Infatti è a Elsa Morante che non
smettevo di pensare leggendo La lingua di Ana: all’Isola di Arturo,
il libro che ho tradotto venticinque anni fa in serbo.
La lingua di Ana è la storia della
crescita dolorosa di una bambina travagliata in una situazione difficile. La
storia della straniera fuori dal suo contesto naturale in una società xenofoba
italiana col rapporto misogino di odio-amore, punizione e ricatto che abbiamo
con la madre. Vi ricordate di Arturo e della sua storia passionale con la
matrigna, ragazza madre che finisce in un bacio?
Crescere e mutare è sempre un
dramma, seguire le richieste e le domande del proprio corpo a volte diventa una
tragedia, e non solo nell’adolescenza.
Crescere sradicati, in un altro
Paese, alieno, in una lingua sconosciuta, più che problemi umani provoca
problemi sovrumani, extraterrestri. E qui direi che arriva il bello, non solo
il difficile. Io stessa sono cresciuta non in due, ma almeno in tre lingue,
fuori dalla patria, dalla lingua materna; era più che una schizofrenia, erano
vite parallele, segreti intraducibili, decisione impossibili. Dopo molti anni
e la scelta di fare cinema, traduzioni, sono diventata una scrittrice,
ammettendo la scissa verità: sono più sincera ed emotiva in serbo, più precisa
in inglese e forse più brillante in italiano. E non sono mai una, integra o la
stessa persona. Dopo essere sopravvissuta alla tragedia, mi sento più ricca,
quasi un’aliena cosmica, superiore ai confini umani nazionali, nazionalisti,
xenofobi e campanilisti.
La lingua di Ana però tocca le sfere
profonde della memoria intraducibile di Proust di una bambina che si sente
abbandonata dalla madre, l’infelicità senza desideri di una spaesata di Musil,
lo stile sobrio femminista socialista della Bronte in Jane Eyre: poor
rich girl.
Appoggiata ai temi dell’eterno
poetico Ana, la ragazza moldava in Italia, naviga nel mondo odierno degli
sradicati che vivono su internet, nella giungla di nessuno. Però siamo una
nazione che vive lì, nomadi linguistici per scelta, per condanna, noi
globalisti del futuro, rinchiusi nel virtuale.
Ma la nostra autrice di origine
bosniaca non è moldava e non è neppure innocente: ha vissuto e scritto libri
autobiografici, diaristici, fin quasi da bambina, e adesso, da adulta, è
proprio quella bambina cresciuta scissa in due che presta la sua voce a
un’altra bambina. È una storia fiction-faction, credibile e inverosimile
quanto lo può essere la storia metaforica del nostro Arturo sulla sua isola.
Il dramma della lingua, delle parole nascita e
rinascita è antico quanto l’essere umano. Domare la lingua è come
cavalcare un cavallo selvaggio. È difficile per tutti, ma ancor più per le
donne, per le donne straniere, che scrivono nella lingua non materna. Elvira è
riuscita a farmi stringere il cuore, come ha fatto Elsa Morante a darmi quell’energia
extra: tutt’e due con il virus della parola nomade, che si trasmette da una
lingua all’altra. La lingua è contagiosa, attenti, tutti voi che prendete in
mano i libri di letteratura! Mordono!
Il testo
di Jasmina Tesanovic è disponibile sul portale e può essere ripreso liberamente
citando la fonte ©Infinito edizioni 2012
Per
informazioni, Infinito edizioni: 06/9316241
Maria Cecilia Castagna: 320/3524918