanna poi confermata in appello dalla Corte suprema del Montenegro nell’aprile del 2004). Ranisavljević è stato rilasciato per buona condotta nel 2011 ed è tornato uomo libero. Nel 2014 sono poi stati arrestati altri quindici presunti responsabili della strage, al momen­to ancora in attesa di sentenza definitiva.”