1°
luglio –
Un carico di munizioni della Jna a Črni Vrh–Montenero d’Idria è distrutto da
un’esplosione, danneggiando parte del paese. Una colonna della Jna si ritira
dalla posizione troppo esposta di Medvedjek e si dirige vicino al confine
croato. Incappa in un blocco vicino a Krško ed è circondata, ma rifiuta di
arrendersi, probabilmente sperando nell’aiuto di una colonna di soccorso.
Il ministro della Difesa Kadijević
informa il governo federale che il piano della Jna, un’operazione limitata a
controllare i punti di confine della Slovenia, è fallito. È il momento di
mettere in atto il “piano B”: un’invasione su ampia scala, la proclamazione
della legge marziale e l’arresto di tutti i dirigenti sloveni. Jović pone il
veto al “piano B”, affermando: “Mi è chiaro che la Slovenia se ne va ed è
inutile scatenare una guerra. Ci resta una sola cosa da fare, difendere i
territori abitati dai serbi di Croazia, che vogliono restare in Jugoslavia”.
Il capo di Stato maggiore della Jna,
generale Adžić, è furioso e dichiara: “Gli organi federali ci ostacolano di
continuo, richiedendo dei negoziati mentre gli sloveni ci stanno attaccando con
tutti i mezzi”. L’esercito registra defezioni a migliaia, ognuno rientra
nelle rispettive repubbliche, la Narodna armija sembra allo sbando,
sconfitta sul suo campo fondante: la multietnicità.
Grazie alla mediazione della trojka
Cee, il croato Mesić diventa presidente della Federazione jugoslava. La Jna
dovrebbe rientrare nelle caserme, i prigionieri rilasciati, le frontiere
riaperte, ma nessuno si fida dell’altro.
Appello del Gruppo di donne di Belgrado contro la guerra in
Slovenia: chiedono che l’esercito federale si ritiri immediatamente e i soldati
tornino a casa. Genitori, per la maggior parte madri, dei soldati di leva
dell’Armata federale invadono il parlamento a Belgrado per protesta contro la
mobilitazione dei figli, contro una guerra fratricida e per il ritorno dei
loro figli che prestano servizio in Slovenia.