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domenica 5 luglio 2015

Il genocidio di Srebrenica, una riflessione di Riccardo Noury di Amnesty International

Srebrenica, l’11 luglio del 1995. Oltre diecimila maschi tra i 12 e i 76 anni vengono catturati, torturati, uccisi e inumati in fosse di massa. Stesso destino hanno alcune giovani donne abusate dalla soldataglia. Le vittime sono bosniaci musulmani, da oltre tre anni assediati dalle forze ultranazionaliste serbo-bosniache agli ordini di Ratko Mladić e dai paramilitari serbi.
Vent’anni dopo Riccardo Noury e Luca Leone entrano con Srebrenica. La giustizia negata nel buco nero della guerra e del dopoguerra bosniaco e nel vuoto totale di giustizia che ha seguito il genocidio di Srebrenica, una delle pagine più nere della storia europea del Novecento e sicuramente la peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale.
Pubblichiamo un estratto tratto dal libro di Riccardo Noury e Luca Leone che fornisce una chiave di lettura dei fatti di allora. Il testo è liberamente utilizzabile dalla stampa citando la fonte © Infinito edizioni – 2015.

“C’è un’altra ragione che spiega il distacco emotivo da Srebrenica, il ridimensionamento del genocidio a un fatto non eccezionale e controverso di guerra. Quella ragione è il modo in cui oggi vediamo l’Islam.
All’inizio degli anni Novanta, l’Islam non era ancora il “nemico”. Non lo era più il comunismo. Erano anni in cui identificare vittime e carnefici era chiaro e non c’era bisogno di contaminare i senti­menti con le fobie.
L’islamofobia era prevalentemente confinata all’interno di gruppi religiosi tradizionalisti. Sarajevo era la città perfetta, in cui quattro religioni monoteistiche convivevano. Era la Gerusalemme realizza­ta, mentre lì partiva la seconda intifada.
L’11 settembre 2001 è stato lo spartiacque. Da quel giorno, ogni ragionamento su una religione praticata da circa un miliardo e mezzo di persone nel mondo è stato raso al suolo in nome della sua identificazione, del suo schiacciamento sulle azioni di gruppi che all’Islam si richiamano: i talebani, la rete del terrore qaedista, e via via i ribelli libici, i Fratelli musulmani, il Fronte al-Nusra, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante e ora lo Stato islamico tour court.
L’Europa si è fatta divorare dall’islamofobia, col contributo nient’affatto trascurabile di criminali efferati, come quelli che a Parigi “per vendicare il profeta” hanno compiuto una strage il 7 gen­naio 2015 nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo, replicata il giorno dopo in un supermercato kosher.
Resta il fatto che un velo, un kebab, una moschea, una barba sono diventati il bersaglio delle leggi, dello stigma, del sospetto. A Sarajevo si è iniziata a vedere qualche donna velata. In nome dell’i­slamofobia, si è rimesso tutto in discussione. Come per certe per­sone era meglio Bashar el-Assad rispetto all’Isis, era meglio Mladić rispetto ai musulmani bosniaci.
L’elenco infinito degli uccisi di Srebrenica è stato riletto con que­sta filigrana fobica, e via via quegli uomini, quei ragazzi, sono di­ventati sempre meno europei, sempre meno slavi, sempre meno bosniaci e sempre più musulmani.”