Oscar De Pellegrin ha 21 anni quando la vita gli
presenta un conto pesante: un gravissimo incidente sul lavoro gli fa perdere l’uso
delle gambe. Seguono pesanti momenti di sconforto e apatia e proprio durante
uno di questi Oscar incontra una persona che con il suo carisma gli permetterà
di riprendere in mano la sua vita, fino ad arrivare a raccogliere le soddisfazioni
più alte, personali e sportive.
In questo breve estratto dalla biografia di Oscar De
Pellegri, scritta insieme a Marco D’Incà e Francesca Mussoi dal titolo Ho fatto
centro, il racconto di quel pomeriggio.
“Dalla
porta entrò un uomo, mai visto prima. Camminava con le stampelle e i tutori
alle gambe. Appena entrato in camera, si appoggiò alla testiera del mio letto.
Con
voce laconica e impietosa, mi rimproverò: «Cosa fai a letto? Sono le tre del
pomeriggio, alzati e fa’ qualcosa di utile».
Mi
ordinò di mettere a scaldare un pentolino d’acqua per farci un tè caldo.
«Farai
un servizio a te stesso e a me. E soprattutto alla tua mamma, che sta lavorando
fuori».
Mi
sentivo disarmato di fronte a tanta sicurezza. Non potevo più giustificare la
totale inattività con il mio stato. Dovevo agire. E in fretta.
Quell’uomo
era Renzo Colle. Aveva partecipato alle Paralimpiadi di Tel Aviv, nel 1968. Era
rimasto per anni a Roma e, una volta tornato a Belluno, insieme a Stefano Mattei,
aveva fondato l’ASI, l’associazione finalizzata a promuovere lo sport
paralimpico. Ma ancora non lo sapevo.
Da
quel momento, scattò una molla. Pensavo meno e mi rendevo utile in casa, con
mia madre. Mi cimentavo ai fornelli. Qualcosa in me stava cambiando.
Iniziavo
a conoscere il nuovo Oscar, con meno riluttanza.
Poi,
un giorno, passò un amico che vendeva macchine da maglieria. E mi si accese una
lampadina: «Ne compro una». È così che iniziai a confezionare calzini, maglioni
e giacche. Ero pure bravino e credo che ogni abitante di Sopracroda possieda
qualche cimelio realizzato da me. Sembra strano, ma il mio essere campione nello
sport è passato attraverso questi step. Mi hanno aiutato a sentirmi utile, a capire che c’era
una parte ancora pulsante. Le mie braccia, in fondo, non erano paralizzate. E
nemmeno il cuore o la mente.”