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venerdì 1 luglio 2016

Guerra in Slovenia, il 1 luglio 1991

1° luglio – Un carico di munizioni della Jna a Črni Vrh–Montenero d’I­dria è distrutto da un’esplosione, danneggiando parte del paese. Una co­lonna della Jna si ritira dalla posizione troppo esposta di Medvedjek e si dirige vicino al confine croato. Incappa in un blocco vicino a Krško ed è circondata, ma rifiuta di arrendersi, probabilmente sperando nell’aiuto di una colonna di soccorso.
Il ministro della Difesa Kadijević informa il governo federale che il piano della Jna, un’operazione limitata a controllare i punti di confine della Slove­nia, è fallito. È il momento di mettere in atto il “piano B”: un’invasione su ampia scala, la proclamazione della legge marziale e l’arresto di tutti i dirigenti sloveni. Jović pone il veto al “piano B”, affermando: “Mi è chiaro che la Slove­nia se ne va ed è inutile scatenare una guerra. Ci resta una sola cosa da fare, di­fendere i territori abitati dai serbi di Croazia, che vogliono restare in Jugoslavia”.
Il capo di Stato maggiore della Jna, generale Adžić, è furioso e dichiara: “Gli organi federali ci ostacolano di continuo, richiedendo dei negoziati mentre gli sloveni ci stanno attaccando con tutti i mezzi”. L’esercito registra defezioni a migliaia, ognuno rientra nelle rispettive repubbliche, la Narodna armija sembra allo sbando, sconfitta sul suo campo fondante: la multietnicità.
Grazie alla mediazione della trojka Cee, il croato Mesić diventa presidente della Federazione jugoslava. La Jna dovrebbe rientrare nelle caserme, i pri­gionieri rilasciati, le frontiere riaperte, ma nessuno si fida dell’altro.

Appello del Gruppo di donne di Belgrado contro la guerra in Slovenia: chiedono che l’esercito federale si ritiri immediatamente e i soldati tornino a casa. Genitori, per la maggior parte madri, dei soldati di leva dell’Armata federale invadono il parlamento a Belgrado per protesta contro la mobilita­zione dei figli, contro una guerra fratricida e per il ritorno dei loro figli che prestano servizio in Slovenia.