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giovedì 28 gennaio 2016

“I ragazzi di Brema”, breve storia di una stele, di Dario Ricci (Infinito edizioni)

Alle 18.51 del 28 gennaio del 1966 si verificava, nei cieli di Brema, un terribile incidente. L’aereo su cui viaggiava la Nazionale italiana di nuoto, il loro allenatore e il cronista della Rai Nico Sapio si schiantò al suolo. Non ci furono superstiti. A cinquant’anni dalla Superga del nostro nuoto il giornalista Dario Ricci ne “I ragazzi di Brema” ripercorre i sentieri del ricordo, per recuperare volti, immagini, suoni, emozioni di quelle ore dolenti e tragiche. Un libro che vuole essere un tributo alla generazione perduta del nuoto italiano, e a quei ragazzi che videro i loro sogni, le loro speranze, le loro vite inghiottite dal cielo di Brema. L’autore, nel breve testo che proponiamo, racconta del suo primo incontro con la vicenda e di una battaglia di civiltà e memoria.

La tragedia di Brema arrivò ai miei occhi attraverso le pagine de La Gazzetta dello Sport e gli artico­li di Aronne Anghileri. No, non quelle pagine e quegli articoli che Anghileri aveva scritto nelle ore immediata­mente successive l’incidente, col cuore pieno di dolore, ma con consueta perizia e professionalità. Altre pagine e altri articoli avevano attirato la mia attenzione di gior­nalista che si stava preparando a seguire per la propria testata, Radio24-IlSole24Ore, i Campionati Mondiali di Nuoto di Roma del 2009. Erano le pagine e i trafiletti che con costanza Anghileri riusciva ancora a strappare alla cronaca di gare, cronometri, risultati, per portare avanti una piccola grande battaglia di civiltà: ricostrui­re, proprio lì davanti alla piscina del Foro Italico, quella stele di cristallo dedicata alle vittime di Brema, che igno­ti vandali avevano mandato in frantumi e che mai era stata ripristinata. La determinazione con cui Anghileri stava perseguendo questo obiettivo mi lasciò ammirato, tanto che lo contattai per invitarlo come ospite di A bor­docampo, la trasmissione di Radio24 che a quel tempo curavo. Aronne acconsentì con entusiasmo e insieme realizzammo allora un breve documentario radiofonico, raccontando quanto avvenuto a Brema, recuperando au­dio e video dell’epoca. Anche quelle parole, con un peso specifico infinitamente minore delle tante che Aronne quotidianamente spendeva per perorare la sua giusta causa, si unirono al piccolo movimento d’opinione che s’era creato per restaurare e riposizionare la stele. Fatto che puntualmente avvenne alla vigilia di quei Mondiali. Anche nel non abbandonare quella quotidiana lotta con burocrazia e incuria, Anghileri s’era dimostrato grande giornalista, se è vero che è proprio del giornalismo porre questioni, individuare responsabilità, proporre soluzioni. Ma all’Anghileri zelante professionista s’era mescolato in quella piccola grande battaglia di civiltà anche l’Aronne uomo, colui che – come abbiamo ripercorso in queste pagine – con quei ragazzi aveva parlato e scherzato fino all’ultimo istante, con la bonomia indagatrice del croni­sta di razza, ma anche col sincero affetto di chi vedeva in quegli occhi, in quelle bracciate, il sereno dipanarsi di parabole umane proiettate verso il futuro.

Oggi, a cinquant’anni di distanza dalla tragedia di Bre­ma, quella stele, queste parole, quei volti che ritornano sor­ridenti dal passato, lanciano un monito che al tempo stesso è una preghiera: non dimenticate, non dimenticateci.