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mercoledì 21 marzo 2012

L’arte di costruire e mantenere la pace, di Luisa Morgantini per “La chiamavano guerra” di Davide Berruti

La chiamavano guerra    
È guerra, sono guerre: devastanti, distruttrici di relazioni, di corpi, della natura e dell’ambiente, di patrimoni culturali dell’umanità. E la chiamavano pace.
Davide, nel suo passare attraverso o dentro le situazioni di guerra, riflette sulla necessità di tenere insieme, nella cooperazione internazionale o nell’agire dei singoli e dei movimenti e delle associazioni pacifiste – sebbene io preferisca chiamarli “movimenti per la nonviolenza” – le risposte sia all’emergenza e ai bisogni delle comunità sradicate e ferite, sia quelle della ricerca per la costruzione della pace. Anche lui consapevole che non vi è pace senza giustizia e che la povertà, come ci dice Nelson Mandela, “non è un destino” ma il risultato delle politiche di un sistema che invece di porsi la questione per chi, come, cosa produrre, pensa a fare più profitto e a sfruttare uomini, donne e natura.
Anche se la sua narrazione è racconto di un’esperienza soggettiva, dalla presa di coscienza alla pratica della nonviolenza, e non una dissertazione accademica, Davide nomina le contraddizioni degli interventi chiamati “umanitari” e che invece sono in realtà dominio geopolitico, conquiste di risorse e mercati o di terra colonizzata e rubata – ai Palestinesi, nel caso di Israele.
L’autore evidenzia come sia indispensabile separare gli interventi di costruzione della pace (peacebuilding) dalla commistione con i militari e al contempo racconta i palesi fallimenti e le ipocrisie degli aiuti umanitari, che invece di agire sui conflitti per creare condizioni di sviluppo e di economia sociale diventano portatori di nuovi conflitti e disuguaglianze.
Attraverso i suoi passaggi nelle varie organizzazioni, dall’Agesci agli Obiettori di coscienza, dall’Associazione per la Pace, alla formazione e l’insegnamento, ai viaggi nei luoghi delle guerre o dell’occupazione militare, nel conflitto e nel post conflitto (ma quanto lavoro andrebbe fatto per spiegare cosa sono i conflitti) ci lascia luoghi, persone, riflessioni e ingiustizie subite ma anche esempi di umanità straordinaria.

Luoghi e persone che sono anche i miei e di altri/e.
La mia mente si è riempita di ricordi e di collegamenti; Rada, molto prima del “contro viaggio” di cui ci dice Davide, l’abbiamo incontrata a Belgrado quando, come donne Assopace e Donne in Nero nei periodi più bui della guerra, andavamo in Croazia, Slovenia, Serbia, Bosnia, Montenegro per costruire, insieme alle donne, relazioni e solidarietà. Fin dal 1988 siamo andate in Palestina e Israele per incontrare donne israeliane e palestinesi; da lì vengono le Donne in Nero in Italia; poi nella Marcia a Sarajevo, organizzata dai diversi movimenti italiani per la pace, abbiamo detto alle donne della ormai ex Jugoslavia del nostro fare. Da quell’incontro ebbero inizio le Donne in Nero di Belgrado. Nel nostro agire, lo scambio e la relazione facevano parte della nostra politica: cacciare la guerra fuori dalla storia e costruire una politica internazionale che partisse da un diplomazia dal basso, dove la relazione e la mediazione fossero capaci di interrompere il ciclo della violenza e dei nazionalismi.
E quando Davide racconta del Kurdistan e di Leyla Zana, non posso non ricordare il nostro essere con le Madri per la Pace a Dyarbakir, la presenza in piazza a Roma con le migliaia di curdi venuti per sostenere Abdullah Öcalan, o il mio essere presente, ormai non più portavoce dell’Associazione per la Pace ma parlamentare europea, alle diverse udienze del processo contro Leyla Zana e gli altri parlamentari curdi. Al figlio di Leyla, Ronay, che ho tenuto con me per diversi mesi per cercare di farlo uscire dalla depressione e dagli incubi di avere un padre e una madre incarcerati, e lui costretto all’esilio. Ma anche Colombia, Algeria, Iraq e soprattutto in Palestina e Israele, dove l’Associazione per la Pace fin dalla sua fondazione, nel primo congresso di Bari, ha ospitato una donna palestinese e una israeliana, e abbiamo poi continuato con le parti che riconoscono l’asimmetria della situazione: da una parte un Paese che occupa militarmente un altro, dall’altra un popolo impegnato a lottare per una pace giusta. Durante l’assedio e il coprifuoco in tutte le città della Cisgiordania e di Gaza, all’inizio della seconda Intifadah, nel 2002, insieme a francesi, belgi, israeliani e palestinesi siamo andati in Palestina con interventi civili di pace per proteggere la popolazione, per rimuovere con le nostre mani i blocchi di cemento o terra messi all’entrata dei villaggi o nelle strade di collegamento tra un villaggio e l’altro, che impedivano ai palestinesi ogni libertà di movimento.
Lì abbiano incontrato quelli che non chiamo eroi, ma angeli, uomini e donne, soprattutto giovani, che andavano a soccorrere i feriti o a portare da mangiare agli anziani che non potevano uscire di casa per il coprifuoco. E angeli le ragazze e i ragazzi di Operazione Colomba, che proteggono i bambini palestinesi, dall’aggressione fisica dei coloni israeliani che vogliono impedire loro di andare a scuola.
Leggere le sue esperienze, e il regalo che Davide ci fa nel condividerle, mi dà un grande impulso per continuare nel nostro cammino. Partendo da sé, dall’assunzione di responsabilità individuale, che non deve mai essere delegata a nessuno, ma anche dall’organizzazione collettiva della pratica e della cultura della nonviolenza contro la pratica e la cultura della militarizzazione delle nostre società e anche delle nostre menti.
Quando chiesi a Davide di venire con noi e lavorare nell’Assopace, lo feci per la sua attività nei movimenti della nonviolenza attiva, per portare dentro Assopace competenza e differenze.
Grazie Davide, so che continueremo il nostro andare e tornare per tenere aperta una striscia di futuro dove non siano ingiustizia e guerre a segnare il passo, ma il nostro respiro per la libertà e la giustizia. Con il coraggio della nonviolenza. Ne vale la pena!

Il testo è disponibile sul sito della Infinito edizioni (www.infinitoedizioni.it) e può essere ripreso liberamente citando la fonte (©Infinito edizioni 2012).

Per informazioni, Infinito edizioni: 06/93162414
Maria Cecilia Castagna: 320/3524918