Inutile fare tanto i
seri. Come poter dimenticare le migliaia di ore della nostra vita passate – sia
da bambini che da adulti – a guardare cartoni animati? E come dimenticare
l’espressione di meraviglia dei nostri figli o nipoti per la prima volta alle prese
con un personaggio dei cartoon trasmesso in tv?
Ecco, Il cinema di cartone (animato), splendida
prova saggistica di Roberto Ormanni – un uomo di un metro e novanta, con
formazione giuridica e diverse direzioni di giornali all’attivo, che non ha mai
smesso di guardare (e di ammettere di farlo) i cartoni animati – è uno
splendido lavoro capace non solo di far ricordare a ciascuno di noi le
passioni e i sentimenti di quando eravamo bambini ma anche – con tono soffice e
rara competenza nel settore – di spiegare quali logiche, quali scelte, quali
investimenti, quali errori vi siano stati e vi siano nei più noti cartoni
animati della storia del cinema e della tv.Il primo cartone animato, del 1906,
porta la firma del fumettista Winsor McCay, che realizzò i quattro minuti della
dinosaura Gertie. All'origine del cartoon però c'è un brevetto,
registrato a Parigi: il Praxinoscope. L'inventore era Charles Émile
Reynaud, l'anno il 1877. Ma 14.000 anni prima, nelle grotte di Altamira, in
Spagna, un nostro antenato aveva disegnato sulla roccia 25 scene in successione
per ricostruire il movimento di una mandria di bisonti!
Steamboat Willie, in italiano Willie del vapore (novembre
1928), è il primo cartoon famoso (e sonoro) della storia e
segna il debutto di Topolino. Da allora i cartoon hanno fatto
progressi da gigante.
Da Topolino e Paperino a
Braccobaldo, Biancaneve, Betty Boop, Braccio di Ferro, passando per Wile Coyote
e Beep-beep, Tom e Jerry, Mazinga, Goldrake, Candy Candy, i Flintstones, i
Simpson, fino ai Puffi, l’Era Glaciale, Shrek, Cattivissimo me, Toy Story e
ai webtoon, quello di cui parliamo qui con Ormanni è il libro più
completo della storia sulla Storia, i personaggi, i retroscena, i miti e le
fortune dell’universo magico dei cartoni animati.
La prima domanda
che viene spontanea è: come mai un uomo di un metro e novanta ormai entrato
negli “anta” ha questa grande – e coltissima – passione per i cartoni animati?
Quali le origini di questo amore?
La verità è che non sono
mai riuscito a decidere cosa fare da grande. E così, intanto, continuo a
guardare cartoni animati e leggere fumetti nell’illusione di fermare il tempo
che, come è noto, nei cartoni non passa mai: sono vent’anni che Bart Simpson ha
dieci anni e sessanta che Charlie Brown ne ha otto e mezzo. Poi però mi sono
accorto che così rischiavo di avere un grande avvenire dietro le spalle, per
dirla con Flajano, e allora da quando, nel 1978, ho organizzato la prima mostra
internazionale del fumetto e del cinema d’animazione, ho cominciato a mettere
insieme una parola dopo l’altra fino a ritrovarmi, oggi, con un libro...
Qual è il cartone
animato che, in qualche modo, senti ti abbia un po’ segnato, in positivo o in
negativo, come ragazzo e poi come uomo?
A proposito di “segni”, o
di rivelazioni, aggiungerei ai cartoni che mi hanno segnato anche le
trasmissioni dedicate al cartoon: “Gli Eroi di Cartone”, il
programma che nel 1970, per la prima volta, Rai Uno – che allora si chiamava “Programma
Nazionale” – mandò in onda con la sigla e la conduzione di Lucio Dalla, resta
un pensiero costante tutti i giorni della mia vita! E poi “Gulp”, la prima
versione, nel 1972 – per il “Secondo Canale”, in dodici puntate – del programma
di Guido De Maria e Giancarlo Governi che ritornò in onda come “SuperGulp” nel
1977: una tappa fondamentale della storia dei cartoni animati in Tv per la
quale il grande Bonvi creò l’insuperabile personaggio di Nick Carter. Venendo
ai cartoni... positivi, potrei citare titoli della Disney, o della Marvel, o
della Warner come Gatto Silvestro e Wile Coyote. Ma in fondo al mio cuore ci
sono tre cose: Mister Magoo, l’ungherese Gustavo e la genialità surreale della
Linea di Osvaldo Cavandoli che, creato per fare pubblicità alle pentole di
Massimo Lagostina, è entrato nella storia passando dal palcoscenico di
Carosello. In negativo... non me ne vogliano i fans, che pure ci sono:
L’Apemaia!
Nel tuo libro
passi in rassegna, con uno stile trascinante, praticamente ogni singolo cartone
animato partorito a oggi da mente umana: ma li hai davvero visti tutti o
qualcosa te la sei risparmiata?
Se non li avessi visti
tutti come avrei fatto a non trovare mai il tempo per decidere cosa fare da
grande? Scherzi a parte, la realtà è ancora più tragica: prima li ho visti al
cinema o in televisione, e poi anche in cassetta o dvd. Mia figlia è stata
costretta a riservare metà dello spazio della sua stanza ai miei dvd. E deve
pure rimetterli in ordine dopo averli rivisti...
A che punto è la
scuola italiana del cartone animato?
Non dimentichiamo che il
primo lungometraggio animato della storia, nel 1916, venne realizzato e
prodotto da due italiani. Ma in Argentina. La scuola italiana ha sempre avuto e
ha ancora oggi buone idee, un’ottima capacità innovativa e una discreta
professionalità. Le idee si scontrano e vengono sopraffatte da un mercato
produttivo che si appiattisce sulle mode, la professionalità è spesso
mortificata dai budget ristretti che preferiscono rivolgersi agli animatori
coreani. Questo accade quando lavora per la televisione. Quando si impegna nel
cinema – molto di rado, visto che le produzioni in Italia sono state dodici in
settant’anni – talvolta dimentica che il ritmo della narrazione è un
ingrediente fondamentale. Morale: le case di produzione di tutto il mondo sono
piene di italiani e alla fuga dei cervelli si è aggiunto l’esodo delle matite!
Abbiamo da
imparare dagli statunitensi o abbiamo qualcosa da insegnare loro?
A qualcuno degli
sceneggiatori un po’ di lezioni private non farebbero male. Per il resto, più
che i disegnatori e gli animatori, sono i produttori italiani che dovrebbero
imparare qualcosa dagli statunitensi. Anzi, l’ideale sarebbe comprare qualche
produttore straniero. In fondo, se lo facciamo con i calciatori per vincere il
campionato, perché non farlo anche nel cinema d’animazione per scalare le
classifiche?
Parliamo dei
giapponesi: hanno segnato – a volte con robaccia, altre con ottime intuizioni,
magari disegnate un po’ “così così” – quelli che guardavano pervicacemente la
tv negli anni Settanta. Oggi il cartone animato giapponese è in recessione o dà
segni di vita?
È decisamente migliorato
negli ultimi anni. Gli esempi dei grandi maestri come Myazaki e Tezuka sono
poco alla volta riusciti a fare breccia nella melassa della produzione
televisiva e il cinema d’animazione giapponese ritorna sempre più spesso nelle
sale con buoni film e grande successo.
Tra i nuovi
cartoni per il cinema, ho adorato “L’era glaciale” e il mitico scoiattolo
Scrat. Che ne pensi dei tre “L’era glaciale” (col quarto in arrivo – su Youtube
c’è un’anticipazione strepitosa delle avventure di Scrat!) e, secondo te, è
questa la miscela giusta per un cartone animato di successo o dobbiamo
aspettarci ulteriori passi in avanti?
Sembrerò un... bastian
contrario ma gli ulteriori passi in avanti li giudico indispensabili. Mi
spiego: non c’è dubbio che il modello “Era glaciale”, così come il modello
“Shrek”, abbiano segnato la scoperta di un nuovo mondo. Fatto di ironia e
autoironia, satira sociale e anche politica, ma negli ultimi tempi si tende a
essere un po’ autoreferenziali, un po’ troppo compiaciuti, tanto da citare se
stessi. E questo non è mai un bene...
Personalmente non
sopporto molto “cover” e “remake”, nella musica come nel cinema. Prodotti per
il grande pubblico come “Garfield” o i “Puffi” o come il nuovissimo “Tin Tin”
di Spielberg quale impressione ti lasciano?
L’impressione che c’è
sempre qualcuno che tenta di guadagnare con le idee degli altri o, per dirla
diversamente, riscaldando la minestra del giorno prima credendo che sia
sufficiente aggiungere un condimento nuovo fatto di effetti speciali, 3D e
computer generated imagery. Nonostante la storia insegni che il bel gioco dura
poco, non riusciremo mai a liberarci di quelli che ci provano. Il punto è che,
grazie al marketing, nel portafoglio resta comunque qualcosa...
Dopo i primi tre
minuti de “I Puffi” già non sopportavo più né i protagonisti blu né quelli in
carne e ossa. A te che impressione ha fatto questa pellicola?
È come lo show del sabato
in prima serata: coreografie scintillanti, musiche da filarmonica, effetti
speciali, ospiti d’eccezione e contenuti stiracchiati, come sempre accade
quando si prendono personaggi pensati per interpretare storie da dodici minuti
e li si piazzano sulla scena per un’ora e venti.
Torniamo al
libro. Io l’ho trovato geniale e scritto benissimo, però posso essere
considerato di parte. Da autore, trovami tre ottime ragioni per comprarlo e una
per non farlo.
Sei certamente di parte!
Però se 1) si è curiosi di sapere perché un giorno qualcuno ha pensato di far
muovere un disegno; 2) perché questo sogno si è realizzato e invece a Icaro
andò molto peggio; 3) come fare ad avere in poco spazio qualcosa che ti permetta
di recuperare alcuni dei ricordi più sorridenti della tua vita, allora bisogna
comprarlo, questo libro. Mentre un’ottima ragione per non farlo è che lo ha
scritto un ex ragazzino che di mestiere non fa il critico cinematografico, che
non insegna all’Università e che si è lasciato guidare da emozioni e simpatie.
Continuerai a
vedere cartoni animati fino ai cento anni o prima o poi cambierai genere?
A 98 anni mi dedicherò
alla lirica. Cominciando da “Magical Mastro”, il cartoon del 1952 dove Bugs
Bunny boicotta l’esibizione del tenore che si esibisce al Metropolitan e
proponendo alla direzione artistica della Scala di chiudere ogni spettacolo con
la scritta: “Questo è tutto, gente!”.
Grazie!