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domenica 26 aprile 2015

Chernobyl, 26 aprile 1986: il reportage "Giardino atomico" di Emanuela Zuccalà su Donna Moderna

 Giardino atomico. Ritorno a Chernobyl, lo stupendo reportage in formato ebook di Emanuela Zuccalà sul più grande incidente nucleare della storia, e sulle sue conseguenze più che mai attuali, è stato recensito dalla giornalista Monica Triglia su Donna Moderna.Ecco il link per leggere l'articolo.

Due trampolini intatti, appollaiati come avvoltoi sopra le macerie di una piscina circondata da orme di cinghiale. L’hotel Polissaya, la Casa della cultura, l’involucro minimalista di un ristorante dall’insegna solenne. Carcasse di una vita che oggi è arduo tentare d’immaginare, camminando lungo le strade mute dal tracciato ormai indistinto, tra gli edifici logori e le erbacce invadenti.
Il gelo del febbraio ucraino rapprende le sensazioni e lo stupore in un cristallo di tempo.
Pripyat è l’archetipo della città fantasma. Fu costruita nel 1970 per alloggiare i lavoratori della centrale nucleare di Chernobyl insieme con le loro famiglie. Quarantaseimila persone che vennero caricate su pullman da turismo soltanto trentasei ore dopo la catastrofe del 26 aprile 1986. Qualcuno appese alla porta di casa un cartello con scritto: «Visitatore, non rubare i nostri oggetti. Torneremo».
Nessuno è più tornato.

Pripyat restituisce alla perfezione il significato della parola annullamento. La sua irreversibile desolazione è un ritratto limpido di ogni mondo post-atomico, senza contraddizioni né margini d’interpretazione. In questa sua terribile chiarezza, la città morta è identica a Kirov, a Dubovy Log, a Khomjenki, il villaggio di Galina Mokanu che mi ha offerto salame piccante fatto in casa con la carne dei suoi maiali radioattivi, e io non ho potuto rifiutare di assaggiarlo. In realtà non ho voluto rifiutare, per una ragione alla quale in quell’attimo ho ritenuto di dare più importanza che alla paura: gentilezza verso di lei. Verso una donna malata nel corpo e nell’anima poiché incolpevolmente ignara. I denti rovinati e il fazzoletto in testa. Che per potersi permettere il sogno di una vita decente, ha dovuto andare ad abitare dentro un giardino atomico”. (Emanuela Zuccalà)