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venerdì 12 gennaio 2018

Haiti, otto anni dopo il terremoto

Bois Caiman, 22 agosto 1791: il sacerdote vudù Boukman lancia la rivolta degli schiavi, che porta alla nascita del primo Paese “nero” indipendente del mondo.
Port-au-Prince, 12 gennaio 2010: in 35 secondi un terremoto di magnitudo 7 devasta Haiti, causando un numero elevatissimo di vittime. La natura negli anni successivi continua ad accanirsi sull’isola di Hipaniola: nell’ottobre 2016, l’uragano Matthew, di categoria cinque, provoca 603 vittime, delle quali 546 ad Haiti. Non basta ancora, nel settembre 2017 un altro uragano, Irma, anch’esso di categoria cinque, provoca effetti devastanti sull’intera area caraibica. Così, a Port-au-Prince, come anche nelle aree più interne del Paese, i quasi undici milioni di haitiani vivono una perenne crisi umanitaria che rende il piccolo Paese il più povero delle Americhe. I dati dicono che più della metà della popolazione vive con meno di 2,4 dollari al giorno e un quarto della popolazione vive sotto la soglia di povertà estrema con solo 1,2 dollari al giorno. I ripetuti disastri ambientali hanno messo in ginocchio il fragile sistema agricolo nazionale; risulta difficile trovare il cibo per l’alimentazione di base e metà della popolazione non ha accesso all’acqua potabile. In queste condizioni, tra emergenza abitativa, malnutrizione e carenza di pratiche igieniche, un bambino su dieci non arriva a compiere 5 anni.

Marco Bello e Alessandro Demarchi in Haiti. L’innocenza violata raccontano che cosa è rimasto dei movimenti sociali nell’isola dopo il terremoto, evidenziando il pesante ruolo di ingerenza e controllo che ha la comunità internazionale, particolarmente gli Stati Uniti che sulla base del piano denominato TPS (Temporary Protected Status, creato nel 1990) stanno fornendo ospitalità straordinaria ai rifugiati ambientali fuggiti da Haiti. Solo qualche settimana fa però l’amministrazione Trump ha annunciato la fine del piano di protezione e, entro il 22 luglio 2019, il rimpatrio di quasi 60.000 haitiani attualmente residenti negli USA, adducendo che ad Haiti non esistono più le gravi e straordinarie condizioni venutesi a creare con il terremoto.