Raccogliamo i pensieri, i ricordi e le
suggestioni dedicati al ventennale del genocidio di Srebrenica che abbiamo
pubblicato durante questa settimana.
Le
responsabilità e la giustizia
Sulla piena responsabilità di Ratko Mladić
nel genocidio di Srebrenica non ci sono attenuanti, ma il processo contro l’ex
generale potrà fare luce sulla verità e chiarire eventuali corresponsabilità di
quella che è e rimarrà per sempre una delle pagine più drammatiche dei fatti
criminali nella moderna e democratica Europa. Giustizia per le vittime, i
sopravvissuti e ancora, come a Norimberga, perché non si ripeta mai più, never again.
Carla
Del Ponte
Magistrato, diplomatico,
ex Procuratore Capo del Tribunale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia
ex Procuratore Capo del Tribunale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia
Passano
gli anni, rimangono i problemi
Sono
passati tanti anni ormai, ma non uno dei problemi della guerra del 1992-1995 è
stato risolto. Il potenziale incendiario dell’area è rimasto intatto. Ma il
peggio è che non abbiamo risposto a nessuna delle domande scomode sulle nostre
responsabilità in quel conflitto nel cortile di casa nostra. Srebrenica è il
monumento a questa rimozione interessata. Perché la Nato non è intervenuta?
Perché le Nazioni Unite sono scomparse dalla zona di operazioni? A cosa è
servito riedificare in pompa magna
Srebrenica e ricostruire il ponte di Mostar se i Balcani sono scomparsi dalle
agende della politica? Che speranza possiamo promettere a questa gente se non
riusciamo a punire i colpevoli? Che democrazia, che sviluppo può rinascere in
assenza di giustizia?
Paolo Rumiz
L’incontro delle memorie a Srebrenica
Giunta a
Srebrenica, la mia prima sorpresa è stato l’odore di morte. Ho avuto
l’impressione di sentire la fossa
comune allo stesso modo di quando ne apriamo una in Rwanda. Forse è perché
sapevo quanto vi era accaduto. La notte non sono riuscita, senza una ragione, a
dormire.
Una situazione
strana. Nessun ragazzo gioca nelle strade di Srebrenica nonostante ci sia un
tempo splendido.
Nel 1995 sono
stati uccisi tutti gli uomini e i ragazzi musulmani dai 12 anni in su. Alcuni
sopravvissuti non sono più ritornati. Dovunque ci sono rovine come nel Rwanda
proprio dopo il genocidio.
La sofferenza
non ha altro colore di pelle che il suo.
La sofferenza non ha altra lingua che la sua.
La sofferenza non ha altra lingua che la sua.
Quando ho
incontrato le madri di Srebrenica, ho visto il loro dolore, ho visto il mio
attraverso i loro occhi disperati: noi abbiamo comunicato così! Loro parlano
bosniaco e io parlo francese. Abbiamo pianto insieme. Abbiamo condiviso la
nostra sofferenza, le nostre ferite e ci siamo subito capite.
Mi pongo domande
in modo ancora più forte di quanto me le ponga sul Rwanda. Nel Rwanda esiste un
abbozzo di giustizia. Non è tutto perfetto. Ma almeno le forze che hanno
pianificato il genocidio non governano più nel Rwanda. Anche se lo Stato è originariamente
responsabile del genocidio, ora non è più governato dagli stessi individui che
ho visto brandire armi da fuoco e machete, né la stessa ideologia di allora dirige
il Paese. Il nuovo governo del Rwanda ha richiesto un tribunale penale
internazionale e l’Onu l’ha istituito. Questo tribunale ha almeno il merito di
esistere, anche se non mi soddisfa, ma i carnefici non dormono tranquilli là
dove si sono sottratti alla giustizia, fuggendo attraverso il mondo. Hanno
cambiato talvolta i loro nomi e le loro identità per camuffarsi. C’è però una
giustizia da qualche parte, anche se ciò non serve a niente a noi, alle
vittime.
A Srebrenica è
differente. Dalle testimonianze risulta la prova che il Potere pensava di
massacrare i musulmani fino all’ultimo. Ma alcune vittime sono riuscite a
fuggire fino a Tuzla. È per questo che io do ragione ai miei antenati che hanno
detto: ”Nessuno può sterminare un popolo”.
Vi è sempre qualche sopravvissuto (Ntabapfira
gushira).
Almeno in Rwanda
abbiamo una forza positiva che ha fermato il genocidio, ma questo non è
successo a Srebrenica. Ho appreso che alcune vittime che sono sopravvissute
hanno trascorso sei mesi nella foresta senza rendersi conto che i massacri
erano cessati. Hanno continuato a fuggire affamate e assetate.
Da noi durante
il genocidio, anche se i caschi blu dell’Onu non hanno fatto niente per
arrestare i massacri, non ci hanno fatto del male prima dell’arrivo della missione umanitaria francese. A
Srebrenica è stato ancora differente. I caschi blu avrebbero violentato le
donne che si erano rifugiate da loro. Per me, è fuggire la morte verso la
morte! I caschi blu avrebbero dato le armi al potere sterminatore!
Non capisco
perché nessuno vuole ricostruire Srebrenica.
Non capisco
perché nessuno fa giustizia nei confronti di un crimine di genocidio riconosciuto
dalla giustizia internazionale. Dopo un simile crimine le potenze non vogliono
che la giustizia sia fatta, ma quando si verificano gli tsunami tutti si precipitano
perché questi non pongono il problema delle responsabilità umane.
Quale
disperazione per le vittime vedere che il potere, che ha pianificato ed
eseguito i massacri dei musulmani di Srebrenica, è lo stesso che governa ancora
e che dovrebbe rendere loro giustizia!
Impensabile, inimmaginabile,
disgustoso!
E ogni pretesto
è buono per colpire l’Afghanistan, l’Iraq, presto si colpirà l’Iran e, ancora
come al solito, i piccoli pagheranno per i grandi.
Yolande Mukagasana
sopravvissuta al genocidio in Rwanda
sopravvissuta al genocidio in Rwanda
Per una strana coincidenza della storia il 2015 vede la commemorazione del centenario del genocidio armeno e del ventennale di quello di Srebrenica. Per entrambi i casi la lezione della storia dovrebbe essere accettata e condivisa ma purtroppo in entrambi i casi le autorità dei Paesi coinvolti negano l'evidenza e le sentenze delle corti internazionali giocando pericolosamente con i fatti. È singolare constatare le analogie della reazione del primo ministro turco Davoutoglu nei confronti dello sterminio armeno e di quello serbo Vucic nei confronti dello sterminio della cittadina bosniaca. Entrambi hanno espresso solidarietà, pietà e rispetto per le vittime ma entrambi hanno respinto con forza ogni accusa di genocidio. Eppure in entrambi i casi gli Stati sul banco degli imputati, l'impero ottomano e la Jugoslavia, non esistono più. Dovrebbe essere quindi più semplice liberarsi del passato ingombrante scaricando su altri le colpe ma così non è. L'ossessione nazionalista non ammette colpe. In nome e per conto del mito delle nazioni e dell'identità dei popoli si costruiscono ideologie, si pianificano massacri e si sviluppano le carriere dei leader. Il nazionalismo è merce facile da vendere in campagna elettorale. Prima o poi, però, bisogna fare i conti con la storia. Fare i conti con la storia è un passaggio fondamentale per la coscienza di ogni Paese. Per non dimenticare e fare tesoro degli errori del passato riconoscendo i torti degli uni e le ragioni degli altri.
Paolo
Bergamaschi
Il
buio oltre la siepe
A Srebrenica oltre
la siepe c’è il grande buio che alberga nel cuore delle donne che non hanno
ancora rielaborato la loro tragedia, in quanto è estremamente difficile
convivere nella stessa zona, e spesso nella stessa strada, con i massacratori
dei propri mariti e dei figli. Non si può accettare di vivere a contatto,
attimo per attimo, con i criminali che hanno ammazzato la loro ragione di vita
o che sono gli autori degli stupri. A Srebrenica
non è ancora iniziata la lunga fase della rielaborazione del lutto
perché in moltissimi casi non c’è una tomba su cui piangere per la precisa
volontà dei serbo-bosniaci di disperdere i resti delle fosse comuni in una
miriade di altre fosse, rendendo impossibile il riconoscimento utilizzando la
provata prassi nazista di occultare le prove.
Angelo Lallo
scrittore, storico
scrittore, storico