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giovedì 28 giugno 2012

I forti legami tra Italia e Paesi dell’ex Cortina di ferro secondo Federico Ghizzoni (Unicredit) in “Me ne vado a Est” di Matteo Ferrazzi e Matteo Tacconi

Me ne vado a Est, ne sono certo, rappresenterà per imprenditori, la­voratori e cittadini italiani uno strumento con cui riscoprire le loro esperienze oltrecortina, fatte di viaggi, nuove idee, avventure imprendito­riali e, talvolta, delusioni (anche questo dopotutto può capitare). Aiuterà a interpretare l’Europa centro-orientale e balcanica, ma al contempo anche i cambiamenti in atto nell’economia italiana e in particolare nel nostro tessuto produttivo. Magari potrà anche invogliare a mettersi in gioco e guardare oltrefrontiera.
Io ho vissuto per lungo tempo lontano dall’Italia, dove sono tornato a ri­siedere solo in anni recenti. La mia storia personale, legata alla banca che ora dirigo, mi ha portato per vent’anni in giro per il mondo, in continenti diver­si. In quest’arco di tempo ho avuto modo di conoscere da vicino la rapida e impressionante evoluzione anche dei Paesi di cui si parla in questo libro.
In ogni paese dell’Est dove ho viaggiato ho avuto modo di rapportarmi a cittadini e imprenditori italiani, attualmente intimoriti dalla crisi, ma comunque ancora attivi oltre frontiera. Alcune di queste persone vengono menzionate, con il loro bagaglio di professionalità e con i loro successi, in Me ne vado a Est. Ma attenzione: non si tratta di semplici biografie. Il vo­lume di Matteo Ferrazzi e Matteo Tacconi ha il pregio di inserire le storie di queste persone in un quadro che formalizza e certifica i mutamenti del­l’economia internazionale. Queste storie non vengono raccontate: non c’è, sul mercato, un volume del genere. In una qualunque libreria si trovano libri sulla Cina, sull’India, sul Brasile, sulla Russia. Mai, però, un testo che potesse darmi una visione complessiva sull’Europa dell’Est o che avesse il coraggio e la capacità di raccontare le storie di coloro che hanno varcato l’ex Cortina di ferro.
Spesso non ce ne accorgiamo, ma il legame tra l’Italia e l’Europa centro-orientale e balcanica è portentoso. Supera, quantitativamente, quello con la Cina, come viene rilevato in questo libro. Ogni giorno numerosi veicoli puntano verso Est, carichi di merci italiane. Tornano con prodotti realizzati in Polonia, Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca e Serbia da aziende a capitale
italiano. I nostri imprenditori e manager partono dagli aeroporti del Nord-Est e raggiungono, con voli diretti o facendo scalo a Vienna, le città dell’Europa orientale. Inoltre studenti e giovani ricercatori, grazie anche al progetto Erasmus, fanno altrettanto. Frequentemente – si afferma – l’Italia, come sistema Paese, arriva tardi rispetto alla storia. In questo caso è d’obbligo parlare di eccezione. Le imprese e i cittadini italiani si sono ancorati a Est già nei primi Anni ‘90 e quando, nel 2004, è arrivato l’allargamento dell’Unione europea, con otto Paesi ex comunisti entrati nel club comunitario, noi italiani eravamo già più che presenti in questa regione. La crescita dell’Est ha avuto due fasi. La prima, negli Anni ‘90, è stata a tratti incerta. Le grandi riforme e il passaggio dall’economia pianificata al libero mercato hanno avuto ricadute economiche rilevanti e un impatto sociale drammatico. Una volta completato il primo ciclo di riforme, però, la corsa si è pian piano velocizzata. Gli anni Duemila hanno rappresentato un periodo in cui la convergenza nei redditi s’è dispiegata a pieno ritmo. Le strutture economiche e sociali si sono progressivamente adeguate a quelle europee. La partecipazione dei cittadini e lo spirito democratico hanno fatto passi da gigante. Tanto rimane ancora da fare, ma per giudicare l’Est attuale dobbiamo tenere a mente la situazione di partenza, lo “storico” 1989 e gli anni seguenti. Anche l’imprenditoria italiana, nel corso di questi due decenni, è cambiata.
Negli Anni ‘90 la delocalizzazione era il leitmotiv. Adesso, invece, si può stare a Est solo se si è capaci di leggere i cambiamenti socio-economici in corso in questi territori e a livello globale. Bisogna tenere d’occhio il mercato locale (i servizi contano sempre di più rispetto al settore manifatturiero) e bisogna fare i conti con la concorrenza dei Paesi emergenti dell’Asia.Negli ultimi anni, poi, la crisi finanziaria mondiale ha suscitato diverse preoccupazioni tra chi ha investito e investe nell’Oriente continentale. A Est, infatti, la crisi ha colpito duro. Ucraina, Lettonia, Ungheria, Bielorussia, Romania, Bosnia Erzegovina e Serbia sono state costrette, una dopo l’altra e nell’arco di pochi mesi, a ricorrere ai prestiti del Fondo monetario internazionale.
L’Est sembrava incapace di continuare a ricoprire il ruolo di hub produttivo e polo attrattivo di investimenti esteri. Qualcuno ha visto in tutto questo il fallimento del modello di internazionalizzazione e ha bollato l’Est come l’anello debole dell’Europa, lo scoglio che l’avrebbe fatta naufragare.
La mia stessa banca ha passato dei momenti complicati; ora molti ci invidiano. Infatti l’Est, dopo le fatiche iniziali, ha mostrato una notevole solidità, di cui molti, inizialmente, dubitavano. Se due anni fa era l’Est a creare problemi alla stabilità delle economie dell’Europa occidentale, oggi avviene il contrario: è l’Ovest che rischia di destabilizzare l’Est. Certo, la crisi ha lasciato anche all’Est ferite visibili. Famiglie che fino a pochi anni prima erano fiduciose, sono state costrette a rivedere i loro stili di consumo e la visione del futuro. Ma queste economie, ripeto, hanno comunque retto l’urto. Molte delle aziende italiane lì presenti hanno vinto la scommessa. Il coraggio di andare oltre le frontiere, di sentirsi pienamente europei, di arricchirsi di esperienze diverse, di inventare e di rischiare è il punto di forza di chi ha deciso di puntare sull’Europa centro-orientale e balcanica, come sull’Ucraina, sulla Turchia e sulla Russia.
Leggendo Me ne vado a est ho ricavato nuovamente la sensazione di quel dinamismo, di casa in questi Paesi, che a volte sembra parzialmente assopito nella “vecchia” Europa. Intendo dire l’entusiasmo di affrontare la velocità del cambiamento; la tenacia e la voglia di riscatto tipiche di chi non ha avuto trattamenti teneri da parte della Storia; la capacità di affrontare gli alti e i bassi.
Noi italiani, in questo contesto, ci siamo fatti valere, in numerosi campi. Avevamo bisogno di mercati nuovi, di un rinnovato spirito avventuriero, della possibilità di riprodurre quello che non riuscivamo più a fare in patria (magari semplicemente perché lo avevamo già fatto in patria). Siamo andati a Est e lentamente siamo riusciti a colmare, anche se non in maniera completa, una grande distanza culturale. Noi italiani, da quelle parti, continueremo a esserci.

Il testo di Federico Ghizzoni è disponibile sul portale e può essere ripreso liberamente citando la fonte ©Infinito edizioni 2012
  
Per informazioni, Infinito edizioni: 06/9316241
Maria Cecilia Castagna: 320/3524918