Benedetta, è una giovane donna, bellissima
moglie e mamma di un bimbo dolcissimo. Sempre curata ed elegante nel vestirsi.
Rende felice suo marito, Luca, e si prende cura del piccolo Mattia. Un giorno,
però, tutto cambia. Non esce più di casa, fuma una sigaretta dietro l’altra,
non si vuole più bene. Trascura Mattia trascinandolo con sé in lunghe notti al
freddo, spiando di nascosto il marito, oppure passa tutta la giornata immobile
sul divano, inerte, piangendo.
Paola è un’assistente sociale. Un giorno
arriva nel suo ufficio una segnalazione che non può ignorare e, nella notte, riceve
questo messaggio: “Tieniti pronta, vado
a prendere il piccolo…”.
Mi
chiamo Beba,
di Palma Lavecchia, capitano dei Carabinieri, è la storia di una donna,
Benedetta, di violenze, di famiglie a pezzi e di figli che non vivono la loro
età dell’innocenza. Ma se i media,
nella realtà, ci raccontano sempre la stessa vicenda, con un triste epilogo che
sfocia nella cronaca nera, in questo romanzo possiamo sperare in un lieto fine e
dare forza e fiducia alle donne dicendo loro che l’amore per i figli, e per se
stesse, possono salvare la vita e dare la possibilità di ricominciare. Con un
nuovo spirito, e un nuovo nome. Beba.
“Un terribile proverbio ispanoamericano
recita: más te pego, más te quiero,
ossia più ti picchio, più ti amo. Una frase paradossale che rivela un inconscio
fantasma di violenza all’interno della coppia, basata sull’umiliazione”.
(Alessandro Meluzzi)