Il
Tribunale di Sarajevo ha assolto, con non poca sorpresa generale, l’ex
comandante paramilitare della difesa di Srebrenica durante l’assedio serbo-bosniaco,
il musulmano bosniaco Naser Orić, dall’accusa di crimini di guerra contro
civili in merito all’omicidio, nel 1992, di tre civili serbo-bosniaci in tre
villaggi siti nei dintorni di Srebrenica. Si tratta dell’ennesima assoluzione
inanellata da Orić nell’ambito dei processi intentati ai suoi danni in merito
alle violenze perpetrate nel 1992 contro civili serbo-bosniaci da parte di
squadre paramilitari musulmano bosniache, dopo che la prima aggressione
serbo-bosniaca a Srebrenica era stata respinta e i musulmani bosniaci avevano
ripreso il controllo della città, sostenendo un assedio che sarebbe durato fino
al luglio del 1995 e si sarebbe concluso con l’omicidio a sangue freddo di
10.701 maschi musulmano bosniaci di età compresa dai 12 ai 76 anni, nella
totale indifferenza dei caschi blu olandesi dell’Onu presenti in loco.
Dura
la reazione del presidente serbo Aleksandar Vučić, secondo cui “le vite dei
serbi evidentemente non valgono quanto quelle degli altri”. Una reazione
scomposta e priva di visione da parte di un presunto ultranazionalista
“pentito” e passato al campo moderato, che qualcuno già considera un punto di
riferimento per la stabilità della martoriata regione balcanica. Alimentare il
senso di persecuzione del bacino elettorale nazionalista serbo può essere
positivo per il futuro politico di Vučić ma non certo per i già problematici
equilibri dell’area. Come al solito distruttiva la reazione del presidente
serbo-bosniaco Milorad Dodik, da mesi in difficoltà politica e quindi deciso a
entrare a gamba tesa appena possibile pur di recuperare un po’ di credito
politico e prolungare la sua permanenza sulla poltrona del potere. Dodik ha
invitato tutti i serbi a lasciare le istituzioni statali bosniache, ponendosi
di fatto una volta di più in continuità con le decisioni politiche del
criminale di guerra Radovan Karadžić, condannato lo scorso anno dal Tribunale
de L’Aja a quarant’anni di carcere. Eccessiva anche la reazione delle donne di
Srebrenica, che hanno applaudito e abbracciato Orić, che loro considerano un
eroe di guerra ma il cui operato – e quello dei suoi luogotenenti – a
Srebrenica è ancora oggi pieno d’ombre e meriterebbe un vaglio più approfondito
sia da parte della giustizia che da parte degli storici.
In
ogni caso – e questo è un dato di fatto – sembra non esserci mai pace in Bosnia
né per i vivi né per i morti.