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lunedì 18 luglio 2016

18 luglio, Mandela Day

L’assemblea delle Nazioni Unite ha stabilito che il 18 luglio di ogni anno venga celebrato il “Mandela Day” per ricordare il fondamentale contributo dato alla lotta antiapartheid e alla realizzazione degli ideali di libertà dal leader sudafricano, già premio Nobel per la pace nel 1993. Mandela è stato il primo Presidente nero del Sudafrica, ha guidato la lotta contro il regime segregazionista e gettato le fondamenta per un Sudafrica libero, democratico e multirazziale.
Ogni anno, in questa giornata, le Nazioni Unite invitano tutti a dedicare 67 minuti agli altri, ciò che fece Mandela per 67 anni della sua vita, a servizio dell’umanità.
Festeggiamo il “Mandela Day” con il libro SUDAFRICA IN BIANCO E NERO di Marco Buemi (prefazione di Nicola Zingaretti – introduzione di padre Giulio Albanese).

Lo sport ha da sempre scandito, come poche altre cose, gli eventi, le divisioni e le riconciliazioni della nostra storia. Non fa certo eccezione il Sudafrica, come ricorda Marco Buemi, dove la maglia verde degli Springboks, la naziona­le di rugby, era considerata uno dei più odiosi simboli del regime di divisione imposto dall’apartheid, almeno fino a quando Nelson Mandela non ha saputo farne uno stru­mento di unità nazionale.
A Robben Island, dove lo sport fu incluso tra le prime timide concessioni ai detenuti, la palla ovale venne imposta a rotazione settimanale col calcio.
Fu Mandela, padre del nuovo Sudafrica, con il suo solito coraggio e la sua lungi­miranza, a decidere che proprio il rugby poteva essere l’emblema della riconciliazione nazionale. Fu lui a volere che nel 1995 il Sudafrica ospitasse i mondiali di rugby, e fu sempre lui a vincere una delle più grandi sfide diplomatiche interne: fare in modo che quell’anno i neri tifassero per la prima volta per la squadra dei bianchi.
La fine dell’apartheid passa per le mani di “Mandiba” ma anche per le gambe di Chester Williams, il primo giocatore coloured a vestire – per ragioni molto più politiche che sportive – il verde dei bokke e che segnò le quattro mete alla Francia che portarono gli Springboks in finale contro la squadra più forte del mondo, la Nuova Zelanda. La fine dell’apartheid, per lo meno di quello sportivo, passa anche per il cuore di Francois Pineaar, il più che mai afrikaneer capitano della compagine sudafricana che, dopo aver conosciuto Mandela, trasmise ai suoi compagni di squadra la convinzione che si stesse giocando più di un mondiale.

Il giorno della finale, Mandela stupì tutti indossando la maglia che era stata il simbo­lo dell’apartheid col numero sei di Pineaar, in uno stadio dove il pubblico, per la quasi totalità bianco, gridava il nome di Mandela e intonava Shosholoza (inno morale dei minatori neri). Il Sudafrica libero e democratico vinse il mondiale facendo esplodere la gioia negli stadi e nelle township. Quando Mandela consegnò nelle mani di Pineaar la Webb Ellis Cup, entrambi indossavano la maglia verde degli Springboks con il numero sei.