Sono nata e cresciuta in Svezia, pochi chilometri fuori Stoccolma,
che vuol dire già praticamente in campagna. Mia madre lavorava e lasciava la
casa ogni giorno alle sette del mattino per non rimanere intrappolata nel
traffico – sì sì, anche in Svezia c’è il problema del traffico, forse ancora di
più negli anni passati, quando non c’era l’attuale congestion charge,
fortemente voluta dai cittadini – e io mi arrangiavo da sola. Andavo a scuola a
piedi o in bici e di pomeriggio andavo dritto dai nonni per la merenda, pan
dolce alla cannella e compiti.
La natura immensa, patrimonio di tutti, i mezzi pubblici precisi e
in orario, puliti e sicuri, la scuola dove l’insegnante era autoritaria ma
disponibile e comprensiva, l’ora di religione in cui si studiavano tutte le
religioni, la mensa con gli spaghetti scotti, il tempo libero davvero libero,
il politico dimessosi solo perché non aveva pagato il canone della tv, le
giornate buie e quelle infinite con il sole a mezzanotte, le candele in testa a
Santa Lucia e i fiori in testa nella notte di mezza estate, il lavoro estivo a
due euro l’ora, i castelli di neve… Tutto questo mi ha formata, ma avevo sempre
un desiderio che mi accompagnava: uscire dal Paese per scoprire il mondo,
imparare l’inglese, comunicare, vedere, toccare con mano la realtà oltre i miei
confini. Mi sentivo sicura, protetta dal Paese, dallo Stato, vedevo il futuro
come una solida certezza.
Finito
il liceo sono partita per un anno sabbatico prima dell’università, ma non sono
mai più tornata in patria. Dopo dieci anni in giro per il mondo ho trovato
l’amore e il lavoro in Italia, dove vivo attualmente con il mio compagno e
nostra figlia, Stella, otto anni. Quando è nata volevo farle percepire da
subito le sue radici scandinave e dopo un solo mese di vita le avevo già
procurato il passaporto svedese. Con lei ho sempre parlato nella mia lingua
madre. Andiamo spesso a trovare i suoi nonni su al nord, dove le insegno il
rispetto per la natura, il senso civico e il gusto di viaggiare per scoprire il
pianeta, proprio come ho fatto io. Vorrei che un giorno si sentisse non solo italo-svedese,
ma cittadina del mondo, un piccolo pezzo del grande puzzle, che capisca
di far parte di un disegno più ampio, non costretta in una piccola realtà
locale
Con lei parlo di pari opportunità, del ruolo della donna e
dell’uomo nella società, le spiego che deve prendersi le proprie
responsabilità, aiutare in casa e diventare autonoma. I miei fratelli facevano
il bucato da soli a dieci anni, andando in giro con le t-shirt rosa
prima che imparassero a dividere i colori! Ognuno doveva aiutare nelle faccende
domestiche. Se dicevi: “Non lo so fare!”, la risposta era: “È l’occasione per
imparare!”. E se dicevi: “Ma io lo so già fare!”, la risposta era: “Bene, così
ci metti meno tempo!”.
La Svezia è in continua evoluzione, segue il mondo che cambia. Nei
tempi di crisi, i soldi vengono investiti nel rinnovo dell’istruzione e nello
sviluppo della ricerca. La scuola che conoscevo io non esiste più. Il
programma del liceo si è aggiornato alle più moderne esigenze educative
globali. In questo progetto interculturale l’integrazione degli immigrati
diventa inevitabilmente una delle questioni più delicate e controverse del mio
Paese. Attualmente c’è un acceso dibattito, in particolare nella città di
Malmö, che tra l’altro partecipa alla campagna Unesco “Città contro il
razzismo”. Mio padre, in qualità di psicologo-mediatore, è coinvolto nella
disputa. Il suo ruolo è quello di favorire un dialogo tra i cittadini
appartenenti a differenti etnie e religioni. Ci deve essere spazio e rispetto
per tutti e si stanno compiendo enormi sforzi per riuscire a inserire nuove
culture, tenendo conto delle esigenze, delle problematiche e delle
incompatibilità delle differenti comunità. L’obiettivo è rappresentato da uno
slogan semplice ed efficace: “Il mondo nella città, l’equilibrio in una società
multiculturale”. La Svezia, con una popolazione sempre più vecchia, ha bisogno
degli immigrati perché rappresentano una risorsa nel mercato del lavoro.
Ecco una frase di questo libro che mi ha colpito molto: “Ciò che
ha contraddistinto la Svezia rispetto ad altri Paesi è che le riforme sociali,
una volta varate, sono state accettate da tutti, anche da coloro che si erano
opposti fino a quel momento alla loro introduzione”. Per me la politica è
sempre stata concreta, costruttiva, efficiente. Non un cane che si morde la
coda. La cosa più importante è non perdere di vista il futuro, per il bene di
tutti, non solo per il bene del singolo individuo. Un’utopia? Io non credo.
Certamente nessuno è perfetto, ma finché si riconoscono le proprie debolezze,
c’è sempre spazio per i miglioramenti.
Sono orgogliosa di essere svedese, ma innamorata del mio Paese
d’adozione, l’Italia.
Mi sento... diversamente
Europea.