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martedì 20 marzo 2012

I social network e le rivoluzioni nel Nord Africa della primavera del 2011 nell’introduzione scritta da Massimo Cirri al libro di Giuseppe Acconcia “La Primavera egiziana e le Rivoluzioni in Medio Oriente”.

Ci hanno raccontato che adesso il mondo è più piccolo. Che tutto è vicino, che le distanze contano meno, quasi niente, che qualsiasi cosa succeda e ovunque succeda un attimo dopo mi raggiungerà qui, sul mio computer portatile o su un telefonino. Io saprò, in tempo reale, e capirò. Un po’ è vero. Un po’ è un’illusione. Credo un’illusione da predominio della tecnica. Forse si sono confusi i termini. Perché quel telefonino, oltre a raccontare i cambiamenti veloci del mondo, pare essere al tempo stesso co-produttore di quel mutamento. Lo racconta e nel raccontarlo lo accelera. La comunicazione della rivolta infiamma e alimenta il fuoco della rivolta. Con una velocità mai sperimentata prima. È successo nelle primavere del Mediterraneo: Tunisia, Egitto, Libia. Succede in Siria. Succederà ancora. E gli apparati tecnologici che veicolano l’informazione giocano una parte importante: sul finire degli Anni ‘70 del secolo scorso la rivoluzione khomeinista si sparge in Iran attraverso le audiocassette. Quelle su cui noi, qui, ascoltavamo De Gregori e Battisti. Dal suo esilio nella banlieue parigina, credo senza aver mai ascoltato musica da un’audiocassetta né da un disco né da qualsiasi altra fonte, l’ayatollah Khomeini intuisce che quei nastri possono servire ad altro. E ci registra i suoi discorsi che incitano alla rivolta in nome dell’Islam sciita. Le cassette entrano clandestinamente nell’Iran dello Scià – chi la ferma un’audiocassetta alla frontiera? – milioni di iraniani l’ascoltano, la duplicano e la passano al vicino di casa che l’ascolta, la duplica e la passa a qualcun altro. Quando Khomeini arriva a Teheran su un bianco aereo Air France trova ad aspettarlo una folla immensa, forse dieci milioni di persone, il più grande concentramento di corpi nella storia dell’umanità. Frutto di quella propagazione delle sue predicazioni, lenta ma virale, tramite audiocassetta.
Le rivoluzioni del 2011 in Nord Africa e in Medio Oriente si sono propagate con i social network. Alla velocità dell’immediato o quasi. Così le primavere arabe e mediorientali sono diventate, per come ci sono state rappresentate, un tutt’uno con Facebook e Twitter. Internet ha messo in connessione le rivolte all’interno dei Paesi e contemporaneamente le ha comunicate all’estero. Sempre in tempo reale, quindi velocemente. Su questa velocità si è giocato un rischio, per noi che da lontano avevamo voglia e bisogno di capire. Credo sia il solito stretto legame tra velocità dell’informazione e sua superficialità. Che significa perdita di informazione.
Ce ne siamo resi conto il 2 febbraio 2011. La Rivoluzione di piazza Tahrir è in corso dal 25 gennaio. La piazza è piena di migliaia di persone, le immagini sono su Facebook, i blogger bloggano, Al-Jazeera riprende e rilancia sui circuiti televisivi di tutto il mondo. Il 28 gennaio iniziano i “Venerdì della collera”, manifestazioni ancora più imponenti. Il 2 febbraio c’è la “battaglia dei cammelli”. I sostenitori di Hosni Mubarak attaccano i manifestanti sul dorso di cavalli e cammelli, fruste e bastoni alla mano. A riguardarle, le immagini, sembra che in quella assurda carica al galoppo in piazza ci siano più cavalli che cammelli. Forse un malcelato desiderio di esotismo porta i media occidentali a sottolineare maggiormente la presenza dei cammelli. E comunque diventava difficile capire cosa c’entrassero le truppe cammellate con Twitter. Che battaglia era?
Qualche mese più tardi ci ha aiutato a chiarire il contesto Hossam el-Hamalaway, un blogger, militante di sinistra, arrestato e torturato nelle carceri di Mubarak già nel 2000. Da blogger el-Hamalaway può permettersi di dire che la rete non ha avuto nella rivolta egiziana tutta l’importanza che le è stata attribuita. Perché, racconta intervistato dall’Unità quando è venuto in Italia a ricevere il premio di Internazionale, “Mubarak ha bloccato le comunicazioni ma il movimento non si è fermato. I milioni di lavoratori in sciopero non hanno Twitter. La maggior parte dei blogger politicizzati ha un piede nel mondo virtuale e uno nel mondo reale. L’organizzazione non si fa in rete, ma in piazza”. Quindi meno social network e più qualcos’altro. Qualcosa di più complicato.
Il 2 febbraio, solo qualche ora dopo quell’assurda galoppata di quadrupedi contro la folla, Giuseppe Acconcia ha aiutato qualche centinaia di migliaia di ascoltatori della radio a capirci qualcosa. Qualche settimana prima ci aveva scritto un’e-mail, a Caterpillar, programma di Radio2. “Sono laureato alla Bocconi con tesi sull’Iran, dove ho vissuto. Sono di ritorno in Italia dopo due anni al Cairo, dove ho insegnato italiano alla scuola italiana e all’Istituto di cultura. Ho scritto vari articoli e racconti. Trovi allegato curriculum per notizie in dettaglio. Cari saluti, Giuseppe”.
Io temo di avergli risposto con frasi di circostanza. Grazie, teniamoci in contatto. Per fortuna non conservo le e-mail inviate, adesso me ne vergognerei più dettagliatamente. Cosa può esserci di interessante da raccontare in Egitto, per un programma radiofonico del pomeriggio? Questo devo aver pensato. Ed era il 24 dicembre 2010. Un mese prima che esplodesse tutto. Ma Giuseppe è un tipo paziente. Appena tornato in Egitto si è rifatto vivo. E dai primissimi giorni della rivolta, quasi ogni pomeriggio, ci raccontava la piazza e quello che c’era dentro. Da conoscitore attento della società egiziana. Scrivendo sul blog del programma articoli di approfondimento quando i minuti contati della radio – la velocità che minaccia la qualità – non bastavano.
Mail di quel giorno, 2 febbraio, ore 14.43: “La situazione è di nuovo cambiata improvvisamente con i manifestanti pro Mubarak in piazza e scontri con i manifestanti. Se non dovessi riuscire a prendere la linea con quel numero puoi provare a quello che hai usato nei giorni scorsi, possiamo anche provare a sentirci via Skype. Cari saluti, Giuseppe”. La linea in qualche modo siamo riusciti a prenderla, qualche volta ci ha salvato Skype, e Giuseppe ci ha spiegato che quelli sui cammelli erano criminali fatti uscire dalle prigioni. Pagati dal regime. E da quali quartieri venivano e com’era la vita quotidiana in quei giorni complicati, e chi sono i Fratelli musulmani e perché tutta la Primavera araba è cominciata in Iran con le rivolte studentesche del 2009, l’Onda verde. Adesso il racconto e l’analisi continuano qui, in forma di libro. Quindi con più spazio, connessioni, dettagli. E quella profondità che manca alla comunicazione ostaggio della velocità. Con l’assalto in quella stessa notte al Museo egizio – è l’inizio della depredazione del patrimonio archeologico – e il racconto della caccia agli stranieri.
“Caro Massimo, la situazione è precipitata all’improvviso ieri notte. Molti italiani e stranieri sono scappati in aeroporto, noi siamo stati sequestrati da una banda armata e poi condotti dall’esercito che a sua volta ci ha portati al ministero dell’Intelligence. Ci hanno rilasciati dopo tre ore, ora siamo all’hotel Conrad aspettando o di ripartire per la Germania con gli australiani o notizie dall’ambasciata. Non so come proseguirà la giornata. Cari saluti, Giuseppe”.
È finita con il ritorno forzato in Italia. Ma in Italia Giuseppe è riuscito a rimanerci quindici giorni, se non ho sbagliato i conti. Continuando a sentire gli amici al Cairo. Poi è tornato in Egitto. Credo per dovere verso se stesso, per finire il lavoro e raccontare che al Cairo, una città con sedici milioni di persone, tra macchine ferme un po’ dovunque, cani randagi, cimiteri abitati, Twitter e cellulari, ci sono le donnole. A me delle donnole non aveva mai detto nulla nessuno. Grazie Giuseppe.

Il testo è disponibile sul sito della Infinito edizioni (www.infinitoedizioni.it) e può essere ripreso liberamente citando la fonte (©Infinito edizioni 2012).

Per informazioni, Infinito edizioni: 06/93162414
Maria Cecilia Castagna: 320/3524918