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giovedì 26 maggio 2016

Presunto genocida. Una definizione che offende - di Riccardo Noury

Nelle figurine dell’orrore delle guerre dell’ex Jugoslavia, sotto il nome di Ratko Mladic compare quella parola.
È probabilmente destinata a rimanerci un po’. Altri mesi, almeno, fino a quando la sentenza di primo grado nei confronti dell’ex generale delle forze serbo bosniache non sarà stata emessa.
Di Mladic, oggi, ricorre il quinto anniversario dell’arresto, avvenuto esattamente il 26 maggio 2011: 16 anni dopo il genocidio di Srebrenica, che costituisce uno degli 11 capi d’accusa di cui Mladic deve rispondere e che comprendono anche la “serbizzazione” di altre zone della Bosnia nonché gli attacchi contro i civili di Sarajevo.
Sedici anni di ritardo, 16 anni di protezioni e complicità, 16 anni di mancata giustizia.
I sopravvissuti al genocidio di Srebrenica e ai crimini di guerra e contro l’umanità e, con loro, i familiari delle vittime, aspettano ancora, così come hanno aspettato il verdetto di primo grado nei confronti dell’altro “presunto” genocida (Radovan Karadzic, che è ancora tale dato che l’appello contro il verdetto di primo grado deve ancora iniziare).
Aspettano e sperano che il Tribunale per l’ex Jugoslavia riesca a emettere una sentenza definitiva di colpevolezza, a cancellare quel “presunto”, quella offensiva definizione. Sempre che il Tribunale non chiuda prima. Sempre che Mladic non muoia prima. Sempre che…

Quella per la Bosnia è una giustizia condizionata da troppi “sempre che”.