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martedì 13 marzo 2012

“Tu non diventerai mai un campione!”, i sogni di un ragazzo che amava lo sport e la tragedia di Brema in “L’ultima bracciata” di Francesco Zarzana

“Tu non diventerai mai un campione!”. Mi bacchettava così il mio professore di educazione fisica tra il serio e il faceto, in quel severissimo liceo classico palermitano dove la vista della cattedrale arabo-normanna dalle finestre della classe, irradiata da perenni raggi di sole, non aveva prezzo per bellezza e suggestione. Del resto – pensavo tra me e me – lui è anche l’allenatore della squadra di nuoto per me acerrima avversaria e in realtà vuole solo irretirmi. E io non volevo cadere nel tranello. Ma alla lunga aveva ragione lui. Sapevo fare tante, troppe, discipline benino. Ai campionati studenteschi, escludendo sollevamento pesi, pugilato e poco altro (ma solo perché non erano discipline “studentesche”!), ero iscritto alle più improbabili gare e con buoni esiti. Ma non eccellevo in nessuna. Il nuoto, però, era il primo unico grande amore. Mi ero avvicinato a questa disciplina per curare una brutta scoliosi e con tanti sacrifici economici da parte dei miei genitori. Poi era arrivato l’agonismo. Partecipare alla Coppa Mosca di nuoto significava anche sognare di andare alle Olimpiadi sovietiche. Chissà! Con il boicottaggio di tantissime nazioni per protestare contro l’invasione russa in Afghanistan, magari si liberava qualche posto in più. Ma ovviamente erano sogni di ragazzo che amava lo sport. Durante le fasi di riscaldamento di quei noiosissimi, quotidiani, 1.500 metri a stile libero sciolti bisognava far passare il tempo. E allora canticchiavo, pensavo ai compiti da fare a casa o alla preparazione alle successive competizioni. Bisognava allenarsi bene e dare il massimo. E c’era una gara che aveva un nome curioso. 
La Coppa Caduti di Brema. Partecipare alle fasi regionali era interessante perché curioso era il suo nome. Ma qual era il suo significato? Coppa Mosca era facile da capire. Si poteva andare alle Olimpiadi. L’avevo compreso quando cominciavo a fare i primi passi nell’agonismo: esisteva la Coppa Montreal… e c’erano le Olimpiadi canadesi qualche tempo dopo. Ma nessuno mi aveva spiegato cosa fosse questa Coppa Caduti di Brema e, per la verità, io non l’avevo mai chiesto. Una gara come le altre che serviva per provare a realizzare buoni tempi. Tutto lì.

Passati parecchi anni, il continuare a muovermi nell’ambiente del nuoto e della pallanuoto mi ha fatto nuovamente imbattere, per puro caso, in questa manifestazione. Questa volta però ho deciso di saperne di più. Cominciate le prime ricerche, ho finalmente capito di che cosa si tratta: il ricordo della tragedia di sette ragazzi, e del loro allenatore, che avrebbero rappresentato l’Italia in un’importante manifestazione natatoria in Germania. Ho così scoperto che con loro viaggiava, in quel giorno drammatico, un famoso cronista della Rai, anch’egli perito. Ma non basta. È nata in me la voglia di saperne di più, di “conoscerli”, di scoprire come fosse la loro vita, quali le loro passioni, aspirazioni, gioie, dolori. E che cosa sia davvero successo in quel tragico viaggio del 28 gennaio 1966. Sono così riuscito a raccogliere molto materiale, con pazienza certosina. E mi sono affezionato a questi giovani. Da qui il desiderio di narrare al più alto numero di persone possibili la loro vicenda umana e sportiva, la straordinaria voglia di vivere di questi ragazzi, onorandone la memoria e tramandandola alle nuove generazioni quasi come fossero dei nuovi amici, così come lo sono diventati per me.
Il nuoto italiano è una grande famiglia, non ci sono barriere che separino il campione dal principiante o il tecnico dall’appassionato: quelli che per la maggior parte degli italiani sono solo nomi di campioni scomparsi prematuramente, per molte persone che ho incontrato nelle mie ricerche sono amici tra i più cari, compagni di squadra, fratelli, sorelle. Erano campioni e come tali vennero rimpianti, ma erano anche giovani che si aspettavano molto dallo sport e tutto dalla vita. A tutti coloro che sono stati duramente colpiti da questa tragedia, alle famiglie, soprattutto, così appassionate e innamorate, testimonio anch’io la mia grandissima ammirazione per queste tre ragazze e questi quattro ragazzi, per il loro allenatore e per il collega giornalista. Che restano – ora che li ho finalmente “conosciuti” – nel mio cuore.

Il testo è disponibile sul sito della Infinito edizioni (www.infinitoedizioni.it) e può essere ripreso liberamente citando la fonte (©Infinito edizioni 2012).

Per informazioni, Infinito edizioni: 06/93162414
Maria Cecilia Castagna: 320/3524918